Pappagallo Ara

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Classificazione e distribuzione

ara3L’Ara ararauna (Linnaeus 1758) è uno dei più grossi pappagalli esistenti sul pianeta. Appartenente alla famiglia degli Psittacidae ed al genere Ara, occupa come areale di distribuzione con le proprie popolazioni prevalentemente il Centro ed il Sud America, vivendo lungo i corsi d’acqua di Bolivia, Paraguay, Brasile, Ecuador ecc….
Descrizione

Con i suoi 90 cm di lunghezza complessiva l’Ara blu e gialla (come viene chiamata comunemente) è un maestoso pappagallo dal becco nero. La particolarità più evidente e che accomuna tutte le ara è quella di possedere le zone guanciali nude, costituite da epidermide di colore bianco ed ornate con piccole piume nere. In particolare, secondo alcune mie osservazioni, è ipotizzabile che la disposizione di queste piume possano svolgere un significato comunicativo, identificando individualmente i soggetti.

La parte dorsale del corpo, vale a dire dalla nuca all’apice della coda, è di un bel blu-azzurro iridescente, mentre la parte ventrale, composta cioè dal petto, dal ventre, il sotto ala e sotto coda, sono di un giallo carico.
Forti e tozze le zampe, che sono di un colore grigio con unghie nere.
Vita in cattività e comportamento

L’Ara ararauna è uno dei pappagalli di grossa taglia maggiormente diffuso in cattività. Esistono essenzialmente due tipologie presenti negli ambienti domestici: le coppie riproduttrici e i soggetti allevati artificialmente, detenuti come animali da compagnia.

Il temperamento di questo uccello è pacifico, presentandosi particolarmente adatto alla stretta convivenza con l’uomo in virtù del forte legame che generalmente instaura con il proprietario e della sua innata pigrizia, che consente di allevarlo libero sui trespoli anche per lunghi periodi di tempo nell’arco della giornata senza che dimostri irrequietezza.

Molto docile quando allevato artificialmente, è uno dei pappagalli che maggiormente manifesta la sua spiccata intelligenza, ripetendo il linguaggio umano con facilità. Proprio per queste caratteristiche, però, è un animale molto vulnerabile dal punto di vista psichico, non tardando a manifestare sofferenze psicologiche se qualcosa turba la propria esistenza. Sono animali, quindi, che si legano in modo molto intimo all’essere umano e se non si provvede a mantenere ben saldo questo rapporto gli Ara ararauna sono tra i pappagalli più inclini a manifestare la temuta sindrome da autodeplumazione.

Purtroppo, infatti, non è episodio comune osservare Ara blu e gialla con un bel piumaggio composto, brillante e non martoriato; generalmente, al contrario, è invece particolarmente facile vedere soggetti con il petto deplumato e dall’espressione depressa.
ara1Gli alloggi

Per la sua imponenza l’Ara ararauna è un pappagallo che necessita di ampi spazi, dove poter muoversi liberamente e manifestare tutti i comportamenti tipici della specie.

Per quanto concerne i soggetti domestici le dimensioni delle voliere in cui sono ospitati possono anche essere di dimensioni inferiori, purché si garantisca all’animale una vita prevalentemente libera e a stretto contatto con l’uomo.

I soggetti selvatici e le coppie riproduttrici, invece, richiedo voliere prossime ai dieci/dodici metri di lunghezza, tre/quattro metri di altezza e una profondità tale da essere circa il triplo dell’apertura alare.

Anche se queste dimensioni possono sembrare eccessive, dobbiamo tutti ricordare che l’obiettivo primo di chi vuole allevare uccelli è quello di soddisfare tutte le esigenze psicofisiche che richiedono, poiché è soltanto un uccello psicologicamente appagato e con uno stato di salute ottimale che può donarci il piacere dell’allevamento. Se non abbiamo quindi lo spazio per garantire tutto questo è meglio optare per specie più piccole, a cui garantiremo le condizioni ottimali in modo sicuramente meno impegnativo.

Particolare attenzione va riposta ai materiali costituenti la struttura delle voliere, giacchè il forte becco e la noia che talvolta può investire animali detenuti in cattività, per ottimali che siano le condizioni, possono portare a distruttività della rete e del telaio, danni che non tardano ad essere effettuati.

Da preferire le sistemazioni all’aperto su terra nuda che, come tutti i pappagalli, anche le grandi Ara araraunadimostrano di preferire.
L’alimentazione

Come per la maggior parte dei pappagalli, anche per gli Ara ararauna vale la regola generale che più l’alimentazione è varia e basata su essenze alimentari fresche, più si garantirà un ottimale stato di salute dell’animale, scongiurando patologie legate a squilibri nutrizionali.

Profondamente sbagliata un’alimentazione a base di semi secchi, quali noci, nocciole, arachidi e quant’altro, che porta gli uccelli a gravi patologie a carico del fegato in pochi anni, causandone spesso la morte.

Pasta, riso, mais cotto e pannocchie immature, frutta e verdura in abbondanza, miele, yogurt, formaggi stagionati (tipo grana), frullati di frutta e verdura, polline, frutta esotica particolarmente nutriente (banana, mango ecc…), nonché omogeneizzati a base di carne da miscelare ai frullati di frutta per garantire un ottimale apporto proteico, sono tutti alimenti freschi che devono costituire l’alimentazione dell’Ara ararauna, consentendo un’integrazione con semi e pastoni secchi ma per non più di tre somministrazioni settimanali.
ara4Riproduzione

Nonostante l’imponenza di questi animali, la riproduzione in cattività risulta meno problematica che per altre specie; a dimostrazione di ciò basta notare quanti soggetti sono disponibili nelle realtà commerciali e private.

Una evidenziazione del sesso in questo soggetti attraverso un test molecolare atto ad evidenziare i marker sessuali a livello del DNA è fondamentale per poter avere la garanzia di possedere due soggetti di sesso opposto, dato che l’Ara ararauna è da considerarsi una specie monomorfa, cioè che non manifesta morfologicamente differenze tra il maschio e la femmina.

Depongono le uova in un grosso nido ricavato dal tronco di un albero cavo in natura, ed in cattività occorre necessariamente fornire la stessa condizione, anche presentando un nido in legno delle misure adeguate, un metro di diametro per un metro e più di altezza.

Sconsigliabili bidoni in lamiera e plastica che si usavano un tempo per la riproduzione di questi uccelli, a causa della facilità con cui si surriscaldano durante la stagione estiva.
La cova dura all’incirca 28-30 giorni e il numero delle uova raramente supera le 3/4 unità.
CITES

L’Ara ararauna è soggetto a tutela da parte della Convenzione di Washington e la sua detenzione è autorizzata soltanto per soggetti con anello inamovibile (comprovante la nascita in cattività) e documento CITES d’accompagnamento, che l’allevatore ci fornirà al momento dell’acquisto.

Eventuali nascite, fughe o decessi, nonché cessioni a terzi, vanno comunicate agli uffici del Corpo Forestale di Stato della propria provincia.

Inoltre la detenzione in cattività è regolamentata da specifiche norme delle A.S.L. locali, pertanto se si intende acquistare uno di questi pappagalli è necessario rivolgersi agli uffici veterinari dell’A.S.L. di competenza nella propria città.

Autore: Pierluca Costa, etologo

Pappagallo Cenerino

pappagallo cenerino testa

Classificazione
pappagallo cenerino

 

Classe: Aves

Ordine: Psittaciformes

Famiglia: Psittacidae

Tribù: Psittacini

Genere: Psittacus

 

Specie: P. erithacus

Sottospecie: P. erithacus erithacus

                          

P. erithacus timneh

 

Il cenerino origina dalle foreste pluviali dell’Africa centrale e occidentale. Si nutre di frutta, semi, noci di palma, foglie delle piante. È la sola specie del genere Psittacus; presenta due sottospecie:

P. erithacus erithacusLa sottospecie P. erith

 

acus erithacus ha dimensioni maggiori tra le due (33 cm), ha una colorazione grigia di tonalità più chiara, le penne della coda rosse e il becco completamente nero. I giovani fino ad un anno di età presentano le iridi di colore scuro, che poi diventano giallo chiaro, e fino a 18 mesi di età presentano la punta della coda di un rosso più scuro.

 

P. erithacus timnehLa sottospecie P. erithacus timneh è di dimensioni leggermente inferiori, ha un colore grigio più scuro, la coda marrone e un’area di colore chiaro sulla parte superiore del becco.

Entrambe le sottospecie presentano sulla faccia, intorno agli occhi, un’area di pelle nuda di colore grigio chiaro.

 

Sono state sviluppate diverse mutazioni di colore, tra cui la presenza di una banda rossa sull’addome, la colorazione completamente rossa, la coda bianca, albini, gialli. Non si deve confondere la comparsa di penne rosse causate da problemi di salute (follicoliti, danni epatici, malnutrizione, una malattia virale – PBFD) con una mutazione di colore, come inducono a credere alcuni allevatori o venditori senza scrupoli.

pappagallo cenerino

Longevità

Il cenerino è un pappagallo longevo e, se ben accudito, può arrivare a 65 anni di età.

Distinzione dei sessi

I soggetti adulti presentano lievi differenze morfologiche. Il maschio ha la testa leggermente più grossa e piatta, ed è di 2-3 cm più grande della femmina. Nel maschio l’iride è più rotonda, nella femmina più ellittica. Nella sottospecie P. e. erithacus nel maschio ci sono alcune penne rosse intorno alla cloaca e le ali sono più scure. Poiché queste differenze possono essere molto lievi o incostanti, il metodo più sicuro per stabilire il sesso è tramite l’esame del DNA, che si può eseguire su alcune penne del pappagallo. Se si desidera tenere un cenerino singolo come animale da compagnia, la determinazione del sesso non è essenziale.

Il cenerino come pet

Il cenerino è probabilmente la specie di pappagallo più intelligente, e tra le specie animali in assoluto più intelligenti; questa sua intelligenza eccezionale, paragonabile a quella di un bambino di 2-3 anni, è oggetto di studi numerosi e approfonditi. Si sa che è in grado di associare alle parole che ripete il loro significato e che sa esprimere intere frasi nel giusto contesto di una conversazione, se adeguatamente istruito.

La sua notevole abilità nel ripetere le parole (anche se molto variabile da individuo a individuo) e la capacità di affezionarsi alle persone ne fanno una delle specie di pappagallo più ricercata. I soggetti allevati a mano sono eccezionalmente docili. Tuttavia, proprio per la sua intelligenza, è un animale molto esigente dal punto di vista delle attenzioni e del tempo che gli si può dedicare, e uno dei pappagalli più soggetti a sviluppare problemi comportamentali, come lo strappamento delle penne (sindrome da autodeplumazione).

 

Il cenerino deve poter interagire con il proprietario in modo regolare e poter passare tutti i giorni del tempo fuori dalla gabbia. Non è quindi un pappagallo da acquistare con leggerezza, dal momento che non tutti possono occuparsene in modo tanto assiduo; inoltre non è molto adatto a chi non ha alcuna esperienza nella gestione pappagalli.

 

Il cenerino è in Appendice II del CITES, per cui il prelievo in natura è (teoricamente) strettamente regolamentato. Poiché l’Europa dal 2007 ha proibito l’importazione di uccelli di cattura, tutti i cenerini che si trovano in commercio sono di allevamento. I soggetti di cattura presentavano grossi problemi di adattamento ed erano in genere molto paurosi. I soggetti allevati in cattività al contrario sono molto docili e affettuosi con il proprietario. Dopo la maturità sessuale, il cenerino tende a legarsi in modo esclusivo a una persona e può essere aggressivo con gli altri membri della famiglia, cosa che può rappresentare un grosso problema di gestione.

Gestionepappagallo cenerino

 

I cenerini non presentano particolari difficoltà di gestione, ma richiedono molte attenzioni e tanto tempo da passare interagendo con loro (carezzarli, parlare, giocare). Per la loro intelligenza, si annoiano facilmente andando incontro a problemi comportamentali anche gravi.

I cenerini devono restare confinati dentro la gabbia per meno tempo possibile. Sono preferibili le gabbie che si possono aprire in alto e che hanno un posatoio nella parte più alta, in modo che l’animale interagisca meglio con l’ambiente. La gabbia deve essere più spaziosa possibile, per permettere al pappagallo di muoversi, fare esercizio, contenere diversi posatoi, molti giocattoli sicuri, vari oggetti da esplorare e distruggere con il becco.

I posatoi devono essere in legno naturale, preferibilmente dei rami di diametro variabile, in modo che le zampe possano fare ginnastica. Il diametro deve essere tale da permettere alle dita di circondare il ramo senza che si tocchino.

Il fondo della gabbia può essere ricoperto con fogli di giornale, materiale economico e facile da sostituire. Il cambio deve essere effettuato tutti i giorni. L’igiene della gabbia, dei posatoi e dei recipienti di cibo e acqua è essenziale per la salute dei pappagalli.

La collocazione della gabbia è un fattore importante. I cenerini sono particolarmente esigenti per quanto riguarda il contatto umano e la compagnia, pertanto la sistemazione ideale è in una stanza in cui vi sia la presenza di persone per buona parte del tempo, ad esclusione della cucina perché è un ambiente che può essere pericoloso per gli uccelli in gabbia (per le emissioni delle pentole antiaderenti di teflon, o i vapori dei prodotti per la pulizia del forno, ad esempio). La notte l’ambiente deve essere silenzioso e buio, per consentire ai pappagalli di dormire indisturbati. 10 ore di sonno continuo ogni giorno sono indispensabili per il benessere dei cenerini.

La gabbia deve essere al riparo da correnti d’aria e dalla luce diretta del sole, che può provocare un colpo di calore, e non raggiungibile da potenziali predatori o animali che possono spaventare il cenerino, come cani e gatti.

Igiene

Una buona igiene è fondamentale per la salute dei pappagalli tenuti in cattività. Si deve ricordare che l’uso di disinfettanti è inutile in presenza di residui organici (deiezioni o resti di cibo) che proteggono i microbi dalla loro azione. Pertanto, il modo più efficace di ottenere una buona igiene è l’uso di acqua calda, sapone e spugna per rimuovere tutti i residui strofinando con vigore, seguito poi dall’applicazione del disinfettante e quindi da un risciacquo abbondante.

I fogli del fondo vanno sostituiti tutti i giorni, operazione molto rapida e semplice. I contenitori di cibo e acqua vanno svuotati e lavati con cura tutti i giorni; una volta alla settimana vanno disinfettati. La gabbia intera almeno una volta al mese va svuotata di tutti gli accessori, lavata e disinfettata. Anche i posatoi vanno tenuti sempre ben puliti e disinfettati regolarmente. Come disinfettanti si possono usare varechina diluita o lisoformio.

In libertà

I cenerini hanno bisogno di passare alcune ore fuori dalla gabbia ogni giorno; tuttavia, quando sono lasciati liberi, possono andare incontro a molti pericoli, per la loro natura curiosa e l’abitudine a esplorare gli oggetti con il becco, pertanto è opportuno preparare con attenzione una stanza e non perderli di vista mentre stanno fuori dalla gabbia. Le finestre devono essere chiuse, con i vetri coperti (ad esempio con una tenda) per evitare che l’uccello vi vada a sbattere contro. In alternativa, se ci sono zanzariere si possono abbassare. Anche le porte vanno tenute chiuse. I vari pericoli a cui può andare incontro un pappagallo libero nella stanza sono:

  • annegamento (bacinelle o pentole piene d’acqua)
  • ustioni (caminetti, stufe, fornelli, candele o piastre elettriche accesi)
  • folgorazione (fili elettrici)
  • avvelenamento (sigarette, farmaci, cioccolata, prodotti per la casa, piccoli oggetti di zinco o piombo)

Il taglio delle penne delle ali può servire a limitare l’estensione del volo, ma non va inteso come un modo per impedire al pappagallo di volare. Il taglio delle penne può avere effetti molto dannosi se mal eseguito, sia dal punto di vista dell’incolumità (l’uccello può cadere o sbattere e fratturarsi) che dal punto di vista psicologico (renderlo insicuro). La limitazione del volo va effettuata solo quando il giovane pappagallo ha già imparato a volare correttamente, cosa che lo rende sicuro e fiducioso delle sue capacità. Se gli si tagliano subito le ali, prima che abbia imparato a volare, non imparerà più a farlo correttamente. Il taglio va eseguito in modo graduale, poche penne per volta, in modo che l’uccello impari ad adattarsi alla nuova condizione. Il risultato finale deve essere una limitazione della capacità di volo, mantenendo intatta la capacità di atterrare correttamente. È importante che le prime volte l’operazione sia eseguita con la guida di un veterinario esperto in medicina aviare.

Il taglio delle penne va ripetuto regolarmente dopo ciascuna muta, quando le penne tagliate cadono e vengono rimpiazzate da nuove penne. Occorre fare molta attenzione a non tagliare le penne prima che abbiano completamente terminato la crescita, perché mentre stanno spuntando possiedono nel calamo dei vasi sanguigni che possono sanguinare profusamente.

 Alimentazione

Sorprendentemente, i cenerini possono sopravvivere anche per 15 anni con diete totalmente inadeguate quali le miscele di semi o addirittura con soli semi di girasole, prima di soccombere alle gravi carenze nutrizionali, mentre con un’alimentazione appropriata possono superare i 50 anni di vita.

L’alimentazione ideale è basata sulla somministrazione di pellet di buona qualità (senza conservanti, coloranti o aromi artificiali, preferibilmente biologico), verdure (cotte e crude) e frutta (anche queste se possibile biologiche). I semi vanno somministrati in quantità ridottissima o eliminati del tutto, e non devono comprendere girasole. Altri alimenti consentiti sono pane o pasta integrali, legumi e cereali cotti, piccole quantità di yogurt o fiocchi di latte e uova sode con il guscio. Poiché i cenerini sono predisposti a problemi di carenza di calcio, gli alimenti ricchi di calcio sono particolarmente indicati. L’esposizione regolare alla luce solare diretta (non filtrata dai vetri) permette di sintetizzare la vitamina D, che ha la funzione di far assimilare il calcio dell’alimento.

Alimenti proibiti sono quelli ricchi di grassi e salati, la cioccolata e l’avocado.

Di: Marta Avanzi, Med Vet

Pappagallo Amazzone

pappagallo amazzone

tassonomia Amazzone: fa parte della famiglia Psittacidae del genere Amazona, vi fanno parte circa 30 specie:

 

  1. Amazzone collaria con gola rosa,
  2. Amazzone leucocephala di Cuba,
  3. Amazzone ventralis di Hispaniola,
  4. Amazzone albifrons con la fronte bianca,
  5. Amazzone Xantholora con redini gialle,
  6. Amazzone agilis col becco nero,
  7. Amazzone vittata di Portorico,
  8. Amazzone tucumana di Tucuman,
  9. Amazzone pretrei con gli occhiali rossi,
  10. Amazzone viridigenanis con redini rosse, di esso vi sono tre specie;
  11. Amazzone brasiliensis del Brasile,
  12. Amazzone dufresniana,
  13. Amazzone rhodocorytha con corona rossa,
  14. Amazzone festiva,
  15. Amazzone xanthops con faccia gialla,
  16. Amazzone barbadensis delle Barbados,
  17. Amazzone aestiva con fronte azzurra,
  18. Amazzone auropalliata con la nuca gialla,
  19. Amazzone ochrocephala con fronte gialla,
  20. Amazzone oratrix con testa gialla,
  21. Amazzone amazonica dell’ Amazzonia,
  22. Amazzone mercenaria coricata,
  23. Amazzone kawalli, Amazzone farinosa,
  24. Amazzone vinacea,
  25. Amazzone versicolor di Santa Lucia,
  26. Amazzone arausiaca con collo rosso,
  27. Amazzone guildingii di St. Vincent,
  28. Amazzone imperialis imperiale.

amazzone fronte biancaL’Amazzone a fronte bianca è una delle amazzoni più piccole, vive in natura nel sud America generalmente in mexico e Costa Rica ha una dimensione di circa 27cm hanno una vita molto lunga pensate fino i 40 anni!
Il colore del piumaggio come potete notare è il verde che è il colore predominante su tutte le amazzoni, la fronte ovviamente bianca e la parte superiore della nuca azzurro.
E’ un pappagallo piuttosto rumoroso ma se allevato a mano è un buon parlatore.
Esistono tre sottospecie che si differenziano per dimensione 27.26 e 24 cm, e la differenza che contraddistingue la a. Albifrons albifrons dala Saltuensis consiste nella colorazione dell’azzurro della nuca più esteso.
In Italia ci sono numerose coppie e posso affermare che sono allevate tranquillamente.

Differenze sessuali
Per queste amazzoni la differenza sessuale è evidente, infatti il maschio presenta le ali copritrici primarie rosse, invece nella femmina sono completamente verdi, come potete notare nella fotto in basso.

Vita in Allevamento
Sono animali come già detto piuttosto rumorosi pertanto sconsiglio il loro allevamento in zone ad alta densità di popolazione o dove ci sono vicini che non amano essere disturbati!!
Sono abilit volatiri e consiglio vivamente di fornire una bella voliera ampia e spaziosa io utilizzo voliere da 2 mt x 1 mtx 2 mt di altezza.
Come alimentazione somministro una miscela di sementi apposita per amazzoni dove all’interno sono presenti svariati semi girasole, arachidi. Amano moltissimo la frutta e verdura specialmente il pomodoro.

Riproduzione
Per quanto riguarda la riproduzione posso affermare che è una specie piuttosto prolifica se trova l’ambiente giusto, dove naturalmente sarà poco disturbata.
Uso fornire un nido rettandolare dalla base di 40×40 con una altezza di circa 60cm con foro da 10 cm.
Di norma il periodo riproduttivo va da maggio a settembre ma la mia coppia ad esempio sempre verso metà giugno. Dove depone dalle 2/3 uova e le cova per circa 25 giorni, i piccoli sono pronti all’involo dopo circa 7 settimane.

Allevare il Tacchino

Cennti storici

tacchinoIl primo a parlare del tacchino, nel 1525, fu lo spagnolo Gonzalèz Fernando de Oviedo, governatore di Hispaniola, nel suo “Summario de la Historia Natural de las Indias Occidentales”: lo descrive qui come una varietà del Pavone, con una coda meno grande del Pavone comune e con una carne ancora più saporita.
Proveniente dal Messico, fu introdotto in Spagna intorno al 1520; da qui raggiunse la Francia – dove fu chiamato Pollo d’India (Coq d’Inde, da cui deriva l’attuale Dindon e Dinde) – e poi, in seguito, in tutto il Continente, divenendo sempre più comune.
In Inghilterra comparve per la prima volta sotto il regno di Enrico VIII nel 1524; gli storici di quel tempo, credendo che provenisse dai possedimenti turchi dell’Asia Minore, lo chiamarono Gallo Turco (Turkey-cocks) e, per abbreviazione, Turkey, mantenuto fino ad oggi.
Fernandez, nel suo “Tesoro di cose nella Nuova Spagna” del 1576, già distingue il tacchino domestico da quello selvatico, ed aggiunge che gli spagnoli ed i portoghesi lo chiamavano “Pavones de las Indias”.
Già intorno al 1565, in Francia, in un convento vicino a Bourges i monaci avevano impiantato un allevamento, con soggetti direttamente importati dall’America: si dice anche che il primo tacchino servito a tavola fosse quello delle nozze di Carlo XI con Elisabetta d’Austria il 20 novembre 1570.
La prima descrizione scientifica del tacchino è dovuta al naturalista viaggiatore francese Pierre Gilles, edita a Lione nel 1553; a lui seguirono Pierre Belon, sempre francese, che fornì nella sua “Histoire Naturelles des Oiseaux” (Lione, 1555) il primo disegno del tacchino; indi Gesner da Zurigo ed il nostro grande Ulisse Aldrovandi.

I Tacchini che noi oggi conosciamo derivano tutti dai tacchini selvatici del genere “Meleagris”. Si contano sette sottospecie con caratteristiche più o meno simili che vivevano in un’area molto vasta, dal Canada al Messico.
Ecco cosa diceva Brehm del tacchino selvatico nel suo lavoro “La Vita Degli Animali” (Torino, 1869):

«Il tacchino vive allo stato selvatico anche al giorno d’oggi, è di una grande bellezza e prolifico assai. Era sparso nei piani dell’America del Nord, particolarmente nell’Arkansas, nell’Illinois, l’Alabama, l’Ohio, Kentucky, l’Indiana, il Missouri e il MissisSipi. I grandi branchi condotti da vecchi maschi i quali sono di una meravigliosa vigilanza che temono del continuo l’insidia, che non cercano il cibo se non quando si vedono rimpiazzati da altri vecchi di ugual tempra. Fanno lunghissimi giri di strada a piedi e possono in un giorno fare tanto cammino quanto ne può fare un robusto cane; in caso di bisogno fanno anche forti voli per oltrepassare corsi di acque. Si nutrono di semi, frutti di alberi, ghiande, bacche, insetti, verdure ed ogni sorta di tuberi che trovano. Sono ghiotti specialmente di lumache e di insalate tenere, e sovente fanno indigestioni pel troppo mangiare. Certi scrittori a torto prendono questo animale come prototipo della collera stupida ed inconscia; ma molti altri lo difendono, ed alcuni americani, come Beniamino Franklin, ebbero a proporre agli Stati Uniti che si mettesse nello stemma nazionale l’emblema del Tacchino in luogo della superba e antisociale aquila; mentre il tacchino è di origine essenzialmente americana”.»

Riporto anche integralmente quello che il grande naturalista G. Buffon (1707 – 1788) scriveva, sia per la sua importanza storica che per la sua pittoresca e scrupolosa descrizione:

tacchino«E’ rimarchevole per la grandezza della sua statura come per certe naturali inclinazioni che non gli sono comuni con un piccol numero di altre specie. La sua testa che è molto piccola a proporzione del corpo, è quasi interamente spogliata di piume e solamente coperta, del pari che una parte del collo, di una pelle turchina carica di capezzoli rossi nella parte anteriore del collo e di capezzoli biancastri sulla parte posteriore della testa con alcuni piccioli peli neri sparsi raramente tra i capezzoli e con piume più rare all’alto del collo. Dalla base del collo gli scende sul collo fino ad un terzo circa della sua lunghezza una specie di barba carnosa rossa ondeggiante, composta di una doppia membrana. Sulla base del becco superiore gli si innalza una caruncola carnosa di figura conica e solcata di grinze traversali assai profonde: questa allo stato naturale ha poco più di un pollice, cioè quando il gallo d’India passeggia tranquillamente senza oggetti intorno a lui che lo tormentino; ma se qualche straniero oggetto gli si presenta inaspettatamente, massimo nella stagione degli amori, lascia questo uccello il suo portamento semplice ed umile, si ingalluzza immediatamente con fierezza, la sua testa e il suo collo si gonfiano, la caruncola si spiega, s’allunga e discende due o tre pollici più basso coprendosi il becco interamente; tutte le dette parti carnose si colorano di rosso vivo, nel tempo stesso le piume del collo e del dorso si arruffano, e la coda si alza a guisa di ventaglio, mentre le ali spiegandosi si abbassano fino a trascinarsi a terra.
In tale attitudine or va camminando fieramente intorno alle sue femmine, accompagnando la sua azione con un sordo rumore, prodotta dall’aria del petto che esce pel becco, e che è seguito da un lungo sussurro; ora abbandona la sua femmina come per minacciare quelli che lo turbano; e in tal caso la sua andatura è grave, e soltanto si accelera nel momento in cui fa sentire il rumore suddetto; di tempo in tempo egli interrompe siffatto esercizio per gettare un altro grido più forte, e che gli si può, tante volte, far ripetere quanto si vuole o fischiando o facendogli sentire qualsiasi altro tono acuto; egli ricomincia in seguito a far la ruota, la quale esprima ora il suo amore per la femmina, ed ora la sua collera contro quel che non conosce. Ventotto penne si contano in ciascuna delle ali, e diciotto nella coda; egli ha peraltro due code, l’una superiore e l’altra inferiore, la prima formata come sopra di penne grandi piantate intorno al groppone, è quella che l’animale rialza facendo la ruota, la seconda poi consiste in altre penne men grandi e non l’alza dalla sua situazione orizzontale.
Due attributi sensibili distinguono il maschio dalla femmina; un mazzetto cioè di crini duri e neri, lungo da 5 a 6 pollici, che gli esce quando è adulto dalla parte inferiore del collo, e l’altro che è uno sperone cha ha a ciascun piede, che è più o meno lungo, ma più corto e spuntato che quel del gallo ordinario. La gallina d’India è diversa dal maschio non solo per gli attributi suddetti, per la caruncola del becco superiore più corta ed incapace di allungarsi e pel rosso più pallido della barba carnosa e della barba glandulosa che le copre la testa, ma eziandio per gli attributi propri del sesso, essendo più piccola, avendo una fisionomia meno caratteristica, con men di forza nell’interno, e men d’azione all’esterno: di più il suo grido non è che un accento lamentevole, i suoi movimenti non sono che per cercare il nutrimento o per fuggire il pericolo; finalmente è priva della facoltà di far la ruota, non già perché non abbia la coda doppia, ma perché manca dei muscoli atti a levare e raddrizzare le penne più grandi (in questo devo purtroppo smentire il Buffon in quanto, come abbiamo detto, anche la femmina saltuariamente fa la ruota, ndr).
Un maschio può avere cinque o sei femmina, ove sianvi più maschi, si fanno fra loro la guerra battendosi, non però col furore dei galli ordinari. La femmina non è così feconda coma la gallina ordinaria, non fa essa le uova che una volta all’anno per quindici giorni circa, il suo accoppiamento col maschio non è così breve come quello del gallo, appena ha terminato di far l’uovo che si mette tosto a covare; cova pure le uova di ogni sorta di uccello, basta che abbia il nido in luogo asciutto e nascosto, vi si abbandona ella a questa occupazione con tanto ardore ed assiduità che morrebbe di inazione sulle sue uova se non si avesse la cura di levarla una volta al giorno per darle da bere e da mangiare.
Quando il maschio vede a covare la sua femmina cerca di rompervi le uova, riguardandole forse come un ostacolo ai suoi piaceri, il perché essa si nasconde allora con tanta cura. Finito il tempo in cui debbono schiudersi tali uova, i pulcino battono col becco il guscio dell’uovo che li chiude; talvolta ancora per essere il guscio troppo duro, vengono aiutati a romperlo, il che si fa con molta circospezione. Appena schiusi dal guscio, hanno questi pulcini la testa coperta di una specie di lanugine, e non hanno ancora né carne glandulosa, né barba carnosa, parti che si sviluppano in capo a sei settimane o due mesi. La madre li guida con la stessa sollecitudine onde la gallina conduce i suoi; essa li riscalda sotto le proprie ali col medesimo affetto e li difende collo stesso coraggio. Quando questi sono divenuti forti, lasciano la loro madre, o piuttosto ne sono abbandonati, amano andare a pollaio in aria libera, e passano così le notti più fredde dell’inverno or sostenendosi sopra un sol piede, ritirando l’altro nelle piume del loro ventre come per riscaldarlo, ora al contrario annicchiandosi in equilibrio sul lor bastone, per dormire, mettendosi la lor testa sotto l’ala, e durante il loro sonno hanno il moto della respirazione sensibile e notabilissimo. Essi hanno diversi toni e differenti inflessioni di voce secondo l’età e il sesso e secondo le passioni che vogliono esprimere. La loro andatura è lenta e il loro volo pesante, bevono, mangiano ed inghiottiscono dei piccoli sassolini digerendo presso a poco come i galli. Se credesi ai viaggiatori, sono essi originari dell’America e delle isole adiacenti e prima della scoperta di quel nuovo continente essi pure non esistevano nell’antico.
I galli d’India selvaggi non sono differenti dai domestici se non perché sono molto più grossi e più neri, del resto essi hanno gli stessi costumi, le stesse naturali inclinazioni, e la medesima stupidità; vanno a pollaio nei boschi sui rami secchi e quando se ne fa cadere qualcuno a colpi di fucile, gli altri se ne restano al lor sito, e non ne vola via neppure uno.
Ha questi la carne più dura, e se ne allevano facilmente dovunque trovansi nei parchi e nei boschetti.»

Oggi il Tacchino allo stato selvatico, a causa della caccia di cui è stato oggetto, è diventato molto più raro, anche se si sono tentate reintroduzioni, alcune delle quali andate a buon fine.
I Meleagridi sono i più grandi galliformi oggi esistenti.

Molteplici sono le denominazioni volgari con cui esso è stato ed è chiamato; eccone alcune, tratte da una lista ben più lunga riportata nel libro di Savorelli:
– Piemonte: Pitu/Pita, ma anche Biru e Bira come pure Dindi e Dinda o Bibin e Bibina.
– Veneto: Dindio/Dindia
– Brianza: Polin e Pola
– Crema: Pulù/Pola
– Ravenna: Tachèn e Tachena
– Toscana: Lucio o Tacco
– Arezzo: Billo/Billa
– Roma: Gallinaccio
– Cagliari: Dindu e Piocce
– Messina: Ciurro e Gaddu d’India

Allevamento

tacchinoocellatoNon è molto sviluppato in Italia; peccato, perché è un animale molto bello e per le nostre campagne lo trovo molto più indicato del Pavone.
Devo però riconoscere che solo chi ha grandi spazi può permettersi l’allevamento del tacchino, che necessita infatti di pascolare: un tacchino in un pollaio non è bello da vedere.

Anche se il tacchino domestico è meno battagliero del selvatico, è bene comunque non tenere più di un maschio nel periodo della riproduzione: si disturberebbero a vicenda e non dimostrerebbero alle femmine il dovuto riguardo.
Il gruppo riproduttore potrà essere formato da un giovane maschio e tre o quattro femmine di almeno due anni.
E’ la femmina che decide quando accoppiarsi: il maschio non deve fare altro che essere pronto, e lo dimostra facendo sempre la ruota.
E’ sufficiente un accoppiamento andato a buon fine perché tutte le uova che la femmina deporrà, prima di iniziare la cova, risultino fecondate.
L’inizio della deposizione è la primavera: molte femmine però iniziano anche nel mese di febbraio.
L’incubazione dura 28/30 giorni.

OLYMPUS DIGITAL CAMERALa tacchina è una covatrice e madre eccezionale che può portare a termine più covate in una sola stagione; per questa sua dedizione è sfruttata come “incubatrice” naturale: non è comunque bene approfittarne troppo, per lei è sempre uno stress; assicurarsi giornalmente che sia uscita dal nido e si sia rifocillata; anche un buon bagno di sabbia sarebbe l’ideale per dargli sollievo e disfarsi di un po’ di parassiti.
Spesso è restìa ad allontanarsi dal nido; con alcune, dopo averle messe fuori, dovevo chiudere la porta per garantire almeno 15 minuti d’aria.

Quando allevavo il Tacchino Crollwitz facevo fare alle mie femmine una sola covata; mi davano soggetti sufficienti, e devo dire che avere un gruppo di più di 20 tacchini non è una cosa semplice da gestire: orto devastato, vasi in continuo pericolo, tetti presi d’assalto con i conseguenti danni alle tegole, ecc.

E’ preferibile che sia la tacchina stessa a fare da madre perché, se allevati sotto lampade, può succedere che i tacchinotti abbiano difficoltà ad iniziare a nutrirsi.
Se poi la stagione è asciutta si possono far uscire prima, approfittando delle giornate di sole – necessario per lo sviluppo scheletrico – e per farli cominciare fin da piccoli a mangiare sassolini, erba e insetti, tanto utili al loro sviluppo.
Nei primi due/tre mesi comunque è bene somministrare una miscela con una dose proteica del 28% e con coccidiostatico per prevenire brutte epidemie.
A tre mesi effettuare due sverminazioni a distanza di 15 giorni l’una dall’altra.
Hanno bisogno di molta verdura, frutta e di tanto spazio a loro disposizione con tanto verde.
Personalmente non ho mai riscontrato la fatidica “crisi del rosso” o “crisi del corallo”: in queste condizioni i miei tacchini sono sempre cresciuti velocemente e in salute.

 

Oca romagnola

oche bianche e grigieOrigine, diffusione e caratteristiche economiche

Razza italiana originaria dell’Emilia-Romagna (province Ravenna, Forlì, Bologna e Ferrara). L’attuale Standard Italiano Razze Avicole (1996) propone come nuova denominazione il termine di “Oca Italiana“.
L’ oca di Romagna o romagnola, è meglio conosciuta in tutto il mondo col nome di oca di Roma affibiatole dagli avicoltori spagnoli di Barcellona, quando la nostra razza venne presentata in quella città ad una esposizione mondiale nel maggio del 1924. In quell’occasione i visitatori si domandarono se la romagnola appartenesse alla razza che salvò il Campidoglio dalle truppe galliche di Brenno nel lontano 382 a.C. La questione probabilmente non sarà mai chiarita perché Lucrezio sostiene che quelle oche erano bianche, mentre Virgilio le definì argentate… Ma con lo scorrere dei secoli il piumaggio potrebbe aver subito variazioni. Certo è che le oche romagnole possiedono una voce assai acuta e stridula, diversamente dal tono borbottante delle Tolosa, per esempio… Comunque sia, le nostre candide oche romagnole sono sicuramente tra le razze più antiche al mondo… Tra l’altro è la razza più feconda e ovaiola tra le oche (110/115 uova l’anno, dal peso minimo di 150 grammi). Inoltre il suo piumino è tra i più apprezzati e la sua carne è ottima!
In Italia vi sono tre razze tra cui la pezzata veneta che non possiede però ancora uno standard preciso. C’è la grigia padovana, di media taglia, molto apprezzata anch’essa! Ma è la romagnola che detiene il primato tra le tre e soprattutto nel mondo per la sua numerosa deposizione di uova! L’oca di Roma ha una variante col ciuffo sul capo (tuffed roman goose) che viene meticolosamente selezionata negli Stati Uniti d’America.
Peccato si allevi poco qui in Italia e che la selezione in questo campo, non sia ancora così curata come negli altri Stati altrimenti la fama della romagnola potrebbe ritrovare il plauso che le fu riservato lo scorso secolo in tutta Europa e in Inghilterra.

Caratteristiche morfologiche

oca romagnolaTaglia: piccola.
Peso medio:

– maschio a. 5-6 kg
– femmina a. 4-5 kg

Mantello bianco. Becco largo, forte, attaccato alto, arancione con unghia carne.
Zampe mediamente lunghe, color arancio intenso. Occhi azzurri con caruncola oculare rossa.
Non possiede alcun sacco ventrale.
L’oca Romagnola di pura razza ha la particolarità, alla pari dell’oca di Embden, di essere autosessabile alla nascita: i paperi nascono con macchie brune sulla testa e sul dorso e queste macchie sono decisamente più scure nelle femmine.

fonte: agraria.it

Allevare le oche

ocheOrigini

L’allevamento dell’oca è antichissimo, molto anteriore a quello dell’anatra. Se ne trova traccia 4000 anni a.C. nella tomba del faraone Tè (V° dinastia), nella metropoli di Menfi. In essa è dimostrata l’avvenuta domesticazione, in quanto sono raffigurate, oche in un cortile insieme a gru e colombi, con sotto l’iscrizione: «La riunione dei colombi e delle oche dopo che essi hanno mangiato.»
Omero ne parla nell’Odissea, allo XV° canto, in cui è citata Elena che alleva oche nella corte del palazzo di Menelao ed al canto XIX°, quando Penelope, raccontando un sogno, parla del suo allevamento di oche.
I poeti greci si ispirarono al candore dell’oca e la paragonarono alla grazia e alla bellezza delle giovani fanciulle.

Ha oltretutto innumerevoli antenati famosi:
L’oca sacra di Augusto: abbandonata fra le braccia di sua moglie Livia dall’aquila cara a Giove, fu ritenuta un dono degli dei e pertanto consacrata.
Le consorelle del Campidoglio, allevate nel tempio di Giunone, che col loro sberciare avvertirono dell’arrivo dei barbari di Brenno.
L’oca di Friburgo, immortalata con un monumento, che, con la sua sensibilità, durante la seconda guerra mondiale funzionava da radar, avvertendo gli abitanti dell’arrivo degli aerei nemici.

Viene da pensare che mai più ingiuste furono espressioni come: “Stupido come un’oca” o “Essere un’oca giuliva”.
Il secondo può andare, se non viene inteso in senso dispregiativo, in quanto l’oca è gaia e festosa e saprebbe godersi la vita se l’uomo gliene desse l’opportunità.

La capostipite dell’oca domestica la troviamo nella famiglia degli Anatidi nell’ordine Anseriformi: l’Oca Selvatica Grigia (anser cinereus).
È una delle oche selvatiche più grandi, pur mantenendo una forma molto aerodinamica, ha un peso di circa kg. 3,5 ed un’apertura alare di 180 cm.Il becco è grosso e robusto, alla base è più alto che largo, di colore arancio intenso con unghiata rosea; esso è provvisto, ai margini, di lamine cornee che servono a strappare, triturare e spesso filtrare gli alimenti che l’oca trova sondando il fondo degli stagni.
Ha comunque un menu esclusivamente vegetale: erbe, semi, tuberi, bacche e frutta.
La testa è piccola, in proporzione al corpo. Il collo è lungo e fine. Le lunghe ali stanno aderenti e, quando sono chiuse, raggiungono l’estremità della coda senza però incrociarsi o sorpassarla.
I tarsi sono rosei e robusti.
Come tutte le oche selvatiche porta a termine una sola covata l’anno, covando, per 28/29 giorni, 5/6 uova al massimo.
Ha una colorazione particolare, che ritroviamo in molte razze di oche domestiche.
Il colore di fondo è un grigio brunastro uniforme ed il margine delle penne è orlato di bianco. Bianco nella parte bassa del petto, ventre castano con macchie di tonalità più intensa. La coda è come il resto del piumaggio.

Allevamento

accrescimento ocaIn Romagna l’oca era altamente considerata, si diceva che, quando venne sparso nel Mondo il sale del giudizio, tre parti di questo furono assorbite dalle oche; il resto venne assimilato dagli uomini.
Definita il “maiale dei poveri”, in tempi in cui era difficile vivere, lei dava uova, piumino e ottima carne con pochissima spesa; anche la pelle veniva usata e, dopo essere stata sapientemente conciata, serviva per confezionare candide pellicce.

Le nostre oche domestiche assomigliano molto all’Oca selvatica grigia, anche se hanno un aspetto più pesante; la distinzione del sesso non è facile, perché nei due sessi la colorazione è identica; solo in età adulta, in alcune razze, il maschio è riconoscibile perché più grosso.
Nel recente passato il suo allevamento era molto sviluppato, specialmente nell’Emilia Romagna e Veneto.

Allevare oche non richiede molto, è sufficiente un prato per il pascolo, più o meno ampio a seconda del numero dei soggetti che si vogliono tenere, e acqua, anche poca, perché l’oca non è come l’anatra, ama soprattutto pascolare. I tarsi, situati al centro del corpo, sono molto più lunghi di quelli delle anatre, questa particolarità conferisce loro un passo più sicuro.
Se dispongono di sufficiente alimento verde sarà sufficiente, ogni tanto, un pastone di pane, cruschello di frumento e farina di granoturco oltre ad un po’ di grani, niente di più.
Ho letto, in un vecchio libro, che in Pomerania Occidentale – Regione a nord est della Germania da cui proviene l’omonima razza e dove fino alla metà del secolo scorso l’allevamento era particolarmente sviluppato – un ragazzo, al mattino, passando nei pressi dei villaggi suonava a distesa un corno e, da ogni casolare, uscivano branchi di oche che il ragazzo stesso conduceva al pascolo, come un gregge di pecore. Alla sera le oche rientravano al Paese e ciascun gruppo ritrovava la propria casa.Un agricoltore, mio vicino, ha un bellissimo gruppo di oche bianche, sempre immacolate nonostante stiano tutto il giorno nei campi; molto indipendenti, le trovo addirittura sulla strada a più di un chilometro di distanza dai loro prati, sempre tranquille e con aria indolente, senza fretta e senza paura, si spostano, quando passo in macchina, quando sono a piedi allungano il collo e sembra mi redarguiscano con il loro verso per averle disturbate.
Quando non le vedo le cerco con lo sguardo e spesso le intravedo in fondo al prato nel ruscello e mi viene da pensare: che bella vita fanno!Intorno all’età di sei mesi, a seconda della razza, le femmine iniziano a deporre, ma è bene per la riproduzione usare soggetti di almeno un anno compiuto. Un’oca può dare buoni risultati fino ai 4/5 anni; dopo, la fertilità ed il numero di uova calano.

morfologia ocaIl gruppo ideale è formato da un maschio e tre femmine ed è bene che siano soggetti della stessa età, specialmente le femmine, altrimenti il maschio tende a preferire la più giovane (però!!) snobbando le altre. Mai il gruppo deve avere due maschi, si disturberebbero a vicenda.

La scelta dei riproduttori va fatta standard alla mano e non si deve incorrere nell’errore: più grosse più belle. A parte la fecondità, che non è compatibile con la grossezza, lo Standard va anche seguito per la mole.Le nostre oche un tempo erano riconosciute come eccezionali produttrici di uova e carne prelibata, ma erano anche apprezzate per la loro robustezza e facilità di allevamento; per queste loro doti furono esportate in tutta Europa. Sono sicuro che molte razze oggi esistenti in altri Paesi hanno il sangue delle oche italiane.

Sul libro Standard inglese, con prima edizione datata 1956, si legge:
«Non ci sono dubbi che, in Germania ed Olanda del nord, fu usata l’oca bianca italiana per creare la Embden, incrociandola con le loro indigene bianche.»

Oggi l’Oca non è più allevata come una volta e quei pochi soggetti che si vedono provengono dai tanti mercati di provincia, dove parole come morfologia, colorazione, disegno o produzione hanno poca importanza, ma agli inizi del secolo scorso, fino ad oltre la metà, l’oca faceva parte di quel patrimonio avicolo da conservare gelosamente nelle sue caratteristiche morfologiche di colorazione e di produzione.
La selezione, volta nel tempo a migliorare la produzione o l’aspetto, ha fatto sì che si creassero varietà con caratteri stabili dovuti anche al rapporto con l’ambiente e, quindi, al clima ed alla nutrizione.

fonte: www.fiav.info

Bergamo. Il corpo del padrone morto divorato dal suo cane

carabinieri«Quel cane ha fatto una scelta di vita: ha ubbidito all’istinto di sopravvivenza che sta nel suo dna come in quello dell’uomo»: conviene affidarsi alle parole di un esperto per trovare un senso alla macabra fine di Armando M., 48 anni, uomo solo e provato dalla vita, trovato morto per cause naturali nel suo appartamento nel centro di Bergamo. Era lì da circa tre settimane, aveva accanto a sé Nanà, il cane che in questo lasso di tempo si è sfamato dilaniando il padrone.

Da prima di Natale l’appartamento al secondo piano di via Sant’Alessandro era piombato nel silenzio: normale, secondo i vicini, perché Armando, padre separato e senza lavoro, carattere introverso, ogni tanto partiva per mete misteriose e per un mese o due nessuno lo vedeva più. Nemmeno Nanà, il beagle che gli era compagno inseparabile da almeno tre anni, ha dato segni di vita, nemmeno un guaito.

L’ex moglie di Armando nei giorni scorsi aveva provato più volte a contattare l’uomo, senza successo; qualche amico a Natale aveva mandato un sms di auguri, senza ottenere risposta. Martedì la donna, spaventata, ha fatto denuncia ai carabinieri: «Non ho sue notizie da ottobre».

Carabinieri e vigili del fuoco hanno provato ad aprire la porta e dall’interno finalmente il cane ha dato segni di vita. Apprensione e speranza si sono intrecciate per qualche istante fino a quando la porta si è spalancata su uno spettacolo raccapricciante: disordine dappertutto, il corpo di Armando steso a terra insanguinato e la carne strappata sulle braccia e le gambe. Il medico legale dirà che la morte risale a circa tre settimane fa, durante le quali il cane si è cibato di carne umana.

«Non dobbiamo sorprenderci — commenta Felice Castelli veterinario e consulente nel caso Green Hill — del comportamento del beagle: è un animale come l’uomo e persino all’uomo in condizioni disperate è capitato di dover mangiare la carne dei suoi simili. È prevalso l’istinto di sopravvivenza per salvarsi». Sorprende anche che il cane per tre settimane non abbia fatto sentire la sua presenza. «Il beagle ha in istinto chiassoso, specie quando sente la preda. Ma stavolta può essere capitato che anche il cane sia rimasto traumatizzato dalla situazione».

Claudio Del Frate – Corriere della Sera – 11 gennaio 2013

Il padrone è morto, ma il cane va a messa tutti i giorni

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La storia del pastore tedesco “Ciccio”, sta commuovendo il web…

Una vicenda che ha commosso il web, arriva in queste ore da Brindisi, e vede protagonista “Ciccio”, un pastore tedesco di 12 anni, che in queste ore, grazie alla sua fedeltà e amicizia nei confronti del suo padrone, ha letteralmente commosso il popolo del web.

Ciccio, da qualche mese è rimasto orfano della sua padrona, morta alla giovane età di 57 anni, ma il pastore tedesco in questo lasso di tempo non ha mai dimenticato la sua padrone e ogni mattina, per “renderle omaggio”, si reca in Chiesa, e si mette nel posto dove era solita sedersi la signora Maria, ascoltando la Messa al posto suo.

La storia di Ciccio, sta commuovendo il web: non è il primo caso di totale “devozione” da parte di un animale nei confronti del suo padrone.  Così, il parroco, intenerito, dal gesto del cane, gli permette ogni mattina di prendere parte alla funzione.

Scoiattolo grigio: 2 milioni di euro per sterminare il «clandestino»

Per salvare quello rosso europeo. Gli esperti: «Così restano i più forti: combattere importazione e commercio»

MILANO – Gli converrebbe tingersi il manto di rosso. In caso contrario, lo scoiattolo grigio farà una brutta fine. È stato approvato pochi giorni fa un piano che prevede lo sterminio dello Sciurus carolinensis, lo scoiattolo grigio. I metodi previsti per l’eliminazione sono da film horror: avvelenamento con topicidi, inalazione di gas, rottura del collo.

Piano contro lo scoiattolo grigio

Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio

DIFESA – Gli animalisti sono insorti a difesa di Cip: «L’eradicazione dello scoiattolo grigio com’è prospettata da Unione europea, ministero dell’Ambiente e dalle Regioni Lombardia, Piemonte e Liguria è mortificante dal punto di vista etico e clamorosamente errata dal punto di vista scientifico. Si spendono quasi 2 milioni di euro per lo sterminio ma non si vieta la commercializzazione di una delle tante specie arrivata in Europa perché qualcuno l’ha comprata in negozio e rilasciata sul territorio», tuona il presidente di Gaia Animali & Ambiente, Edgar Meyer. Mettiamo che l’opinione di un animalista puro penda dalla parte degli animali. Ecco allora il parere dell’etologo Roberto Marchesini, autore di un’infinità di libri sulla relazione tra l’uomo e le altre specie: «Ho già visto la gassificazione di nutrie e colombi: sono state campagne fallimentari. Fatte per ridurre il numero di soggetti, hanno ottenuto il risultato opposto perché si è operata una selezione della specie: sono sopravvissuti i soggetti più forti, che si sono moltiplicati. Più si seleziona una specie, più aumenta di numero. Sarebbe molto più interessante investire in un piano per il controllo demografico e in uno studio utile per capire se il declino dello scoiattolo rosso, attribuito alla presenza di quello grigio, sia da attribuire davvero a quest’ultimo. Non si conosce la causa della decimazione di molte specie, penso agli anfibi, in particolare a tante varietà di raganelle ormai quasi scomparse».

SPECIE ALIENE – Le specie aliene come vengono chiamati gli animali alloctoni che minacciano il nostro ecosistema è lunga: si va dal pesce siluro allo scoiattolo grigio americano, dalla tartaruga azzannatrice a quella dalle guance rosse, dai gamberi killer della Louisiana ai pappagalli, dalle cozze zebrate ai visoni, dalle nutrie ai procioni. Nell’ambiente europeo sono state rilevate oltre 11 mila specie esotiche (vegetali e animali). Janez Potočnik, commissario Ue per l’Ambiente, ha dichiarato: «Il costo dei danni causati da specie invasive al nostro patrimonio naturale è valutato a 12 miliardi di euro ogni anno».

COMMISSIONE UE – La Commissione sta cercando di arginare il problema lavorando in tre direzioni: prevenzione, rilevamento precoce e reazione rapida e, infine, eradicazione di specie invasive al fine di ridurne gli effetti negativi. In quest’ultimo step rientra l’azione rivolta allo scoiattolo grigio. Ma come arrivano in Italia gli animali esotici o alloctoni? Il trasporto globale può aver prodotto l’involontario import di insetti e larve: il punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus) è arrivato così.

COMMERCIO – Ma è l’uomo che rilascia nell’ambiente gli animali. «Molte specie sono state introdotte dai commercianti, che dovrebbero farsi carico delle vendite sconsiderate di animali esotici nei loro negozi: non spiegano che una tartaruga in poco tempo diventerà grande come un foglio A4 e tu dovrai condividere con lei la vasca da bagno. Non dicono quale sofferenza l’animaletto che compri al bambino patirà nel monolocale cittadino, prima che lo rilasci in un bosco o in mare», spiega Marchesini. Che aggiunge: «Le nutrie da dove arrivano se non da quegli allevamenti per fare pellicce di castorino così in voga negli anni Settanta? Le pratiche venatorie sono un altro problema: vengono immesse specie nell’ambiente su richiesta dei cacciatori, e quando quella specie si è ambientata e riprodotta fuori misura, si chiamano i cacciatori, che sono l’origine del problema, per risolvere il problema: è successo per i cinghiali in molte zone d’Italia. I pesci siluro? Li hanno voluti i pescatori. Tutto ruota attorno all’uomo, ma chi ne fa le spese sono sempre gli animali».

MINACCE – Cosa succede quando una specie aliena, tartaruga o scoiattolo che sia, è introdotta nell’ambiente di fianco a una specie autoctona? «La nostra tartaruga (Testudo hermanni) si è trovata in difficoltà perché quelle dalle orecchie rosse, più voraci, hanno sottratto cibo: la catena alimentare è la stessa. Un altro rischio è che accoppiandosi con la Testudo graeca, ad esempio, generi ibridi sterili. Le minacce sono di vario tipo: possono arrivare soggetti con maggiori capacità di acquisizione delle risorse e che si riproducono». Il responsabile è sempre l’uomo. Lo scoiattolo grigio fu portato in Italia da un diplomatico americano nel 1948, e rilasciato in un parco di Torino. La cozza zebrata pare sia arrivata attaccata alle chiglie delle imbarcazioni. I pappagalli sono scappati o sono stati liberati da qualche gabbia. Le tartarughe davano fastidio nella vasca da bagno. E ora 1.930.000 euro verranno investiti in nome della salvaguardia della biodiversità per gasare gli scoiattoli grigi. È la logica umana.

Anna Tagliacarne

fonte: corrieredellasera.it

Cesar Millan dog Whisperer

Cesar Millan, noto esperto di comportamento canino oltre che autore di diversi best-seller, è uno degli specialisti più ricercati nel campo della riabilitazione dei cani[1]. Sfruttando il suo grande talento per la comunicazione con gli animali, Cesar lavora per recuperare, e riportare a una vita normale e serena cani problematici di ogni razza e dimensione. La metodologia applicata da Cesar si basa su una profonda comprensione del comportamento del branco. Lui stesso possiede una muta di circa 50 cani, in cui rottweiler, pitbull e pastori tedeschi riescono a vivere insieme in totale armonia. Diversamente dalla maggior parte degli addestratori, che tendono a relazionarsi con un animale alla volta, Cesar spesso usa il suo stesso branco come cellula sociale contaminante per rieducare i cani recalcitranti: cosi facendo i cani che hanno bisogno di correzione possono migliorare apprendendo dai membri più equilibrati del branco, proprio come succede in natura. Per questo nel 2002 fondò un centro di educazione canina e recupero di casi pericolosi, il “Cesar Millan Dog Psychology Center”, a sud di Los Angeles[1], trasferendosi successivamente nel 2009 nella metropoli californiana. È in questa struttura che vengono tenuti tutti i cani di Cesar Millan, ed è qui che vengono accuditi dallo staff e dal veterinario e naturalmente da Cesar stesso che quotidianamente fa svariate ore di esercizio fisico insieme a loro sulle colline di Santa Monica.
Infanzia

Cesar Millan è nato a Culiacán, in Messico[1] Trascorse gran parte della sua gioventù nel ranch di suo nonno, dove i suoi migliori amici e compagni di giochi furono i cani della fattoria. Fu qui, nei fine settimana e nei giorni di vacanza, a contatto con gli animali, che Cesar acquisì una profonda conoscenza del comportamento canino potendo osservare i loro rituali e l’approccio che il padre e il nonno avevano verso questi animali. E fu proprio suo nonno ad insegnargli la lezione che ancora oggi considera la più importante: “non agire mai in contrasto con madre natura”. Nella dedica del suo libro “L’uomo che parla ai cani” Cesar Millan ringrazia il nonno Teodoro Millan Angulo e il padre Felipe Millan Guillen per “avergli insegnato ad apprezzare, rispettare e amare la natura”. Da bambino era appassionato dei serial tv “Rin Tin Tin” e “Lassie”, e l’abilità degli addestratori televisivi, che notava dalla bravura dei cani, lo impressionò al punto da fargli desiderare di diventare il miglior addestratore di Hollywood.
Trasferimento in U.S.A. e le prime esperienze lavorative

All’età di 21 anni Cesar Millan tentò di attraversare la frontiera degli Stati Uniti come clandestino[1], con soli 100 dollari in tasca, per cercare di realizzare il suo sogno: sarà con i pochi dollari rimasti, dopo il pagamento fatto a coloro che gli fecero attraversare la frontiera, che Cesar si ritrovò nella città di San Diego. Dopo circa un mese di permanenza negli U.S.A. trovò il suo primissimo lavoro come addetto alla toelettatura; grazie ai buoni profitti di questo lavoro poté trasferirsi, dopo non molto, ad Hollywood per lavorare in uno dei più importanti centri di addestramento per cani degli Stati Uniti. Qui, contro il parere dei colleghi, Cesar usava condurre contemporaneamente più cani delle razze comunemente considerate pericolose (rottweiler, pitbull, mastini, etc) e cosi facendo comprese che i cani più recalcitranti si calmavano influenzati dall’atteggiamento calmo e remissivo di quelli più equilibrati e fu grazie a questo che nacque una delle linee guida del metodo Dog Whisperer – Uno psicologo da cani, “il potere del branco”. Fu durante il periodo di lavoro presso questa importante scuola di addestramento che Cesar venne avvicinato da un ricco ed importante uomo d’affari che gli propose di lavorare non come educatore di cani, bensì come addetto alla pulizia del suo parco auto: oltre ad offrigli uno stipendio gli promise un’automobile, una Chevy Astrovan dell’88. Grazie alla nuova mobilità acquisita Cesar Millan decise di fondare la Pacific Point Canine Academy, la prima attività di lavoro di sua proprietà: partì con una giacca, il logo della ditta, dei biglietti da visita, ma soprattutto un’idea ben chiara di ciò che voleva diventare; ora guadagna 100 milioni di dollari all’anno.
La svolta del Dog Whisperer

È grazie al passaparola generatosi dalle conoscenze del suo importante datore di lavoro, che nutriva una grande stima nei confronti di Cesar, che iniziò a farsi conoscere in tutta Los Angeles. Grazie al suo nuovo datore di lavoro iniziò anche a farsi una certa pubblicità e le sue capacità giunsero all’orecchio di Jada Pinkett Smith, moglie del famoso attore Will Smith. I due gli chiesero di far lavorare i loro tre cani, cioè portarli a correre con sé tutti i giorni insieme al suo gruppo di cani che allora comprendeva sette dobermann e due rottweiler. Dopo circa quattro anni dal suo arrivo negli Stati Uniti Cesar Millan entrò in contatto con l’élite di Hollywood, e grazie alle raccomandazioni della sua ultima cliente riuscì a lavorare per Ridley Scott, Vin Diesel, Michael Bay, Barry Josephson[1], e da qui partì un effetto a catena. Ma Jada Pinkett Smith, che ora è una delle sue più grandi amiche, fece per lui molto più di questo: gli pagò un insegnante che gli insegnasse a parlare inglese alla perfezione. A questo punto sempre più entusiasta della sua nuova missione e dei sui nuovi mezzi didattici cominciò a studiare e leggere tutto ciò che trovava sulla psicologia canina, due libri in particolare saranno molto significativi per lui, “La mente del cane” di Bruce Fogle e “Dog psychology: The Basics of dog training” di Leon F. Whitney. Nel frattempo Cesar Millan incontrò e sposò sua moglie Illusion e grazie al suo aiuto, di lì a poco, fondò il suo primo Dog Psychology Center su un terreno preso in affitto a Los Angeles.
Impegno sociale

Nel 2007 Millan ha fondato una associazione no-profit, la Millan Foundation, che ha come missione la riabilitazione e il soccorso di cani abbandonati e maltrattati e favorire le relazioni tra cani e persone. In più finanzia programmi di castrazione e sterilizzazione di cani per ridurne o eliminarne la sovrappopolazione.

Progetto “Shelter Stars”: si prefigge di aiutare i canili sottoscritti ad insegnare l’educazione base e i rudimenti di psicologia canina a chi adotta: regalando un libro e una serie di dvd istruttivi di Cesar Millan.

Progetto “Spay And Neuter”: nato per diffondere la cultura della sterilizzazione e della castrazione per evitare che tanti cani e gatti, 5 milioni ogni anno, finiscano per essere eliminati. Per far questo vengono distribuiti volantini, affissi poster a colori, mandati spot televisivi e vengono fatte campagne di informazione presso le scuole.

Progetto “Mutt-i-grees Curriculum” in collaborazione con North Shore Animal League e Yale University’s “School of the 21st Century.”: Permette un approccio innovativo alla formazione umana degli studenti nelle aree di “Intelligenza emotiva e abilità di socializzazione”. La fondazione Millan insegna come prendersi cura degli altri, mostrando empatia e rispetto, costruire relazioni e agire eticamente e responsabilmente – nelle loro interazioni con i pari, gli adulti e con gli animali. Inoltre pone l’attenzione del pubblico e dei media sulla situazione dei cani e dei gatti nei rifugi per le adozioni.

Riconoscimenti

2005 – La Humane Society of the United States
Premio speciale per la riabilitazione degli animali
2006 – International Association of Canine Professionals
Nominato membro onorario della International Association of Canine Professionals
2006 – Premio Emmy
Nomination Outstanding Reality Program (per Dog Whisperer)
2007 – Premio Emmy
Nomination Outstanding Reality Program (per Dog Whisperer)
2007 – Premio Michael Landon
Per aver ispirato i giovani attraverso la televisione
2008 – Annual Image Awards
Miglior programma di varietà o reality show (per Dog Whisperer)
2008 – Treasure of Los Angeles
Nominato “Treasure of Los Angeles” per il suo contributo alla città di Los Angeles
2009 – Premio Emmy
Nomination Outstanding Reality Program (per Dog Whisperer)
2010 – People’s Choice Award
Programma sugli animali preferito dagli spettatori (per Dog Whisperer)

Filmografia
Cinema

Beethoven – A caccia di Oss… car!, regia di Mike Elliot (2008) – Se stesso
Piacere, sono un po’ incinta, regia di Alan Poul (2010)

Televisione

Ghost Whisperer – Presenze – serie TV, episodio 2×18 (2007) – Se stesso
South Park – serie TV cartone, episodio 10×7 (2007)
Bones – serie TV, episodio 4×04 (2010) – Se stesso
The Apprentice – Sei stato licenziato! – Reality show (2010) – Giudice

Critiche

I metodi utilizzati e proposti da Cesar Millan sono stati contestati da alcuni Ordini dei Veterinari, educatori e associazioni cinofile, associazioni protezionistiche in quanto considerati superati e pericolosi. Questo perché, come le Associazione Animaliste e quelle veterinarie Italiane sostengono, l’uso dei collari a strozzo vengono oramai ritenute delle coercizioni al cane.

(EN) Beyond Cesar Millan
(EN) The Dominance Controversy, Dr. Sophia Yin, The Art and Science of Animal Behaviour
(EN) Dog Whisperer Training Approach More Harmful Than Helpful, Blauvelt, R (2006) (pdf)
(EN) VIN News Service – Veterinary Behaviorists Question Dominance Theory in Dogs, 5 febbraio 2009
(EN) Science Daily – If You’re Aggressive, Your Dog Will Be Too, Says Veterinary Study, 18 febbraio 2009
(EN) Huffington Post – Experts Say Dominance-Based Dog Training Techniques Made Popular by Television Shows Can Contribute to Dog Bites, 18 maggio 2009
ANMVI Oggi – La veterinaria disapprova il metodo Millan, 12 ottobre 2009
Comunicato stampa ANMVI – I Veterinari italiani disapprovano i metodi di Dog Whisperer, 13 ottobre 2009
Comunicato ASETRA – The Dog Whisperer, 29 ottobre 2009
ANVI Oggi – Cesar Millan utilizza collari elettrici?, 21 gennaio 2010
Comunicato ENPA – Stockdale è la nostra risposta a Millan, 20 aprile 2011

Nel 2006, la “American Humane Association” (AHA) ha richiesto che National Geographic Channel interrompesse la messa in onda di Dog Whisperer[2], sostenendo che le tecniche di addestramento mostrate nel programma fossero disumane, superate e improprie[3]. Nel Novembre 2009, Millan ha invitato la AHA sul set di Dog Whisperer dove, secondo Millan, “hanno cambiato la loro concezione di cosa è crudele[4]”. L’associazione ha dichiarato a Febbraio 2010 che “nonostante le notevoli differenze di visione presenti in passato e alcune persistenti aree di disaccordo, condividono molte aree di interesse con Millan[5]”. Tramite il sito di National Geographic Channel Cesar Millan e lo stesso National Geographic Channel hanno risposto a tutte le critiche che gli sono state fatte nel corso delle varie stagioni di Dog Whisperer.
Opere

L’uomo che parla ai cani (con Melissia Jo Peltier) (Cesar’s Way: The Natural, Everyday Guide to Understanding and Correcting Common Dog Problems, 2007) (Salani editore, 2008) (ISBN 978-8884519757)
Il capobranco sei tu (con Melissia Jo Peltier) (Be the Pack Leader: Use Cesar’s Way to Transform Your Dog . . . and Your Life, 2007) (Salani editore, 2010) (ISBN 978-8862561846)
Uno di famiglia (con Melissia Jo Peltier) (A Member of the Family: Cesar Millan’s Guide to a Lifetime of Fulfillment with Your Dog, 2008) (Salani editore, 2011) (ISBN 978-8862562676)
Come allevare il cane perfetto (con Melissia Jo Peltier) (How to Raise the Perfect Dog: Through Puppyhood and Beyond, 2009) (Salani editore, 2012)
Cesar’s Rules: Your Way to Train a Well-Behaved Dog, 2010 (con Melissa Jo Peltier) (Inedito in Italia)

Asino

STORIA e preistoria

(lo abbiamo bastonato e sfruttato per secoli, ora lo facciamo estinguere…)

Le prime tracce di domesticazione dell’asino risalgono al 4000 a.C., nel basso Egitto, mentre in Europa i primi ritrovamenti appartengono all’epoca tra quella del bronzo e quella del ferro.
Oltre che lungo le coste dell’Africa orientale-settentrionale, vive ed ha vissuto nella Siria, in Mesopotamia, nell’Afghanistan, nella Persia, nella Russia asiatica meridionale, nel Tibet, nella Mongolia, ecc.
Dagli asini selvatici africani deriverebbero i ciuchi armati di pazienza destinati a fare la parte più dura dei lavori di una volta, in cambio di un magro pasto; senza mai dar peso al fatto di esser eletto simbolo dell’ignoranza e della testardaggine.

E’ sempre stato allevato da contadini che non avevano i mezzi per selezionarne razze, quindi è rimasto molto simile, anche nelle abitudini, al suo antenato selvatico che viveva in branco in ambienti desertici; è in grado di nutrirsi anche mangiando anche rovi secchi e spinosi e di sopportare molto bene la sete. Le striature caratteristiche che l’asino ha sul dorso, da una spalla all’altra, sono il segno della stretta parentela con la zebra.
Bassorilievi assiri mostrano le prime figure di muli, quindi l’asino ha da sempre alleviato le fatiche di molti, ricchi e poveri girando la mola, portando pesi, trainando carri e aratri… (img: mulino.jpg) ma anche fornendo carne, cuoio e latte (che tra l’altro è ottimo come composizione nutritiva, meglio di quello vaccino).prime tracce storiche di orecchie lunghe addomesticate
Va considerato che la sua ben nota testardaggine è data da una cattiva interpretazione del fatto che è difficile forzare chiunque a fare qualcosa che contraddica i suoi istinti di conservazione;
date le bastonate e i lavori che comunque svolgeva merita un plagio alla pazienza che dimostrava: solo quando crollava a terra ci si rendeva conto di averlo caricato troppo.
Dopo millenni di servizio, alcune razze rischiano ora l’estinzione, persino le poste italiane nel 2007 hanno pubblicato un francobollo che rappresenta le razze italiane a rischio di estinzione.

ETOLOGIA
(son guidati dall’asina più saggia, prima di scalciare avvertono più volte…)

branco bradoNel 1936 grazie a K. Lorenz, K. Von Fish e N. Tinberg naque l’etologia, disciplina che si dedica allo studio dei comportamenti degli animali, soprattutto alle differenze tra comportamenti istintivi e appresi, la possibile derivazione genetica dei comportamenti e il comportamento comparato con altre specie.
Le condizioni precarie che l’asino ha dovuto sopportare nei secoli gli hanno conferito il carattere che ha oggi:
– è paziente.
– è pacifico.
– è attento (perchè se non badava lui a se stesso e a dove metteva i piedi, nessun’altro se ne preoccupava di sicuro).
– è intelligente (riflessivo più di un cavallo).
Basta fare un piccolo sforzo di immaginazione per capire che tante delle esperienze dell’asino nei secoli erano vissute a bastonate e morsi alle orecchie, quindi come può reagire ad un bambino che vuole solo giocarci insieme, con rispetto?
E’ interessante scoprire, frequentando un somaro per qualche tempo, che prima di scalciare lo anticipa con colpi di coda, poi picchia in terra i piedi e solo se a questo punto si insiste magari il calcio arriva, ma piuttosto che scalciare preferisce solitamente allontanarsi di qualche passo.
Per capire l’asino bisogna fare uno sforzo e accettare il principio fondamentale secondo cui se l’uomo è più intelligente, toccherà a lui scendere al livello dell’asino per comunicare: già lo facciamo coi bambini piccoli, imitando il loro modo di parlare li agevoliamo per essergli più vicini e permettergli di comunicare meglio con noi.
Se avrete la fortuna di conoscere un asino vi accorgerete che sarà sempre meno cosciente l’intervento per pensare come lui.
Somaro attento.Gli asini comunicano attraverso il linguaggio del corpo: la mimica, la posizione della coda, i versi, i movimenti del corpo, delle zampe e delle orecchie (orecchie abbasssate all’indietro sono cattivo segno, alte e ritte sono segno di attenzione e curiosità)…

Allo stato selvatico gli asini vivono in famiglie non troppo numerose composte dalle madri coi rispettivi piccoli (nascono più spesso femmine). Lo stallone tollera i giovani maschi nel branco, ma, quando ai primi calori iniziano a interessarsi alle femmine e a lottare tra loro o a sfidarlo, li caccia; spesso gli allontanati formano branchi separati.
Sono dotati di un ampio repertorio di comportamenti sociali, e il branco non è guidato dallo stallone come tra i cavalli, ma dall’asina più saggia, spesso la più anziana.

L’asino selvatico vive in luoghi pietrosi e desertici con scarsa vegetazione (per questo mangia anche i rovi, anche con le spine) spesso son costretti dal clima anche a periodiche migrazioni. In alcuni esemplari si può notare una riserva di grasso che va dalla nuca alla coda che come le gobbe dei cammelli serve per fare scorte d’acqua per le traversate di zone aride.
Se l’appellativo “ASINO” si riferisce ad una personalità libera, indipendente, non influenzabile, ad una natura che non si lascia sottomettere e dominare, se “ASINO” è il nomignolo che si attribuisce a chi manifesta un comportamento che non si lascia addomesticare, beh allora dare dell’ASINO a qualcuno dovrebbe essere un complimento.

VETERINARIAL'arte della mascalcia si applica anche al piede nudo degli asini.
(se fosse ferrato non sarebbe somaro…)

Le uniche cure di cui necessita sono quelle del maniscalco per la pareggiatura degli zoccoli e quelle del veterinario per le vaccinazioni e per la svermatura. Magari una limata ai denti ogni tanto per pareggiarli, dato che sono in crescita continua. Animale robusto, difficilmente dimostra sofferenza, bisogna osservarlo attentamente, magari quando mangia, per capire se ha problemi.

http://www.asinofenice.it

Capre Tibetane

Nome comune:
Capretta tibetana

Nome scientifico:
Capra hircus domestica

Paese d’origine:
Ande peruviane e cilene

Morfologia:
Piccolo ruminante alto circa quaranta centimetri al garrese, mantello folto e duro di vari colori. I maschi presentano corna robuste, pizzo ed odore caratteristico intenso.

Alimentazione:
Fieno, erba, cereali, come tutte le capre ama il sale

Riproduzione:
Le femmine raggiungono la maturità sessuale a sei mesi, partoriscono dopo 21 settimane circa due, raramente tre capretti subito attivi

Allevamento:
In recinto con piccola stalla per la notte e l’inverno. Le femmine sono decisamente più facili da gestire, i maschi sono talvolta un po’ aggressivi

Consigli:
Evitate i maschi a meno che non vogliate vedere l’accoppiamento ed i capretti. Per risolvere il problema dell’odore intenso l’unica possibilità è la sterilizzazione

Se potessimo disporre della macchina del tempo e viaggiare sulle montagne dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa settentrionale di qualche migliaio d’anni fa vedremmo che erano popolate da branchi di piccoli ruminanti, agilissimi e capaci di arrampicarsi senza difficoltà sui dirupi più scoscesi. I nostri antenati diedero a questi mammiferi, progenitori di tutte le capre domestiche, il nome di Egagri o Capre del bezoar a causa della concrezione presente nel loro stomaco, per lungo tempo considerata medicamentosa, detta appunto bezoar o belzoar.

Dall’Egagro o da una specie selvatica simile detta Capra prisca, si pensa siano derivate tutte le razze di capre domestiche grandi e piccole oggi allevate dall’uomo. Si tratta di animali che, pur nella domesticità, hanno conservato alcuni caratteri peculiari dei loro antenati come la combattività, l’agilità e l’adattabilità a condizioni alimentari estreme e, comunque, improponibili per tutti gli altri ruminanti.

Particolarmente docili, simpatiche e robustissime sono le caprette nane del Tibet, oggi presenti in tutti gli zooparchi come attrazione per i piccoli ed i meno piccoli, che difficilmente ne possono ignorare la sfacciata invadenza. Le piccole capre tibetane, fatte salve le dimensioni, si presentano con la tipica struttura morfologica di una capra tradizionale, pelame più lungo e folto, corna possenti e un pizzo arrogante nel maschio.

Come tutte la capre si affezionano morbosamente a chi le accudisce e, le femmine soprattutto, diventano particolarmente ossessive nel loro attaccamento fino a piangere e disperarsi se vengono lasciate sole. Allevare in un giardino le caprette tibetane è facilissimo, occorre solo ricordarsi che, per la capra gli arbusti ornamentali sono cibo e nulla più. Si deve quindi disporre di un piccolo appezzamento di terra recintato con una stalla-casetta in legno ben coibentata per l’inverno, si deve anche prevedere un mini fienile nel quale conservare all’asciutto il fieno che rappresenta, insieme ad altri prodotti di natura vegetale, la base dell’alimentazione della capra.

Trovare sul mercato i capretti di un paio di mesi è facilissimo, sono reperibili sia nelle fiere del bestiame che si svolgono un po’ dovunque nelle nostre campagne, sia su ordinazione in qualsiasi negozio specializzato. Si tratta sempre di animali bellissimi e dolcissimi che si presentano come miniature dell’adulto di cui possiedono già l’agilità e la simpatia. In pochi mesi raggiungono le dimensioni definitive che, in ogni caso, non superano quasi mai i quaranta-cinquanta centimetri al garrese, cioè alla spalla. Come tutte le capre sono curiose e addentano un po’ tutto, chi pensasse quindi di lasciare che vaghino libere in giardino si troverà presto le aiuole ridotte a dune sahariane.

Maschio o femmina? Sicuramente femmina, il maschio, una volta raggiunta la maturità sessuale, manifesta una inevitabile e devastante caratteristica negativa: il classico puzzo di caprone che è veramente intenso ed insostenibile anche per i più tolleranti. Chi volesse nonostante tutto tenere un maschietto farà bene a ricorrere all’intervento del veterinario che, chirurgicamente, rimuoverà la causa prima del cattivo odore rendendo però l’animale inidoneo alla riproduzione. Chi a tutti i costi desiderasse allevare un maschio intero, ovvero sessualmente attivo per farlo riprodurre, dovrà rassegnarsi all’ammorbante olezzo o, in alternativa, volendo far coprire la propria femmina, potrà ricorrere ad un maschietto in prestito lasciando ad altri il tormento olfattivo.

Le caprette tibetane raggiungono la maturità sessuale sui sei %u2013 sette mesi e presentano una serie di cicli da settembre a gennaio, partoriscono dopo ventuno-ventidue settimane uno o due capretti vivacissimi, mobilissimi e subito in grado di attaccarsi ai capezzoli. Robustissime e frugali le piccole tibetane resistono bene agli inverni anche rigidi, sono facili da alimentare e raramente si ammalano, ovviamente richiedono un minimo di attenzione per quanto riguarda soprattutto l’alimentazione che deve essere limitata a foraggio di buona qualità integrato con poca frutta o verdure.

di: Dr. Michele Venneri

Per Approfondimenti è disponibile un libro on-line visionabile QUI

Greyound levriero inglese

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Greyound levriero inglese, nati per correre…

Greyound, il nome: due sono le ipotesi che possono spiegare questo nome: la prima fa riferimento alle origini greche di questo levriero (grec > grey); la seconda al Chien Gris de Saint Louis antenato di numerosi segugi francesi e britannici.

Nazionalità: Gran Bretagna

Impieghi tradizionali: caccia e corse (coursing e racing)

Possibili utilizzi: compagnia, pet therapy, agility

Classificazione: cane dolicomorfo di tipo graiode (secondo la classificazione di Paul Mègnin). Classificazione F.C.I. Gruppo 10 (Levrieri), sezione 3 (Levrieri a pelo raso).

Origine: Le origini del Greyhound si perdono nella notte dei tempi. Si pensa derivi dai levrieri orientali: è raffigurato in alcuni graffiti della regione sahariana risalenti all’età neolitica e ricorda il Tesem egizio, il cane longilineo sovente rappresentato su manufatti e bassorilievi dell’antico Egitto. Alcuni pensano che sia giunto in Europa nell’antichità, ad opera dei Fenici, secondo altri il suo arrivo in continente risale al medioevo delle crociate (XII/ XIII sec.) portato dai cavalieri di ritorno dall’oriente. Quel che è certo è che abbiamo numerose immagini (soprattutto arazzi e dipinti) risalenti all’Europa del XVI secolo. Numerosi artisti, tra cui il celebre Brügel il Vecchio (1525.1569) ritrassero questi nobili segugi chiamati “Levrieri di Bretagna”. Proprio agli inglesi si deve la selezione del Greyhound moderno Dapprima lo utilizzarono per la caccia a lepri e conigli selvatici abbondanti che devastavano I raccolti, poi nel XVI , sotto il regno della regina Elisabetta I (che amava molto questi cani) la generica “caccia alla lepre” fu trasformata in sport . Il duca di Norfolk, infatti, stabilì le regole del coursing ovvero l’inseguimento di una lepre viva da parte di una coppia di levrieri. Le corse dei levrieri rimasero appannaggio esclusivo della nobiltà fino agli anni ’20 quando un americano, Charles Munn perfezionò la “lepre meccanica”. Con la lepre meccanica nacque il racing, il tipo di corsa a cui ancora oggi possiamo assistere nei cinodromi. I levrieri non gareggiano più in coppia, bensì in batteria e il pubblico può scommettere sul vincitore. Si tratta di un passatempo molto popolare nei paesi anglosassoni, meno nell’Europa continentale.
Standard: (FCI n. 158/b- 24 giugno 1987)

Aspetto Generale:
Costruzione forte, imponente, con proporzioni generose, buona potenza muscolare e struttura simmetrica, con testa e collo lunghi, spalle proporzionate e ben inclinate, torace profondo, tronco spazioso, lombi arcuati, posteriore e anteriore possenti, arti e piedi solidi, l’elasticità degli arti mette in rilievo le doti distintive della razza.

Caratteristiche: Notevole vigore e resistenza.

Temperamento: Intelligente dolce, affettuoso, ed equilibrato.

Testa e cranio: Lunga di moderata larghezza, cranio piatto, stop poco marcato. Mascelle potenti e ben cesellate.

Orecchie: Piccole, fini, ed a “rosa”.

Bocca: Mascelle robuste. Dentatura perfetta, regolare, completa chiusura a forbice, cioè non incisivi superiori del tutto sovrapposti a quelli inferiori e perpendicolari alle mascelle stesse.

Collo: Lungo e muscoloso, elegantemente arcuato, ben inserito nelle spalle.

Anteriore: Spalle oblique, ben inclinate all’indietro, muscolose senza essere pesanti, con scapole strette e ben definite. Braccia lunghe e diritte, con buona ossatura sia per consistenza che compattezza. Gomiti sciolti e ben posizionati sotto le spalle. Metacarpi di lunghezza moderata, leggermente inclinati. Gomiti, metacarpi e piedi in appiombo.

Tronco: Torace disceso e profondo, di buona capacità per dare adeguato spazio al cuore. Coste lunghe, ben cerchiate e inclinate. Fianchi scavati. Dorso piuttosto lungo, largo, squadrato. Lombi possenti, leggermente convessi.

Posteriore: Cosce e gambe larghe e muscolose, capaci di grande potenza propulsiva. Articolazione femoro-tibiale ben angolata. Garretti bassi e in appiombo. Il disegno del tronco e degli arti posteriori è di ampie proporzioni e ben compatto, con ampia base d’appoggio.

Piedi: Di lunghezza moderata, con dita compatte e ben arcuate, cuscinetti plantari spessi.

Coda: Lunga, inserita piuttosto bassa, grossa alla radice, si assottiglia verso l’estremità. E’ portata bassa e leggermente ricurva.

Andatura: Falcata sciolta, diritta, radente, allungata, che consente di coprire molto terreno a grande velocità. Gli arti posteriori sono portati ben sotto il tronco ed hanno una grande capacitò di propulsione.

Mantello: Pelo fine e compatto.

Colore: Nero, bianco, rosso, blu, fulvo, daino, tigrato; ognuno di questi con o senza bianco.

Altezza: Altezza ideale: cm 71-76 per I maschi, cm 68-71 per le femmine.

Difetti: Ogni deviazione dello standard è da considerarsi un difetto che va penalizzato secondo la gravità.

Nota: I maschi devono avere due testicoli di aspetto normale, ben discesi nello scroto.
Carattere

Calmo,dolce, riservato con gli estranei, equilibrato, discreto nelle sue manifestazioni di affetto dimostra il suo attaccamento al padrone, con sguardi, colpetti dati con la zampa o appoggiando il muso sulle ginocchia del suo amico umano. Amichevole con gli altri cani è però da tener d’occhio in presenza di animali di piccola taglia (conigli, gatti, piccoli cani) in cui potrebbe identificare delle prede. Ciò non toglie che in molti casi, è possibile abituarli alla convivenza con il gatto di casa . Il levriero inglese a pelo raso abbaia pochissimo e adora viaggiare in auto. Il Greyhound, pulito e quasi inodore, è un ottimo cane d’appartamento ( a patto che gli si assicuri un adeguato movimento), apprezza le comodità ed è molto pigro tra le mura domestiche rimanendo però pronto a scattare alla vista di una possibile preda. E’ consigliabile tenerlo sempre al guinzaglio in prossimità di strade in quanto preso dalla foga dell’inseguimento (non dimentichiamo che può raggiungere una velocità compresa tra I 60 e gli 80 Km/h !) potrebbe non accorgersi delle automobili in arrivo, sganciatelo solo in parchi e spazi sufficientemente aperti. E’ adatto a chi: vuole un amico discreto e desidera instaurare un rapporto paritario con il proprio cane. Il Greyhound non è adatto a chi desidera l’obbedienza cieca dal proprio cane, vi obbedirà solo se lo riterrà giusto.
Note: nei paesi anglosassoni, dove il racing è molto diffuso, è pratica comune dare in adozione a privati I cani che hanno terminato la loro carriera agonistica, dando loro la possibiltà di ricevere l’affetto e le coccole che non hanno potuto ricevere in precedenza. Questi Greyhound, dalla morfologia leggermente diversa dal tipo da esposizione, si adattano rapidamente alle loro nuove vite. In Italia è possibile adottare I cani del cinodromo di Roma.

Salute

I Greyhound sono cani fondamentalmente sani e non soffrono di molti delle malattie ereditarie comuni in altre razze (per esempio displasia dell’anca è molto rara negli individui di questa razza). Ciò detto bisogna ricordare che I Greyhound (e I levrieri in genere) sono particolarmente sensibili agli anestetici e all’ipertermia. Per maggiori informazioni sulla salute del Greyhound visitate la sezione veterinaria del sito www.adopt-a-greyhound.org

Hanno scritto: “A molti il levriero provoca un senso di disagio perché non sembra il buon vecchio Fido del focolare domestico ma un cane aristocratico, distante. In effetti lo è. L’aristocrazia è nel blasone. Però il suo darsi arie non è debolezza umana, o se volete, debolezza canina, ma prerogativa genetica. Macchina superspecializzata nella caccia alla corsa, è difficile da confondere con le altre razze di cani. […] E’ un cane, ma con sue proprie peculiarità. Non c’è un pezzettino in lui, che non sia in funzione di ciò per cui è stato realizzato. Nessun altro cane ha I suoi occhi, fatti per vedere la preda anche da chilometri di distanza. Nessun altro cane ha le sue gambe, fatte per correre a una velocità che oscilla fra I 60 e gli 80 chilometri all’ora. Nessun altro cane ha il suo tronco, che è ridotto all’essenziale come si conviene a una macchina da corsa. […].E’ un cane, e come tutti I cani ha con l’uomo rapporti di infinita disponibilità. Ma chi gli rimprovera di non essere il buon vecchio Fido che scodinzolando porta il giornale fra I denti deve solo incolpare se stesso. E’ nella corsa che il levriero esprime la propria intelligenza di lupo. E’ sapienza delle gambe, è ansia di predazione, e’ determinazione nell’affondare I denti nel corpo della preda. Perché il levriero, come il lupo, non fa prigionieri, la sua pulsione è uccidere. A vederlo, con quel corpo di vetro, proprio non sembra un lupo. Eppure, per altri aspetti, ne è l’esaltazione. In Leonardi, R. “Contropelo”, ed. Frontiera.

ADOTTARE UN LEVRIERO

PERCHÉ ADOTTARE PROPRIO UN LEVERIERO?

Perchè scegliere un levriero?E’ difficile far capire che cosa si prova ad avere in casa un levriero, è difficile spiegare le senzazioni che ti fa provare, e soprattutto è difficile che la gente ti creda.
Siamo “di parte” è inevitabile, ma la cosa più bella è che quando “provano” un levriero ti dicono: “avevi ragione, siamo letteralmente conquistati la lui/lei, è come se fosse cresciuto in casa nostra, come se fosse stato con noi da sempre”.
Per noi è routine, splendida routine, che non tutti capiscono, anzi spesso ci prendono come dei mitomani, invasati che raccontano “favole”, eppure, quando toccano con mano un’adozione di un levriero, ci danno ragione, e divulgano il nostro progetto di Adozioni Levrieri GACI, con naturalità.

Il levriero, purezza di forme, plasticità, perfezione di linee, pulizia ed eleganza, un mondo silenzioso, cauto, riservato ed estremamente affascinante.
Sono creature diverse, sembrano quasi “alieni”, perchè al di fuori dal loro aspetto molto diverso dai cani comuni, i levrieri si differenziano anche per il loro carattere, per le loro caratteristiche fisiche e metaboliche…per il loro modo di vivere con noi.

Opportunisti per eccellenza, pigri, ladri scaltri e silenziosi, nati “liberi di cuore”, con sempre una vena malinconica nei loro occhi, come se stessero aspettando un qualcosa che nessuno è in grado vedere, forse una libertà “vecchia, passata” fatta di gloria e potenza….ormai dimenticata dalla cattiveria ed egoismo umano.

“Sorprendenti levrieri”…..
Pensare che li prendiamo tutti da ambienti dove per un verso, o per l’altro, li hanno sfruttati come atleti, o cacciatori, dove non li hanno mai scoperti del tutto, mai capiti, ma solo demoliti fisicamente e psicologicamente.
Il bello del levriero non è solo estetica, ma quello che hanno da offrirti, il loro cuore, sono la sintesi di una moltitudine di sfumature che ti rapiscono per sempre.
Sensibili, miti, devoti, silenziosi, puliti e tanto intelligenti….sì. perchè l’intelligenza non si misura a prendere una pallina lanciata da noi…l’intelligenza sta nell’adattarsi ad un ambiente nuovo, capire gli umori le regole di una famiglia, captare i momenti i tempi, le emozioni.
Il mondo dei levrieri è un mondo “diverso”, sono quasi l’incrocio meraviglioso tra il cane e il gatto e quello che ne viene fuori è l’esseza pura…il levriero, un’animale che nei secoli si è adattato a noi in climi e ambienti diversi, e noi l’abbiamo “dimenticato”
Il levriero compagno dell’uomo da millenni, è forse la creatura che ci conosce meglio nelle nostre debolezze e cattiverie, per questo continua a subire da noi senza mai, purtroppo essere aggressivo o ribelle.

Adottare un levriero, non è da tutti, sono cani che spesso vengono scambiati come cani tristi, apatici, poco intelligenti….snob…
Non vogliamo che sia un cane “di moda”, il levriero si deve amare, scoprire così com’è…tanto da non riuscirne più a fare a meno.

Noi del GACI li recuperiamo da vite in gabbia, dove l’unico contatto umano è per cacciare o correre…poi improvvisamente, gli apriamo un box su un furgone e ve li consegniamo, diamo il via alla loro nuova vita, …..queste spaesate creature vengono letteralmente avvolti dalle vostre braccia, per la prima volta….e qui scatta la magia.
Magia levriera, cani che sbocciano nelle vostre case, tra i vostri famigliari che conquistano anche i più duri e scettici.
I levrieri, in particolare quelli recuperati, ci studiano, ci spogliano, perchè loro devono capire se si devono fidarsi per poi finalmente vivere.

Creature con una sensibilità incredibile, custodi di bambini o anziani senza che mai nessuno gli l’ha mai insegnato nulla, e questo da subito, dal momento che sentono di essere finalmente al sicuro.
Recuperati in discariche con ancora sul corpo i segni di un passato terribile, ma pronti a dare un’altra occasione, perchè loro sono diversi, loro non sono umani.
Un levriero te lo devi meritare, lo devi amare, capire e non solo lodare esteticamente, un levriero si concede solo a chi ha saputo farsi leggere il cuore.

La nostra missione che da anni promoviamo qui in Italia, è quella di far conoscere questo magico mondo, centinaia di famiglie ci hanno dato fiducia, hanno visto le testimonianze sul nostro sito, hanno provato questa esperienza, e adesso sono felici, ma per coronare questa esperienza si sono fatti consigliare e non solo hanno “scelto quello che più era più bello o più colorato”.

Il nostro compito, il nostro lavoro lo sappiamo fare molto bene, e abbiamo da ANNI testato centinaia di levrieri, e di famiglie. Fatevi consigliere anche su quale levriero è meglio per casa vostra, in base alle vostre abitudini, ai vostri ambienti, ai vostri componenti di casa….noi non abbiamo una vetrina dove scegliere come in un supermercato, noi diamo creature con cuore ed emozioni, e soprattutto siamo molto seri , scrupolosi e severi in quello che facciamo, perchè li conosciamo bene e non vogliamo ancora deluderli, non se lo meritano!

Se non siete pronti o avete dubbi, non siete fatti per stare con un levriero, lui ha bisogno di voi e senza limitazioni, non siete pronti a far parte del mondo del GACI. Se volete un levriero per “abbandonarlo” in giardino, o per lasciarlo spesso solo e senza attenzioni….allora, mai scoprirete veramente cosa vi può offrire questa creatura, ma vi mostrerà solo il peggio di lei diventando impossibile la convivenza.

Adotta un levriero, ma solo se sei pronto ad entrare in questo strano mondo silenzioso, e soprattutto pensaci, 1000 volte +1

GACI- Greyhound Adopt Center Italy
ADOZIONI LEVRIERI ITALIA
La nostra forza e serietà la vedi nelle nostre TESTIMONIANZE di ADOZIONI

www.adozionilevrieri.it

Il cavallo della giara

Il cavallo della giara

cavallo giara

Il Cavallo della Giara deve il suo nome al toponimo che designa in Sardegna un altopiano dove vive allo stato brado. L’Altopiano della Giara è di origine vulcanica dai ripidi versanti che rendono difficili i collegamenti con i terreni vallivi, che si estende per 4.500 ettari ad una altitudine tra 1.500 e 1.600 metri nel comprensorio dei Comuni di Genoni, Gesturi, Tuili e Setzu, nella Sardegna centro meridionale. Il clima di tipo mediterraneo presenta precipitazioni prevalenti nelle stagioni autunnale e invernale ed aridità estiva e inizio autunnale unita ad un’alta ventosità.

Cavallo di tipo mesodolicomorfo di dimensioni ridotte, con testa solitamente gentile ed espressiva, con occhi tipicamente a mandorla, collo forte e ricco di crini, groppa tendente al corto, coda con folti crini, cosce muscolose ed arti sottili con appiombo regolare. Il mantello è prevalentemente baio, con presenza di soggetti baio scuri e, con frequenza minore, morelli e sauri. Rarissime le balzane e le macchie a sede fissa della testa.
La prima testimonianza storica della presenza di cavalli allo stato brado in Sardegna risale al 1540 e documenti successivi raccontano la esistenza nel 1700 di numerose mandrie selvatiche.
È lecito ipotizzare che l’eterogeneità allora presente nelle mandrie brade dell’isola abbia caratterizzato la popolazione fondatrice dell’attuale cavallino della Giara, eterogeneità morfologica che si e mantenuta fino ad oggi.
L’ambiente in cui vivono i cavalli è caratterizzato da pascoli naturali e copertura boschiva con presenza di sughere, lecci, roverelle ed arbustive tipiche della macchia mediterranea.
Negli ultimi 25 anni la popolazione sembra essere oscillata tra 1.500 e 1.900 capi.
Fino agli anni 1950 pressoché l’intera popolazione veniva annualmente condotta a valle per la marchiatura e il prelievo di alcuni soggetti che venivano utilizzati nei lavori agricoli. Definitivamente soppiantati dalle macchine agricole, negli anni ’60 venivano invece macellati e impiegati per la sella.
Nel 1976 si costituita l’Associazione del Cavallo Sardo della Giara che si propone di salvaguardare il Cavallo nel suo ambiente naturale e di valorizzarne l’utilizzo come cavalcatura pony.

 

 

RISCHIO ESTINZIONE

I circa 600 cavallini che vivono nella Giara del Gesturi sono a rischio denutrizione.
Le foto scattate in queste ultime settimane ci mostrano la gravità della situazione: sul dorso dei cavallini si intravedono le costole. Sono piccoli e fragili, cercano invano un po’ d’erba che non c’è perché ormai da mesi sulla Giara di Gesturi, nella Sardegna del Sud, provincia del Medio Campidano, non piove. I cavallini stanno vagando senza energie sui circa 4 mila ettari dell’altipiano contendendosi quel po’ di cibo che è rimasto con mucche brade, apparentemente senza padroni.

FACEBOOK SI MOBILITA

Le immagini che ritraggono le condizioni degli animali denutriti pubblicate su Facebook e corredate da un appello: non una raccolta di denaro, difficile da gestire, piuttosto offerte di fieno, avena e foraggio. In questi giorni le prime balle donate dagli allevatori del posto sono state distribuite grazie al lavoro di volontari e una cooperativa che vigila sulla Giara. Una catena che ha coinvolto centinaia di persone accomunate dal desiderio di aiutare i cavallini, con interventi anche da oltre Tirreno.

Sarebbe bello che dalla Fieracavalli di Verona, che si apre giovedì e che dà sempre tanto spazio alle razze italiane, venisse un contributo reale per salvare questi cavallini sardi.

 

IL PASCOLO CONTESO

La sopravvivenza dei cavallini è legata alla coabitazione forzata con i bovini che sono allevati allo stato brado.

La Regione segue con attenzione la vicenda legata allo stato di salute dei Cavallini della Giara e, dopo avere già gettato le basi per un progetto di salvaguardia (già dallo scorso agosto con un’ordinanza il comune di Gesturi ha sancito la necessità della cattura delle muccheanche per «fronteggiare lo stato di emergenza sanitaria e di igiene pubblica, a preservare il mantenimento di un livello elevato di tutela della salute animale e umana, e a salvaguardare lo stato di salute e di benessere dei cavallini della Giara».) che coinvolgerà anche altri enti e amministrazioni locali, aggiunge al programma un sopralluogo per verificarne direttamente sul posto le effettive condizioni.

COME AIUTARE

Chiunque fosse interessato ad offrire del fieno o del foraggio, può farlo telefonando al seguente numero:  388 16 42 358  (lun/ven dalle 8 alle 20).

Canarini

Il Canarino (Serinus canaria) è un piccolo uccello da canto che è membro della famiglia dei fringuelli.

Questo uccello è originario dell’isola di Madeira e delle Canarie, dalle quali prende il nome, anche se il nome di queste isole deriva a sua volta dal termine latino “cannariae” (cane), datogli dagli antichi romani per via dei numerosi cani selvatici che le abitavano.

Il suo habitat è costituito da aree semi-aperte come frutteti o sottobosco, dove nidifica nei caespugli o sugli alberi.

La varietà selvatica è di colore giallo-verde, con striature sul dorso. Con circa 13 cm di lunghezza, è più grosso e meno contrastato del Verzellino (Serinus serinus), ed ha più grigio e marrone nel suo piumaggio.

Il suo canto è un cinguettare argenteo, come quello del Cardellino (Carduelis Carduelis).

I canarini sono popolari uccelli da gabbia, e ne sono state prodotte razze di diverse tonalità. I moderni canarini domestici variano in colore dal praticamente bianco, passando per ilcrema chiaro, oro, giallo acceso, arancio fino al rosa-arancio.

Tenere dei canarini, per il loro aspetto e il loro canto, è una tradizione vecchia di secoli.

I canarini erano un tempo regolarmente usati nelle miniere di carbone, come primitivo sistema di allarme. La presenza di gas tossici nelle miniere, come il monossido di carbonio, avrebbe ucciso i canarini prima ancora di avere effetto sui minatori. Poiché i canarini tendono a cantare per gran parte del tempo, fornivano a questo scopo un segnale visibile e udibile. L’uso dei canarini nelle miniere britanniche non venne abbandonato prima del 1986.

I canarini sono spesso ritratti nei cartoni animati, dove vengono molestati dai gatti domestici; il più famoso canarino dei cartoni animati è Titti.

Con il nome canarino comprendiamo tutte le razze che l’uomo con secoli di allevamento ha derivato dall’originario canarino selvatico.

Sembra che la storia del canarino domestico inizi nel 1402 con la conquista dell’arcipelago delle Canarie ad opera degli Spagnoli i quali conobbero e apprezzarono subito questo grazioso uccellino sia per il suo canto notevole sia per la facilità con cui si abituava alla vita captiva. Il minuscolo alato, denominato “canario” dagli iberici (canarino in italiano),divenne in breve tempo oggetto di un florido commercio e si diffuse pian piano in tutta Europa.

I primi canarini si trovavano solo presso i ricchi a causa del loro costo elevato in seguito, la canaricoltura si estese anche alle classi meno agiate.

Dalla Spagna il canarino si diffuse ben presto in Olanda, Italia e Inghilterra. Nel secolo passato la maggiore diffusione del canarino si ebbe in Germania specialmente in Sassonia (da cui la denominazione “canarino sassone”).

Oggi come tutti sanno il canarino, con le sue numerosissime razze, è il volatile da gabbia più diffuso al mondo.

L’ALIMENTAZIONE

I canarini vanno nutriti con una miscela di semi, regolarmente integrata con sostanze vegetali come la verdura e la frutta, con minerali e con un alimento di particolare valore proteico. Nei canarini da canto la tecnica di alimentazione e’ strettamente connessa con la produzione di valenti cantori. La formula d’una miscela idonea dei canarini da canto e’ la seguente:

Ravizzone……..60%
Scagliola……..20%
Canapa…………5%
Niger………….5%
Avena………….5%
Papavero……….3%
Lino…………..1%
Lattuga………..1%

Durante il periodo di addestramento al canto dei giovani maschi bisogna pero’ somministrare per circa un mese esclusivamente del Ravizzone, con dell’aggiunta, un paio di volte la settimana, d’una miscela di altri semi che puo’ essere la seguente:

Scagliola……..50%
Canapa………..10%
Niger…………10%
Avena…………10%
Papavero……….8%
Lino…………..6%
Lattuga………..6%

Per tutti gli altri canarini potra’ essere usata la seguente:

Scagliola……..35%
Niger…………20%
Panico………..10%
Ravizzone……..10%
Avena…………10%
Canapa…………5%
Lino…………..5%
Cardo………….5%

Due o tre volte la settimana sara’ opportuno somministrare in separata mangiatoia una piccola dose di un’altra miscela composta in parti uguali di grani di lattuga, cicoria e papavero. Questi semi sono considerati condizionatori, servono cioe’ a mantenere i canarini nella fomra migliore durante tutto l’anno e soprattutto nel periodo della riproduzione. E’ anche bene appendere nella gabbia una spiga di panico dalla quale gli uccelletti spiccheranno i semi con particolare piacere. I semi sono l’alimento base dei canarini ma non deve essere considerato l’unico. Tutti gli uccelli granivori hanno bisogno regolarmente di sostanze vegetali fresche. Le verdure piu’ gradite dai canarini sono: lattuga, cicoria, scarola, cavolo, broccolo, spinaci, indivia, radicchio. Esistono pero’ degli altri ortaggi molto graditi da questi uccelli, come: fave e piselli freschi e dolci, cetriolo freso, pomodoro maturo, carota. E’ bene somministrare ai canarini anche dei pezzetti di aglio e di cipolla, che avendo notevoli proprieta’ anti fermentative e acaricide, giovano molto alla salute. Le verdure vanno somministrate ben lavate e accuratamente asciugate, perche’ i vegetali intrinsi d’acqua possono causare disturbi intestinali. Per quanto riguarda la frutta, la mela e’ la piu’ indicata e gradita da tutti i canarini, ma ugualmente accetti possono risultare gli altri frutti di stagione. Ogni tipo di frutta va somministarto in piccole porzioni tali da essere consumate prima che vadino a deteriorarsi. E’ consigliabile somministrare ai canarini una o due volte la settimana una fettina di rosso d’uovo sodo oppure fornire loro giornalmente del biscotto all’uovo. I canarini nel periodo della riproduzione, necessitano di maggiori sostanze proteiche sia per essi sia per la prole che devono imbeccare. A questi soggetti bisogna fornire un pastone apposito, il cosidetto pastoncino all’uovo, che molti allevatori preferiscono confezionare in casa. La ricetta e’ la seguente: mescolare amalgamando bene parti uguali di rosso d’uovo sodo e biscotto polverizzato con l’aggiunta di carota grattuggiata, bagnare il tutto con qualche goccia di succo di mela. Il pastone deve risultare soffice e moderatamente umido; per le razze molto selezionate e’ opportuno arricchirlo con l’aggiunta di un pizzico di sali minerali ed eventualmente con un po’ di omogeneizzato carneo vitaminizzato del tipo in uso per lo svezzamento dei bambini. La preparazione deve essere giornaliera perche’ il composto si deteriora facilmente. Tutti i canarini, durante l’anno, dovranno disporre di integrativi minerali, tra cui l’osso di seppia. Ma importanti sono pure i sali minerali e ancora piu’ importante e’ il grit, costituito da un insieme di piccoli corpi duri insolubili che gli uccelli ingoiano per facilitare la triturazione del cibo. Nelle localita’ dove l’acqua potabile non e’ ottima, sara’ bene fare uso di un filtro oppure sostituirla con acqua minerale non gassata. E’ buona abitudine aggiungere all’acqua da bere delle sostanze che giovano alla salute degli uccelli, cioe’ succo di limone, aglio e bicarbonato di sodio. Una volta la settimana si aggiunga all’acqua, nella dose di 5 gr per litro, del bicarbonato di sodio che e’ un regolatore delle funzioni digestive, e gli altri sei giorni si ponga nell’acqua alternativamente alcune goccie di succo di limone che fungono da disinfettante, facilitando la digestione e un pezzo di spicchio d’aglio dal buon potere disinfettante soprattutto delle vie respiratorie

LA RIPRODUZIONE :

Per la nidificazione dei canarini bisogna osservare certe regole e adottare determinati accorgimenti. Occorre, anzitutto, assortire la coppia. Per quanto riguarda la natura del piumaggio, ricordare che bisogna unire soggetti a piumaggio intenso e soggetti a piumaggio brinato. In linea generale e’ preferito che sia la femmina ad avere piumaggio brinato. Una volta accoppiati i due volatili bisogna favorire il processo di familiarizzazione, ed e’ buon metodo farli svernare da soli nella medesima gabbia, in modo che abbiano modo di abituarsi uno a l’altro prima degli accoppiamenti. L’inizio delle cove deve avvenire alla fine di Marzo meglio ancora entro Aprile o Maggio. Vi sono allevatori che utilizzano un mashio per piu’ femmine. Si puo’ dire che di norma conviene lasciare uniti maschio e femmina in modo che portino insieme a conclusione il ciclo riproduttivo, cosi’ come si verifica in natura. Alla gabbia da cova si puo’ applicare il porta nido esterno a gabbietta fin dall’immissione della coppia, ma non si deve fornire il materiale destinato all’imbottitura del nido fino a quando la canarina non mostri per chiari segni di volerne iniziare la preparazione. Vi sono canarine che dimostrano di non essere all’altezza di costruire il nido in tal caso l’allevatore deve aiutarla. Puo’ succeder che la femmina inetta distrugga l’opera dell’allevatore disperdendo il materiale; in tal caso si deve ripeter l’operazione fino a quando non avra’ inizio la deposizione delle uova, perche’ a partire da questo momento la canarina pensera’ soltanto a covare e non danneggera’ piu’ il nido. Il numero delle uova depositate varia di regola da 3 a 5, piu’ raramente 2 o 6 o 7; in casi eccezzionali possono venir deposte 8 o 9 uova. L’uovo espulso per primo ha una colorazione piu’ chiara degli altri e viene chiamato “uovo azzurro”. Le femmine tendono a dare inizio alla cova dopo aver deposto il secondo o il terzo uovo, il che rende opportuno, togliere le uova a mano a mano che vengano deposte, sostituendole con uova finte onde evitare una schiusa sfalsata con il rischio che gli ultimi nati vengano sopraffatti dai fratelli al momento dell’imbeccata. Le vere uova devono essere conservate entro una scatoletta imbottita di ovatta e rivoltate ogni giorno per evitare che il tuorlo si decentri rendendo piu’ difficile la futura schiusa. L’incubazione dura tredici giorni, ma puo’ prolungarsi fino a quattorddici quindici giorni se la femmina non e’ stata covatrice assidua o se la temperatura ambientale e’ stata particolarmente bassa. Durante la cova deve essere consentito alla canarina di effettuare il bagno perche’ cio’ serve a mantenere nel nido il grado di umidita’ che e’ necessario per la schiusa. Se la canarina rifiuta il bagno e’ opportuno, un paio di giorni prima della schiusa delle uova, spruzzare lievemente le uova con acqua tiepida. Si tenga presente che le canarine sentono il bisogno d’ una certa penombra; il portanido va quindi schermato mediante un panno verde che ricordi il protettivo schermo della vegetazione. Verso il sesto settimo giorno di icubazione, ponendo le uova contro luce e’ possibile accertare se l’embrione e’ in fase di sviluppo perche’ l’uovo fecondato appare in trasparenza scuro mentre quello infecondo e’ chiaro. I canarini nascono pressocche’ nudi, con gli occhi chiusi. La loro alimentazione sara’ costituita dal pastoncino all’uovo con cui verranno imbaccati i genitori. Per evitare che i genitori non accettino il nuovo alimento, piccole dosi di pastoncino devono essere somministrate ai riproduttori due o tre volte la settimana fin da un mese prima dell’accoppiamento. Il pastoncino all’uovo serve anche a mantenere i rirpoduttori in buone condizioni fisiche e in perfetta forma. Verso il diciottesimo giorno di vita il giovane canarino e’ completamente formato, pur distinguendosi chiaramente dagli adulti. Anche dopo usciti dal nido i piccoli continuano ad ever bisogno dell’imbeccata dei genitori, di regola fino ai venticinque giorni di eta’, con una certa differenza in piu’ o in meno per le razze tardive o precoci. Quasi sempre possono venir separati dai genitori verso il ventiseiesimo – ventottesimo giorno di vita. La femmina raramente completa lo svezzamento della nidiata prima di essere presa dallo stimolo di una nuova nidificazione che insorge verso il diciottesimo – ventesimo giorno dalla schiusa della prima covata. La prole continuera’ ad essere svezzata dal maschio fin quando non sara’ indipendente. Qualora accada che la madre spiumi la prole, e’ necessario dividere in due la gabbia da cova mediante un divisorio a sbarre che tenga i figli da una parte e i genitori dall’altra. Davanti al divisorio si porranno due posatoi sistemati in modo da consenstire i genitori di continuare a imbeccare la prole attraverso le sbarre. Una volta svezzati i nidiacei dovranno essere spostati in una gabbia molto spaziosa che permetta agli stessi di esercitarsi nel volo. E’ saggia norma non permettere alla canarina di effettuare piu’ di due covate l’anno. Per fronteggiare all’inconveniente di un abbandono di una cova, e’ norma precauzionale fare in modo che due o piu’ canarine inizino a covare lo stesso giorno.

CANARINO GLOSTER

Descrizione generale
Il Gloster si può annoverare tra i canarini inglesi di forma e posizione lisci più simpatici e aggraziati.

La razza è di origine inglese, di taglia minuta (intorno ai 12 cm) e di corporatura tondeggiante, caratteristiche principali nella razza, alle quali vanno accomunate altre peculiarità che sono sagoma graziosamente arrotondata, piumaggio serico e composto e aderente al corpo, portamento gaio e vivace, ali corte ben aderenti al corpo con punte che s’incontrano, senza incrociarsi appena sopra la base della coda, gambe di media lunghezza, coda corta e ben stretta per tutto il suo sviluppo. Il ciuffo non deve essere troppo piccolo ma nemmeno tanto grande da coprire gli occhi raggiungendo la punta del becco. L’ampiezza ideale dovrebbe stare a metà occhio. Esistono due tipi di gloster, il corona che presenta il ciuffo (netto, regolare, non spezzato, di forma rotonda, che lascia vedere l’occhio) e il consort, senza ciuffo, ma con testa larga e rotonda in ogni punto con vertice bombeggiante. Il piumaggio di questo canarino deve essere folto e ben aderente al corpo. Le tinte preferite sono quelle unite: giallo, bianco, isabella, verde e blu; particolarmente apprezzati i soggetti chiari con il ciuffo e la parte superiore del capo di color scuro. Un buon ciuffo oltre ad essere ben formato deve avere giuste dimensioni. I Gloster hanno canto dolce e melodioso che ricorda quello del Malinois e sono molto prolifici.

Alloggio

Il gloster può essere alloggiato nelle classiche gabbie per canarini, il più possibile spaziose (55/60 cmdi lunghezza), ottime le gabbie in ferro zincato con fondo estraibile in lamiera o in plastica. La gabbia deve avere la forma di parallelepipedo, assolutamente sconsigliate le gabbie che si sviluppano in altezza e le gabbie circolari. Il fondo deve essere dotato di una griglia in modo da evitare che il canarino venga a contatto con gli escrementi e le muffe che talvolta si possono formare. Il gloster non va mai esposto a sbalzi di temperatura: è un canarino che sopporta molto bene le basse temperature (comunque mai sotto i 5°C) ma rischia di ammalarsi se la gabbia viene spostata repentinamente dal caldo al freddo.

Alimentazione

La dieta di un Gloster deve comprendere, oltre al misto di semi per canarini, spighe di panico, osso di seppia, mattonella di sali minerali, frutta e verdura da offrire giornalmente, soprattutto mele, carote, pomodori maturi, zucchine, cetrioli, centocchio e tarassaco. L’acqua deve essere offerta fresca ogni giorno. Il pastoncino all’uovo, particolarmente appetito dal Gloster, non deve essere somministrato più di due volete alla settimana, essendo un prodotto molto grasso e proteico. Si deve offrire invece a volontà durante la stagione riproduttiva, insieme ai semi germinati e qualche camola della farina, e nel periodo invernale se i canarini sono alloggiati all’esterno.

Riproduzione

La stagione riproduttiva inizia verso la fine dell’inverno, generalmente nel mese di marzo. Nell’assortire la coppia è assai importante che solo uno dei due canarini sia corona, perché il gene del ciuffo è di tipo letale e se portato da entrambi i genitori non consente la nascita di soggetti sani e vitali. L’accoppiamento giusto è quindi “corona” x “consort”. Alla coppia va fornito un normale nido per canarini con il materiale per foderarlo (rametti di legno, striscette di stoffa, filamenti di iuta…); la canarina depone in media quattro uova che cova per circa 14 giorni. In genere i Gloster sono ottimi genitori e imbeccano i novelli fino al loro completo svezzamento, che avviene verso i 25-30 giorni di età.

FONTI :

www.synapsis.it
www.inseparabile.com/Uccelli/canarino.htm
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
http://www.animalinelmondo.com
www.best-gloster.com

Bengalino o Diamante Mandarino

Il Bengalino ( Diamante Mandarino )

Il diamante mandarino è un simpatico uccellino appartenente alla famiglia degli Estrildidae di carattere docile e vivace molto prolifico e di facile allevamento. Il diamante mandarino raggiunge i 10cm di lunghezza e il colore della livrea può essere dei più svariati, esiste infatti una varietà molto numerosa di mutazoni: Diluito, Guancia, Faccia Nera, Ciuffato, Bruno, Dorso Chiaro, Mascherato, Pinguino, Isabella, Becco Giallo, Bianco, Pezzato, Arricciato, Petto Arancio, Agata… .
Questa specie presenta un evidente dimorfismo sessuale: il maschio si distingue dalla femmina per la presenza di guance color arancio acceso, per i fianchi castani punteggiati di bianco, per il colore del becco rosso intenso (mentre nelle femmine è arancione). La femmina non presenta le guance arancioni, ha un colore meno brillante, e non presenta le caratteristiche puntinature bianche sui fianchi presenti invece nel maschio. Inoltre il maschio canta mentre la femmina si limita ad uno sporadico cicaleccio.

Habitat naturale

In natura lo si può trovare in Australia e nelle isole della Sonda, soprattutto nelle zone boscose, lungo i corsi d’acqua ma anche nelle zone aride del continente australiano. Predilige la compagnia dei suoi simili e vive in gruppi numerosi. Adora bagnarsi anche più volte al giorno e per questo in cattività è opportuno mettergli a disposizione uno o più bagnetti.

Alloggio

I diamanti mandarini possono essere alloggiati in gabbie o voliere sia all’interno che all’esterno dell’abitazione. Sopportano bene le basse temperature a patto che la temperatura non scenda mai sotto i 5°centigradi, non superi i 30° e che la gabbia/voliera sia riparata dai fenomeni atmosferici, quali vento, pioggia…
La gabbia deve essere collocata in un luogo fisso e non deve essere spostata in continuazione fuori/dentro casa per evitare pericolosi sbalzi di temperatura.
Le misure minime di una gabbia per una coppia di diamanti mandarini sono 100cm x 50cm x 40cm, il materiale delle sbarre dovrebbe essere di ferro zincato mentre il fondo della gabbia dovrebbe avere un cassetto estraibile di plastica dura (facilmente lavabile) dove mettere fogli igienici e sabbia igienica specifici per volatili. E’ preferibile che sul fondo della gabbia sia presente una griglia (sempre di ferro zincato) per evitare che i diamantini vengano direttamente a contatto con i propri escrementi.

Alimentazione

Una buona soluzione di dieta per diamantini mandarini consiste in una miscela di semi specifici per esotici (composta principalmente da panico, scaiola, miglio bianco e in minor quantità da niger, ravizzone, semi di lattuga e cicoria), integrata giornalmente da frutta e verdura da offrire ben lavate e asciugate e mai direttamente fredde dal frigorifero (questo per evitare problemi gastrointestinali e diarrea). Tra i frutti più graditi si annoverano la mela e il mandarino mentre le verdure maggiormente apprezzate sono gli spinaci, i cetrioli, le zucchine, la lattuga, il centocchio, il tarassaco e la carota. Si può provare di tutto, tranne l’avocado (tossico per tutti i volatili) e il prezzemolo.
Nella gabbia non devono mai mancare un osso di seppia e/o una mattonella di sali minerali e un sifone con dell’acqua fresca da rinnovare giornalmente. Una volta a settimana può essere offerta una spiga di panico, un biscotto specifico per esotici, una fettina di uovo sodo e, in una mangiatoia a parte, del pastoncino all’uovo.
Per i diamantini alloggiati all’esterno dell’abitazione e durante il periodo riproduttivo il pastoncino all’uovo deve essere offerto giornalmente.

Riproduzione

I diamanti mandarini raggiungono la maturità sessuale intorno ai 6 mesi ma è consigliabile non farli riprodurre fino all’anno di età. Il nido che deve essere messo a disposizione può essere di due tipi: o quello classico a pera specifico per esotici (più gradito ai diamantini ma più difficile da ispezionare e pulire) o quello a cassetta di legno verticale con camera di incubazione o con frontale semiaperto. E’ necessario fornire del materiale per l’imbottitura del nido, come ad esempio i fili di iuta in vendita nei negozi di animali, striscioline di stoffa, paglia, fieno, rametti di legno. La femmina depone in media 5/6 uova che cova per circa 12/15 giorni (l’incubazione delle uova inizia in genere dopo la deposizione del secondo uovo). Alla nascita i pulli presentano il colore del piumaggio simile a quello delle femmine, il becco di colore grigio, bruno o bianco a seconda della varietà di colore e un caratteristico disegno del palato denominato puttern buccale, che consente ai genitori di identificarli come propri. Lo svezzamento si completa intorno alla quarta settimana di età e i piccoli diamantini sono completamente autonomi a circa 30/35 giorni, dopo i quali si dovranno mettere in una gabbia separata da quella dei genitori affinchè si esercitino con il volo e con l’esercizio fisico e anche per evitare che i genitori li aggrediscano per prepararsi ad una nuova covata. Importante è non farli covare per più di tre volte all’anno, per non debilitare troppo i diamantini riproduttori.

Passero del Giappone

Il Passero del Giappone è uccello che si presta più di ogni altro ad essere impiegato nell’allevamento degli Astrildidi ed i giapponesi furono i primi ad utilizzarlo a questo fine, seguiti ben presto dagli europei. Come è noto, nel 1960 l’esportazione degli uccelli dall’Australia venne proibita per giuste ragioni protezionistiche.Lo studio del comportamento animale era ancora agli inizi ed i prodotti alimentari disponibili sul mercato non avevano raggiunto l’elevato standard attuale, per cui si fu obbligati a ricorrere a qualsiasi mezzo per riprodurre specie ornitiche delicate e rare.

Intervenne a questo punto il Passero del Giappone che, prodotto di reincroci, non è in possesso di specifiche caratteristiche etologiche e non ha espresso caratteristiche semantiche originali nei propri pulii pur avendo (reincrocio sin che si vuole, ma è un uccello) assunto dalle forme parentali ancestrali il carattere appreso dell’accettazione e del riconoscimento della prole in funzione del luogo in cui questa si trova, e cioè il nido (per la discussione, cfr. TRUFFI, 1980).

Si adatta così con estrema facilità a covare le uova e ad allevare i piccoli di tutte le specie di Astrildidi a becco grosso ed anche alcune di quelle a becco sottile che pure gli sono filogeneticamente meno vicine.Unica condizione per il positivo esito dello svezzamento è che si tratti di uccelli che nei primi giorni di vita non richiedano tassativamente un’alimentazione strettamente insettivora. Anche in questo caso però il risultato può non essere compromesso se si dispone di soggetti preventivamente abituati ad alimentarsi almeno in parte con prede vive, che somministreranno così ai nidiacei loro affidati.

Decisivo, perché l’allevamento abbia luogo, è l’impiego di Passeri del Giappone che abbiano uova o piccoli allo stesso stadio di sviluppo di quelli dei quali devono prendersi cura.

E’ però consigliabile sostituire le loro uova e trasferire ad altri i loro piccoli ad evitare che la stessa coppia debba dedicarsi contemporaneamente all’allevamento dei propri nidiacei (che sarebbero immancabilmente meglio alimentati ed accuditi, almeno in linea di larga massima) e di quelli di altre specie. Da quando, l’allevamento dei diamanti australiani si è rivelato economicamente positivo, le coppie di riproduttori vengono isolate ed alloggiate in gabbie da cova (a volte anche piuttosto anguste) ponendo loro a disposizione nidi rudimentali in cui le femmine depongono uova che vengono regolarmente sottratte e passate alle balie per la cova e lo svezzamento, procedimento che provoca una ovideposizione più numerosa di quanto non si verificherebbe se i genitori naturali dovessero accudire alla propria nidiata.

Si tratta però di una selezione totalmente negativa perché innesca un processo paragonabile a quanto avviene nell’allevamento dei polli o delle quaglie condotto su scala industriale.

I piccoli Astrildidi appena sgusciati dall’uovo vengono imprintizzati dalla specie che vedono per prima (e questo irreversibile processo si verifica in un breve spazio di tempo) e che di loro si occupa; in natura quindi dai propri genitori, nella situazione che stiamo esaminando dai Passeri del Giappone. Nel corso dell’allevamento le cose procedono a tal punto che i giovani svezzati da questi ultimi saranno in seguito incapaci di accoppiarsi con i propri conspecifici, manifestando una netta tendenza preferenziale a scegliere i Passeri del Giappone (con i quali per ef­fetto dell’imprintizzaziane finiscono per identificarsi) come partners sessuali.

E’ questo uno dei motivi per cui negli allevamenti amatoriali di uccelli esotici si incontrano facilmente tanti ibridi con il Passero del Giappone, dovuti il più delle volte al caso.Le balie perciò, ai fini di un corretto allevamento, vanno usate solo in casi estremi e quando non esiste nessun’altra possibilità, per sopravvenuti imprevisti motivi, di salvare uova o nidiacei ed anche in questo caso occorre poi drasticamente isolare i giovani non appena raggiunta l’indipendenza ed allontanare dalla loro vista i genitori adottivi a svezzamento avvenuto.E’ chiaro che le positive caratteristiche di domesticità evidenziate hanno fatto del Passero del Giappone un soggetto ideale per l’ibridazione amatoriale. Quasi sempre sono state impiegate le femmine, proclivi alla deposizione senza difficoltà alcuna, accoppiate a maschi di altre specie, tutte però appartenenti alla famiglia degli Astrildidi.Le vecchie notizie risalenti ad oltre cinquant’anni fa (e mai più riconfermate) relative ad avvenute ibridazioni con il Canarino domestico e forse altri uccelli del genere Serinus appaiono in verità scarsamente credibili.

Elencare le ibridazioni ottenute di cui esiste traccia nella letteratura (non in tutti i casi affidabile) non è cosa semplice e fatalmente si corre il rischio di presentare dati incompleti oppure di prestare a certe notificazioni, necessitanti di verifica, più credibilità di quanto nella realtà non meritino.

Praticata anche negli allevamenti italiani, tanto è vero che alle esposizioni vengono presentati F 1 di notevoli caratteristiche che giustamente ottengono lusinghieri riconoscimenti, l’ibridazione del Passero del Giappone si è sviluppata in tre differenti direzioni.La prima, con precisi intendimenti scientifici e sistematici (scuola tedesca, e molto dobbiamo in questo senso al Russ, che se ne occupò alla fine del secolo scorso) per stabilirne le origini. La seconda (scuola tedesca in un primo tempo, successivamente olandese e danese ed ultimamente ancora tedesca) volta alla ricostruzione di soggetti monocolori scuri e con nette squamature sulle parti inferiori allineate e precise come previsto dai più rigorosi standards di eccellenza, anche se forse attualmente un po’ lontani dallee realtà di allevamento tanto è vero che i criteri di giudizio tedeschi prevedono in ogni categoria sia soggetti con disegno sia a ventre chiaro e non disegnato.La terza, di scuola latina (se così si può affermare, dato che assolutamente nulla di concreto è stato fatto se non lasciando che il caso si sbizzarrisse a suo piacere) si è sviluppata senza alcuna finalizzazione razionale e tendendo a produrre ibridi ai soli fini espositivi, appaganti sotto il profilo estetico, giudicati in relazione alla maggiore o minore estrinsecazione delle caratteristiche delle specie che hanno contribuito alla loro realizzazione.

 

Analizziamole in dettaglio.

 

Allevato dai giapponesi sin dagli inizi del 1700 (e in un tempo relativamente breve arrivarono a selezionarne oltre quaranta varietà, tutte abbastanza stabilmente fissate) e di probabile provenienza cinese, il Passero del Giappone fece la sua prima comparsa in Europa ad una esposizione inglese nel 1860. Successivamente il Russ ne importò alcune coppie in Germania negli ultimi anni dell’ottocento e ne curò l’allevamento, rendendolo se non popolare almeno abbastanza conosciuto con il pubblicarne note pertinenti su una rivista amatoríale da lui diretta.

Per lungo tempo si è ritenuto che all’origine avessero contribuito incroci fra specie e sottospecie asiatiche e persino africane, quali il Domino Lonchura punctulata ed il Becco d’argento Lonchura malabarica cantans, dato che questi uccelli sotto certi aspetti presentano caratteri fenotipici di disegno e colore che richiamano ab­bastanza da vicino quelli del Passero del Giappone. Da qui la tesi ancora oggi diffusa di ” uccello artificiale “.

La letteratura è invece attualmente concorde nell’affermarne la diretta discendénza dal Cappuccino a coda lunga Lonchura striata, anch’esso da lungo tempo presente allo stato captivo negli allevamenti amatoriali asiatici.

Il Cappuccino a coda lunga presenta un’ampia suddivisione in sottospecie e razze geografiche, che hanno tra loro differenze più o meno marcate. Le stesse variazioni si riscontrano nel disegno scuro del Passero del Giappone e non furono inizialmente notate forse perché nei primi ottant’anni del suo allevamento come uccello da gabbia tutte le attenzioni erano dedicate a produrre soggetti pezzati di bianco. Con la domesticazione tutti gli animali manifestano prima o poi uno schiarimento del pelo o delle penne perché non necessitano più di protezione mimetica in quanto già protetti dall’uomo.

Originariamente si ebbero solo alcune parti del piumaggio di colore bianco che a seguito dell’allevamento di selezione si estesero sino allo schiarimento totale con tutte le gradazioni intermedie, da una preponderanza delle zone di colore scuro ad una preponderanza di quelle chiare. Per consentirci di identificare l’effettiva derivazione e collocazione di questi Astrildidi domestici è necessario fare riferimento ad alcune differenze di certe razze originarie di Lonchura striata, i cui areali, ricavati da ALI e RIPLEY (1974) e da CHENG ( 1976 ) sono riportati in cartina.

La forma tipo, Lonchura striata striata (Linneo 1776), è superiormente, compreso testa e collo, di colore quasi esclusivamente nero bruno mentre inferiormente presenta un crema luminoso che a distanza può apparire quasi bianco.

Esistono varie sottospecie, di cui alcune endemícamente insulari, come Lonchura striata fumigata (Walden 1873) delle isole Andamans e Lonchura striata semistriata (Huma 1874) delle isole Nicobar, con il groppone scuro ed altre, tutte continentali, con il grop­pone chiaro, come Lonchura striata acuticauda (Hodgson 1836) in cui il piumaggio nero bruno del dorso viene interrotto solo scarsamente da piccole striscioline chiare longitudinali. Forse per il disegno, ma più sicuramente per ragioni geografiche, le forme subspecifiche con il groppone scuro parrebbero a mio avviso non essere state usate dai cinesi per la selezione del Passero del Giappone, ma piuttosto, oltre a Lonchura striata acuticauda, anche Lonchura striata subsquamicollis (Stuart Baker 1925) il cui areale di diffusione confina con la Cina e Lonchura striata swinhoei (Cabanis 1882) endemica della Cina meridionale.

Sono entrambe di colore ciocco­lato, soprattutto al collo, e presentano su tutto il piumaggio una maggiore striatura. Le parti inferiori sono decisamente grigio bruno. In complesso sono di colori più tenui ed il groppone è spruzzato di grigio. L’aspetto generale è piuttosto monocorde e Lonchura striata subsquamicollis si differenzia da Lonchura striata swinhoei per il groppone ancora più chiaro, simile a quello di Lonchuraa striata acuticauda.

Queste differenze di disegno e di intensità di colore ritornano nella semi totalità dei casi nella maggior parte dei Passeri del Giappone e si possono ancora ritrovare abbastanza riconoscibili nei soggetti pezzati di chiaro. Pezzati più scuri mostrano al collo piume brune più chiare e sono generalmente molto chiari sull’alto petto e nella parte bassa del collo. E’ ancora sufficientemente distinguibile una striatura diritta grigio bruna.

Se invece i Passerí del Giappone fossero derivati (cosa che a mio avviso non è) dalla forma tipo, le zone attorno alla gola e sul groppone avrebbero dovuto essere prevalentemente bianche ed il groppone anche scuro monocolore, come abbiamo ricordato in precedenza accennando alle varie forme subspecifiche. Il groppone dei pezzati con colore di base scuro è di solito lavato di grigio.

Si può ragionevolmente quindi concludere che gli antenati ancestrali si limitino (più che a Lonchura striata acuticauda ) a Lonchura striata subsquamicollis e Lonchura striata swinhoei, mentre invece tutte le deviazioni di colore o disegno sono da ricondursi a mutazioni spontanee oppure ad incroci con altre specie, che ancora oggi esercitano nella discendenza la loro influenza sulle caratteristiche del fenotípo.

Nei primi decenni dell’allevamento del Passero del Giappone la tendenza dei selettori era orientata a far riprodurre i soggetti importati dal Giappone cercando di ottenere sfumature di colore diverse e più chiare. Si ebbe così la creazione di varietà ormai ben codificate, dal bruno al giallastro al crema al nero diluito ai pezzati, sino al bianco.Successivamente si è venuto da anni delineando l’orientamento ad eliminare nuovamente il bianco delle pezzature e la diluizione di colore per ritornare a soggetti completamente scuri. Su base selettiva la cosa però si presenta difficile, dato che si tratta di invertire la tendenza (dopo un secolo di allevamento) che aveva prodotto uccelli in cui il bianco (più o meno esteso e regolare) era quasi sempre presente. In un primo tempo si pensò di procedere, per il ” reincrocio all’indietro “, con le diverse sottospecie di partenza ma ben presto questa strada venne abbandonata dopo aver constatato che nelle varie razze di Lonchura striata, e soprattutto con Lonchura striata acuticauda di cui sul mercato era disponibile e a volte lo è tuttora un’offerta piuttosto ampia, si osservava nell’allevamento in purezza allo stato captivo la comparsa di una pezzatura bianca che iniziando dalla radice del becco si estendeva successivamente in tempi brevissimi (una o due generazioni) alle rimanenti parti del piumaggio.

Fu ritenuto quindi opportuno, ed in parecchi casi positivamente gratificante, l’introdurre sangue nuovo procedendo in direzione di accoppiamenti con specie filogeneticamente vicine (per un esame più approfondito cfr. RADTKE 1979). Senza entrare in questa sede in una analisi tecnica dettagliata dei risultati ottenuti e delle verifiche da questi scaturite, argomenti che dovranno comunque essere oggetto di discussione sulla stampa specializzata e che prima o poi bisognerà affrontare per uscire dal generico e sviluppare, acquisendo nel nostro bagaglio di cognizioni le esperienze conseguite all’estero, un corretto lavoro finalizzato di specializzazione, mi limiterò ad accennare che gli ibridi ottenuti ai fini della ricostruzione della tipicità non presentano, all’occhio del profano, né pregi né caratteristiche particolari ed in sede espositiva sono scarsamente interessanti ( se il giudicante è padrone della materia li valorizzerà nelle voci appropriate della scheda) mentre invece possono costituire materiale validissimo in allevamento per il miglioramento dei ceppi, anche se la fertilità in F 1 riscontrata ( ma assolutamente non generalizzata) nei maschi è pressoché nulla nelle femmine ed è quindi giocoforza continuare l’allevamento in R 1, accoppiando i maschi con Passeri del Giappone femmina o, più raramente, con femmine della specie parentale.

Gli R i presentano buona fertilità anche nelle femmine ed è quindi possibile procedere ad accoppiamenti compensativi e meglio indicizzati soprattutto per quanto si riferisce al tipo, dato che gli ibridi ottenuti possono a volte essere migliorativi ai fini del colore e del disegno ma quasi sempre presenteranno caratteristiche debordanti per la sagoma, troppo affusolata in alcuni casi e troppo raccolta ed arrotondata in altri, e per la posizione as­sunta, quasi sempre eccessivamente eretta sul posatoio. A titolo di informazione ricordo che i giudici olandesi considerano non fra gli ibridi ma come Passeri del Giappone i risultati dell’accoppiamento con le varie forme di Lonchura striata (VAN DEN MOLEN 1971) .Gli R 2 e gli R 3 sono totalmente fecondi in entrambi i sessi.

Le ibridazioni conseguite ai fini sopra accennati sono state ottenute per lo più con specie asiatiche del genere Lonchura (i Cappuccini) e precisamente (almeno per quanto a mia conoscenza) con: Cappuccino del Borneo Lonchura fuscans, Cappuccino a ventre ondulato Lonchura molucca, Cappuccino montano Lonchura kelaarti, Cappuccino di Giava, Lonchura leucogastroides, Cappuccino triste Lonchura tristis, Cappuccino a testa bianca Lonchura maja, Cappuccino a testa nera Lonchura malacca, Cappuccino tricolore Lonchura malacca atricapilla, Domino Lonchura punctulata.

Interessanti esperimenti che hanno dato origine anche ad ibridi esteticamente pregevoli e dai quali in un primo tempo sembrava di poter ottenere risultati eccezionali (calda colorazione bruno intenso sulle parti superiori con mascherina nerastra, groppone nero intenso, parti inferiori più o meno perlate di grigio o squamate su fondo scuro, soggetti lievemente più grossi dei Passeri del Giappone, con portamento eretto e coda leggermente più corta e meno lanceolata) si sono ottenuti dall’accoppiamento con il Donacola a petto castano Lonchura castaneothorax.

Purtroppo, non fu possibile continuarne l’allevamento data la quasi totale sterilità delle femmine anche nei reincroci di seconda e terza generazione ( RADTE 1989).Poco interessanti, poiché di taglia ridotta, gli ibridi con la Nonnetta Lonchura cucullata e con la Nonnetta nana del Madagascar Lonchura nana (quest’ultima il più delle volte impiegata senza coerenti finalizzazioni). Il ROBERTS ( 1989) e così pure il RADTKE ( 1989) ci parlano di F 1 ottenuti con la Nonnetta bicolore Lonchura bicolor e con la Nonnetta maggiore Lonchura fringílloides sull’esistenza dei quali avevo in precedenza avanzato riserve (TRUFFI 1982) che ora mi pare però doveroso ammettere meritevoli di ripensamento dopo la comunicazione giuntami ( Forgani, com. pers. ) che nei primi mesi del 1982 si è avuta in un allevamento amatoriale dell’Emilia – Romagna la schiusa di tre pulli figli di Nonnetta maggiore maschio e Passero del Giappone femmina.

Di non spiccate caratteristiche anche gli ibridi ottenuti con il Becco d’argento Lonchura malabarica cantans e con il Becco di piombo Lonchura malabarica malabarica, interessanti però per l’armonica fusione delle sfumature di colore della livrea, disturbata da una più o meno vistosamente presente tacca gulare bíanchíccia bordata di nerastro, ed a mio parere più che accettabili per quanto si riferisce al tipo.

Ai soli fini espositivi poi si sono avuti incroci con varie specie, per lo più di origine australiana, e precisamente con il Diamante a coda lunga Poephila acuticauda, il Diamante a bavetta Poephila cincta, il Diamante mascherato Poephila personata, il Diamante mandarino Taeniopygia guttata castanotis, il Diamante a coda rossa Neochmia ruficauda, il Diamante di Bicheno Poephila bichenovii, il Diamante guttato Emblema guttata (a proposito di quest’ultima ibridazione, a mio ricordo mai presentata in una esposizione italiana, cfr. Buchan 1991), alcuni di questi di veramente appaganti caratteristiche estetiche e che sino ad ora non hanno offerto casi di fertilità, manifestatisi invece (ma raramente e per quanto mi consta solo nei maschi) con il Padda Padda oryxívora di cui sono state utilizzate sia la forma grigia ancestrale sia le varietà bianca e isabella.

La letteratura ( ROBERTS 1982, RADTKE 1985) dà notizia di altre ibridazioni con il Diamante pappagallo Erythrura psittacea, il Gola tagliata Amadina fasciata ed il Cordon blu Uraeginthus bengalus, che cito per dovere di cronaca ma che sono senz’altra poco comuni e non mi risultano sino ad ora presentate in Italia.

Usignolo del Giappone

L’Usignolo del Giappone è un uccellino originario dell’Asia orientale che, partendo da soggetti di allevamento posti in libertà, sta dando vita al di fuori del suo areale di origine a numerose popolazioni naturalizzate. Questo sta accadendo anche in Italia ed in Toscana. Per saperne di più viene proposto questo nuovo progetto che ha l’obiettivo di definire con maggior precisione la distribuzione della specie, valutarne la consistenza, descrivere l’habitat che frequenta, valutare se vi sono differenze distributive e di habitat stagionali.

Popolazioni consolidate di questa specie sono oggi presenti a cavallo delle province di Lucca e Pisa e di Prato e Firenze; ulteriori singole segnalazioni vengono dalle province di Siena (Murlo) e Grosseto (Punta Ala); non si esclude la sua presenza anche in provincia di Massa, dal momento che un nucleo ben stabilito è presente in Liguria, appena oltre il confine regionale e nel Lazio sul litorale romano.

Per aderire al progetto è sufficiente dedicare una giornata in inverno (20 dicembre-6 gennaio) ed una in primavera (20 apr-20 mag), lungo un percorso ed un’area stabilita insieme ai gruppi di coordinamento (vedi oltre). Nei due periodi dell’anno bisognerà tornare negli stessi posti. E’ possibile anche aderire direttamente in occasione del secondo periodo di rilevamento, andando a cercare l’Usignolo del Giappone in nuove aree. Nel corso dei rilievi primaverili, poi, sarebbe particolarmente importante arrivare a trovare qualche nido.

Inoltre, chiunque abbia dati relativi anche agli anni passati, è pregato di darne comunicazione.L’Usignolo del Giappone frequenta ambienti con una folta copertura vegetale arbustiva e semi-arbustiva, generalmente in esposizioni fresche, dove si alimenta prevalentemente di invertebrati, bacche e frutti, che raccoglie sulla vegetazione e sul terreno. Sono note osservazioni realizzate presso boschetti di bambù (apparentemente in modo particolare per i dormitori), vegetazione ripariale, impluvi, roveti, che si sviluppavano in condizioni fresche ed umide.Forma gruppi sociali composti da numerosi individui in inverno; in periodo riproduttivo sembra che le coppie nidifichino separatamente all’interno di home range che però si sovrappongono, mentre gruppi di qualche individuo sono osservati tutto l’anno.I dati che raccoglieremo ci serviranno a comprendere abitudini e comportamenti degli Usignoli del Giappone toscani.

Coordinamento:

Per cercare di massimizzare la copertura del possibile areale toscano dell’Usignolo del Giappone, è opportuno coordinarsi con gli altri. Pertanto chi vuole partecipare contatti Domenico VerducciErio Bosi e Luca Puglisi, per Lucca e Pisa, Mauro Del Sere e Paolo Sposimo per Prato e Firenze.

Riconoscimento : l’Usignolo del Giappone può essere molto difficile da vedere, ma è piuttosto vocifero; il fatto che i diversi individui del gruppo si richiamino continuamente e svolazzino nella vegetazione attira facilmente l’attenzione, soprattutto se contattati a breve distanza. Sono verdi con becco, petto e ali colorate. I maschi dovrebbero avere petto giallo-arancio e becco rosso di colore più vivido delle femmine. Nei giovani il becco dovrebbe essere più scuro, petto e colorazione delle ali più smorte e corpo più grigiastro.

Qui è possibile vedere alcuni video di Usignoli del Giappone in azione.

(notare la sagoma e la coda forcuta, spesso le sole cose apprezzabili nel chiaro-scuro della vegetazione).

Voce : sembra che il maschio possa produrre un canto variato in periodo riproduttivo, ed uno piuttosto semplice e stereotipato prodotto nel corso di tutto l’anno.

Altre vocalizzazioni includono differenti richiami, tra cui versi di allarme, talvolta dal suono aspro. Sia il canto che alcuni richiami possono superficialmente ricordare la Capinera. Qui potete trovare alcune registrazioni: canto1 (forse la migliore), canto2, canto3, richiami, canto più variato e richiami

Dove cercarlo

In queste due mappe sono evidenziati, con i bordi più spessi, i fogli della Carta Tecnica Regionale (come in AT10K) in cui la specie è stata rilevata; le mappe riportano anche le aree abitate ed i limiti comunali, per facilitarne la comprensione (clicca sulle immagini per ingrandirle). Per l’area di Lucca e Pisa, l’area in rosso individua l’areale potenziale della specie in cui sarebbe bene cercarla. Per quanto riguarda la zona pratese-fiorentina, le due sottozone dove sono mostrate segnalazioni (Calvana e Pontassieve – basso Mugello), grazie ai rilievi invernali e alla raccolta di dati presso altri osservatori, si sono dimostrate parte di un unico  areale, che dovrebbe comprendere alcune zone di presenza abbondante dell’Usignolo del Giappone, alternate ad altre dove la specie è assai più rara o del tutto assente. Quindi occhio a tutta la zona collinare subito a nord di Firenze, dal Monte Ferrato (Prato) fino a Rufina – Londa.

Fonte: http://www.centrornitologicotoscano.org

Malattie Polli

Testi tratti da Pollicoltura di Marino Cortese 1969 (nell’ottava edizione)

Molteplici possono essere le cause delle malattie e cioè:

  • da virus (diftero-vaiolo, pseudopeste, malattia di Marek, leucosi, laringotracheite ecc.);

  • da batteri (colera, tifo, salmonellosi, stafìlococcosi ecc.) ;

  • da miceti (aspergillosi, mughetto, tigna);

  • da zooparassiti : tracheali (singamosi) ; intestinali (verminosi); sottocutanei (acariosi);

  • esterni (pidocchi, dermanissi) ;

  • da carenza (avitaminosi, rachitismo);

  • da fattori nervosi (pica, epilessia) ;

  • da fattori alimentari (gotta, pneumatosi) ;

  • da fattori traumatici (ferite, fratture) ;

  • da fattori diversi (avvelenamenti).

1 – Diftero-vaiolo

Si identifica forse con l’epitelioma contagioso che già nel passato era solito comparire con una certa frequenza negli allevamenti di campagna, specialmente nella stagione estivo-autunnale, mentre negli attuali allevamenti può presentarsi
in qualsiasi periodo dell’anno tanto più se favorito da avverse condizioni di temperatura, umidità, aerazione, alimentazione e carenza della vitamina A.
Colpisce anche i tacchini, fagiani, colombi, quaglie e canarini, raramente i palmipedi; nei pulcini solitamente non si verifica prima che abbiano 4 settimane di vita.

E’ dovuto ad un virus filtrabile e si propaga sia direttamente a mezzo delle false membrane o del pus, sia inderettamente col tramite della bevanda., del cibo, delle feci e del terreno infetto. Veicoli importante della malattia sono pure le zanzare che, con le punture, trasmettono l’infezione dai soggetti infetti a quelli sani.

Il decorso può essere sub-acuto (3-5 giorni) oppure cronico (3-5 settimane). La mortalità, specialmente nei giovani, per la minore resistenza organica, risulta sempre assai elevata (anche del 70% e più) mentre negli adulti può scendere assai 5-15-20%): vi sono razze, come la Livornese meno recettive rispetto ad altre, come la New Hampshire. Si nota pure arresto di sviluppo e della ovodeposizione (per 3-4 mesi).

La malattia si suole presentare nelle seguenti due forme:

1. Difterica che a sua volta, a seconda delle manifestazioni, si distingue in:

a) orale: sulla mucosa della bocca e faringe compaiono delle placche (non crostose) che a poco a poco confluendo finiscono col dare origine ad una pseudo membrana trasudante un liquido bianco-grigiastro e causa di difficoltà nella prensione del cibo e della respirazione; tutta la regione è infiammata e resa dolorosa, il soggetto è triste, non mangia ed alle volte presenta diarrea.
La terapia è sintomatica: pennellare, con una piuma, la mucosa arrossata con una miscela di tintura di iodio (p.1) e glicerina (p.3): il pollo vien fatto tenere disteso su di un tavolo da un aiuto.
Per i soggetti apparentemente sani si ricorre al più presto alla vaccinazione, come si dirà più innanzi;
b) nasale: dalle narici cola un liquido sieroso; giovano inalazione di antibiotici assai più efficaci delle instillazioni di preparati a base di essenza di eucaliptolo.
e) oculare: tutte le parti dell’organo visivo sono arrossate e tumefatte, così che alle volte si può arrivare alla cecità. Cura: con un batuffolo di cotone imbevuto di acido borico al 3%, o con altro collirio (es. nitrato di argento all’1:400) si asporta il secreto mucoso.
2. Vaiolosa: questa forma apparentemente più impressionante della precedente è in realtà meno temibile, tanto che spesso il malanno scompare senza conseguenze; è caratterizzata dalla comparsa di noduletti, dapprima biancastri e poi nerastri, su tutta la faccia ed altri organi, zampe comprese.
Occorre prendere le consuete precauzioni di isolamento e disinfezione.
Nelle regioni caldo-umide, ove la malattia può presentarsi più di frequente, è consigliabile sottoporre le galline alla vaccinazione antivaiolosa, da eseguirsi possibilmente da agosto ad ottobre quando le ovaiole sono in fase di diminuita deposizione perché si osserva sempre una conseguente viva reazione.
Per i soggetti da carne alle volte si può anche tralasciarla dato il loro breve ciclo vitale. Per gli allevamenti in batteria si interviene quando i pulcini hanno circa 3 settimane. I polli che siano stati vaccinati acquistano la immunità per 9-10 mesi: occorre assicurarsi che il vaccino sia di recente preparazione.
Tra i vaccini in commercio vi è pure quello della Behringwerke ottenuto su colture cellulari e non su uova embrionale, così che viene eliminato ogni timore di eventuali trasmissioni di malattie veicolabili con l’uovo embrionato.
Detto vaccino si inietta con agopuntura: la validità di conservazione è di un anno e va tenuto in frigorifero a 4 0C. La stessa Casa prepara pure il bi-vaccino che oltre a conferire la immunità per tutta la vita nei riguardi del difterovaiolo, esplica pure un’azione preservativa contro la pseudopeste immunizzando il soggetto per la durata di 3-4 mesi purchè in precedenza abbia subito il trattamento base mediante l’idrovaccino o con quello oculo-nasale.

Da tenere presente che sintomi affini a quelli sopraindicati possono riscontrarsi in conseguenza di grave carenza della vitamina A (cheratomalacia), però il decorso è molto lento.

2 – Peste e pseudopeste

La prima, detta classica, da parecchi anni non è stata da noi più osservata e pertanto si tralascia dal descriverla: ben diverso è il caso della seconda che ne è una varietà e che venne molte volte confusa con la laringotracheite avente sintomatologia affine.

L’agente specifico lo si ritiene un virus filtrabile e come tale visibile solamente con un microscopio elettronico.
Le prime dolorose avvisaglie si ebbero nel 1925, ma fu nel 1940 che il malanno assunse in molte località il carattere di panzozia così da costituire un vero terrore per chi possedeva dei pollai e gran parte di essi vennero purtroppo decimati: in seguito, pur continuando a serpeggiare, subì un declino un po’ dovunque. La sua comparsa si verifica
specialmente nel periodo estivo-autunnale e non risparmia nessun tipo di allevamento sia rustico che industriale e quando è in atto non c’è nulla da fare tanto la sua azione deleteria, è immediata ed impressionante: i soggetti giovani risultano così sensibili da dare una mortalità anche del 100%!
Sono poi particolarmente ricettivi i tacchini, la qual cosa dovrebbe ammonire gli allevatori a non permetterne la convivenza con i polli: molto meno lo sono le faraone, i pappagalli ed i passeracei in genere.
I primi sintomi sono quelli consueti ad altre malattie infettive: piumaggio opaco ed arruffato, mancanza di appetito, sete ardente per la notevole elevazione termica, grave prostrazione, tremori, debolezza degli arti, cianosi delle parti carnose della testa, diarrea a cui ben presto fanno seguito altre manifestazioni tipiche: fuoriuscita di catarro grigiastro dalle narici, fatti paralitici, rantolo laringotracheale, dovuto ad ingombro di muco e di pseudo membrane, becco tenuto quasi sempre aperto.
A differenza della corizza manca la infiammazione congiuntivale: l’animale si apparta sonnolento assumendo alle volte una strana posizione assisa, da pinguino, finché allunga il collo, reclina il capo e soccombe per fatti asfittici: mentre nel colera la morte é improvvisa, nella pseudopeste la stessa non si verifica che qualche giorno dopo l’aggravarsi del male. I pulcini vengono colpiti solamente dopo 10-12 giorni dalla nascita allorché vien meno la naturale immunità: dato l’affollamento che sempre si ha nelle batterie si comprende come quivi il male possa diffondersi con maggiore facilità. Quei soggetti che riescono a guarire possono tirare avanti per 6-12 mesi, é però utile precauzione quella di scartarli in quanto non si può mai escludere che divengano pericolosi propagatori del virus o che finiscano col soggiacere a gravi alterazioni nervose.
Eseguendo l’autopsia si riscontrano lesioni alle vie respiratorie, accentuata infiammazione del proventriglio ed ulceri emorragiche sulla mucosa intestinale.
La diffusione del virus é veicolata dagli alimenti, dalla bevanda, dagli escreti, dalla lettiera (tutti contaminati dal catarro), dagli uccelli che si portano dagli allevamenti rustici, infetti, ad altri sani, dalle uova da cova provenienti da galline ammalate, ed anche dallo stesso personale addetto alla pulizia, con le scarpe, le scope e quanto altro venuto a contatto del materiale infetto, imballaggi per uova compresi.
La pseudopeste è malattia che deve essere denunciata all’autorità sanitaria.
Per limitare l’estendersi del male si seguano le norme consuete : si uccidano i soggetti più gravi e si isolino gli altri per almeno 15 giorni: si disinfetti il locale e si obblighino i polli a bere soltanto acqua medicata in uno dei modi già esposti. L’alimento sia parco ma sostanzioso ed addizionato del complemento minerale e vitaminico. Prima di acquistare dei soggetti accertarsi che non provengano da zone infette e possibilmente si cerchi di avere l’assicurazione che sono stati vaccinati.
La terapia, come per tutte le malattie virali, non è possibile: non rimane quindi che la preventiva profilassi della vaccinazione, da estendersi a tutti i soggetti dell’allevamento, e resa possibile in quanto esistono oggi diversi vaccini di sperimentata efficacia e di vario impiego (1).
(1) Alcuni sono preparati col procedimento dell’embrione di pollo che, in succinto, è il seguente : si prende un uovo di pollo fecondato e da qualche giorno in cova, di guisa che l’embrione venga a trovarsi in piena fase di evoluzione; su di esso si semina del virus pseudopestoso ricavato da un animale ammalato; i microrganismi in esso contenuti rapidamente vi si moltiplicano così da poterli poi utilizzare a scopo di studio o per prepararne i vaccini.

1) Vaccino oculo-nasale: è il più pratico perché di facile applicazione anche per pulcini appena nati, questi, infatti, anche se provenienti da galline sane e vaccinate, non acquistano immunità ma soltanto un certo grado di resistenza; la vaccinazione la si attua al decimo giorno di vita inoculando nell’occhio due gocce del liquido, da ripetersi 60 giorni dopo e successivamente al 135m0 giorno. Nel caso che la vaccinazione sia stata fatta il giorno dopo la nascita, la si dovrà ripetere al 30- giorno : ne consegue che i soggetti da carne riceveranno una sola vaccinazione, mentre le pollastrelle una ogni tre mesi e sempre agendo in modo che l’intervallo coincida con la deposizione.
2) Idrovaccino: 50 dosi vaccinali si aggiungono ad un litro d’acqua da bere somministrata in un abbeveratoio a sifone e di vetro. Questo procedimento è pratico e spiccio e quindi particolarmente indicato per i grandi allevamenti sia in batteria che a terra per i quali quello a gocce risulta lungo ed oneroso; é facile però comprendere che può però rendersi aleatorio in quanto mancherà sempre la certezza che ogni soggetto beva la quantità d’acqua richiesta entro le 5 ore, perché nelle successive il vaccino diminuisce la sua attività: da aggiungere che parte di esso va disperso lungo il canale intestinale: si consiglia comunque di togliere gli abbeveratoi 4-5 ore prima della cura in modo da assetare i soggetti e del pari sospendere l’apprestamento del mangime.
La prima vaccinazione ai pulcini si eseguisce a 5-7 giorni di vita, ripetendola al 250-300 giorno ed infine dopo due mesi.
L’acqua da bere dev’essere pura (meglio se piovana) ed assolutamente immune da precedenti aggiunte di sostanze medicamentose.
3) Vaccino spento: è totalmente innocuo e lo si può adoperare per polli di qualsiasi età, anche in deposizione, mediante iniezione profonda nei muscoli della coscia; l’immunità ha luogo dopo 12-15 giorni ed è di lunga durata cosicché non si rendono necessari successivi interventi; esistono siringhe a riempimento automatico e per iniezioni a ripetizione che agevolano assai la manualità.

3 – Laringotracheite

È una malattia infettiva sostenuta da un virus. Segnalata già dal 1964 in Italia, non ha mai recato molto danno per la bassa patogenicità dei ceppi virali riscontrati. Nel 1980 però, in seguito probabilmente ad importazioni di polli infetti con ceppi di virus più patogeni, la malattia si diffuse rapidamente in tutto il nostro Paese causando notevoli perdite negli allevamenti intensivi, soprattutto tra le galline ovaiole allevate in batteria.
I sintomi sono: respirazione a becco aperto e continui colpi di tosse; il becco è spesso sporco di sangue, proveniente dalla trachea. Questa, all’esame necroscopico, si presenta fortemente arrossata e contenente abbondante essudato catarrale o emorragico. Grazie all’intervento presso il Ministero della Sanità operato dalle Associazioni scientifiche e di categoria, già pochi mesi dopo la comparsa di questi focolai venne autorizzato l’uso di un apposito vaccino.
La laringotracheite difficilmente colpisce i pollai rurali.

4 – Malattia di Marek

È una malattia di origine virale diffusa ormai in tutto il mondo. La diversa sintomatologia con cui si presenta é tale da permettere la seguente distinzione
1) forma viscerale (impropriamente detta del fegato grosso) caratterizzata da iniziale debolezza generale seguita da dormiveglia, arresto di ogni movimento, annerimento della cresta: sia il fegato che la milza ed i restanti visceri (reni, polmoni, cuore, ovaio) si presentano di eccessivo sviluppo : il primo anche dieci volte il normale ed in più cosparso alla superficie di striature biancastre lardacee;
2) forma cutanea, nella quale la cute è cosparsa da tumoretti biancastri in corrispondenza dei follicoli piliferi;
3) forma paralitica in cui è particolarmente interessato il sistema nervoso periferico, con una vaga assomiglianza ad una malattia ” da carenza ” : il sintomo patognomonico è rappresentato dal fatto che il pollo, nello stadio avanzato del male, cade al suolo con un arto contratto e l’altro disteso, così che non potendo più muoversi è destinato a morire di inedia; i giovani di 2-5 mesi sono i più ricettivi;
4) forma oculare (o dell’occhio grigio) caratterizzata dalle palpebre semichiuse così da dare al paziente il cosiddetto “aspetto da pesce “;
Oltre ai consueti sintomi generali si verifica sempre una progressiva e letale anemia. Il pulcino si infetta nei primissimi giorni di vita.
L’incubazione del male ed il decorso sono assai lenti e le suddette tipiche manifestazioni differenziali compaiono dopo 2-6 mesi; oggi disponiamo di un vaccino specifico, da praticarsi a 1 giorno di vita per via intramuscolare; altri buoni mezzi di difesa sono: scartare dalla incubazione le uova emesse da galline ammalate, tener separati i pulcini dagli adulti, lottare contro gli insetti parassiti che si fanno spesso veicoli della diffusione del virus, attenersi a ceppi di polli resistenti, somministrare alimenti sostanziosi addizionati di condimenti minerali oligodinamici, disinfettare accuratamente il pollaio con soluzioni di creolina o formalina.

5 – Colera aviario

È una grave setticemia sostenuta dal batterio Pasteurella multocida che può colpire tutti i volatili domestici e diffusa da veicoli diversi : saliva, bevanda, cibo, escrementi, insetti. L’agente infettivo può resistere a lungo nell’ambiente risvegliandosi specialmente nel periodo estivo-autunnale. Negli allevamenti campagnoli la malattia presenta spesso
andamento acutissimo tanto da aversi la morte dei soggetti dopo poche ore di malessere generale. Negli allevamenti industriali, invece, il colera si presenta di rado e saltuariamente causando di quando in quando qualche morte improvvisa. Soltanto qualche volta i colpiti soggiaciono ai soliti sintomi in precedenza indicati, più spesso, data la rapidità del decorso, l’animale muore senza apparente deperimento e persino col gozzo ripieno di cibo. Una circostanza che permette di distinguere questa malattia da altre (compresi certi casi di gravi avvelenamenti) è quella che i colpiti non muoiono mai contemporaneamente ma si ha una specie di stillicidio per diversi giorni e per gruppi diversi di animali.
In pochissimi casi si può avere la guarigione spontanea però sempre con residue alterazioni alle ali ed alle zampe.
Eseguendo la autopsia si riscontra il fegato e la milza ingrossati ed il primo tutto cosparso di punticini giallastri.
Tenuto presente che questo male é spesso legato a particolari condizioni ambientali di determinate zone ove suole comparire quasi ogni anno, non si tarderà a prendere le solite precauzioni: isolare, o meglio uccidere subito i primi colpiti, interrare profondamente le carogne, disinfettare il pollaio, i suoi annessi e terreno circostante, medicare l’acqua da bere con sulfachinossalina.

6 – Micoplasmosi

Le malattie specifiche dell’apparato respiratorio sono parecchie e di solito conseguenza di basse temperature, di scarsa aerazione o di eccesso di umidità ambientale, in aggiunta a deficienze alimentari e vitaminiche (soprattutto al riguardo del fattore A). Di alcune di esse, come la suddetta, più comunemente indicata col nome di malattia cronica respiratoria (M.C.R.), sono spesso tipiche degli allevamenti intensivi: i sintomi sono quelli consueti: difficoltà di respirazione, rantoli, anoressia e generale prostrazione; narici e gola possono essere sempre intasate da essudato catarroso, i bronchi ed i polmoni non manifestano alterazioni di rilievo, mentre si presentano molto colpiti i sacchi aerei.
L’intervento presuppone la somministrazione di sulfamidici ed antibiotici completati da nebulizzazioni dell’ambiente con formalina all’uno per cento.

7 – Bronchite infettiva

È una virosi che nel passato era così poco nota che molti manuali neppure la citano, ma in questi ultimi anni ha fatto la sua comparsa preoccupando seriamente i pollicoltori.
La sintomatologia è quella tipica delle affezioni respiratorie: tutti gli organi della testa si mostrano infiammati, inoltre si ha forte lacrimazione e frequenti colpi di tosse e rantoli dovuti alla ostruzione catarrosa delle narici e trachea: sempre nei pulcini si nota immobilità, collo torto, becco aperto.
Il periodo di incubazione è molto breve e rapidissimo il contaggio tra soggetti conviventi; il decorso della malattia è di una-due settimane.
Non si tardi ad attuare le consuete disinfezioni ed inoltre si cerchi di evitare il freddo e l’umido.
Oggi esistono in commercio appositi vaccini preparati con virus bronchitici vivi ed attenuati.

8 – Corizza

È una affezione delle vie respiratorie e di essa si distinguono due forme, una più lieve detta semplice e l’altra più grave detta infettiva cagionata da batteri; sono entrambe favorite dai bruschi abbassamenti di temperatura, da riscontri d’aria e da ristagno di umidità: pur comparendo
più di frequente nella stagione autunno-invernale non è da escludersi anche nell’estate, però in questo caso la guarigione è più sollecita.
L’andamento della prima forma è sempre benigno purché non si trascurino le consuete norme igieniche per non incorrere nel pericolo che si trasformi in quella infettiva: essendo tutte e due contagiose si provvederà alla disinfezione del ricovero e suppellettili.
La semplice viene considerata come un forte raffreddore accompagnato da generale prostrazione, tosse, sternuti ed abbondante scolo oculo-nasale bianco sporco che ostacola la respirazione e che costituisce il maggiore veicolo di contagio per gli altri pennuti, cibo, bevanda e lettiera comprese. Le galline riducono o cessano la deposizione delle uova.
Il primo intervento è quello di cercare di eliminare i suddetti mezzi coadiuvanti favorendo la aerazione e, se possibile, il soleggiamento.
Nella forma infettiva tutte le suddette manifestazioni si accentuano in modo tale da potersi confondere a tutta prima col diftero-vaiolo : la secrezione catarrosa diviene purulenta, la respirazione sempre più difficile, il becco resta quasi sempre aperto e gli occhi semichiusi.
Occorre praticare delle iniezioni intramuscolari di 2 cc di terramicina o streptomicina. Si laveranno gli occhi con una soluzione di acido borico al 3 % e si ungeranno le narici con pomata alla penicillina.

9 – Tubercolosi

È caratterizzata, come quella umana, da un batterio che si insedia in vari organi producendovi i caratteristici tubercoli e conseguente degenerazione dei tessuti.
È diffusa in tutto il mondo ed in alcuni paesi assai più che da noi: mentre si può ritenerla ignota negli allevamenti industriali, compare sporadicamente in quelli rurali: in-teressa comunque assai meno di altri morbi perché essendosi notevolmente ridotto il ciclo economico dei polli essi vengono sacrificati prima che il male abbia modo di manifestarsi.
È comune a tutti gli animali e tra i volatili, oltre ai tacchini, colombi, fagiani, sono quanto mai ricettivi i pappagalli.
Il contagio si verifica a mezzo degli organi della respirazione e digestione attraverso a cui con l’aria o con i cibi e la bevanda inquinata, entrano i ben noti bacilli specifici. È un male prevalentemente cronico e quindi le manifestazioni si appalesano quando é assai avanzato : all’inizio esse sono comuni ad altre malattie, si nota cioé prostrazione, accentuato dimagramento, tanto che negli ultimi stadi i tapini si riducono a pelle ed ossa, nonostante non venga meno l’appetito, la temperatura segna sempre un lieve aumento, la cresta ed i bargigli si decolorano e spesso nelle articolazioni compaiono delle tumefazioni; verso la fine, le feci si fanno diarroiche e sanguinolente: la morte avviene per cachessia.
Gran parte delle uova deposte risultano infette. La certezza della diagnosi non si può quindi avere che dalla reazione positiva con una piccola goccia di tubercolina aviare,
che iniettata nella cresta od in un bargiglio, dopo 24-48 ore, se il pollo é ammalato, li fa gonfiare; oppure dall’esame necroscopico degli animali, specialmente del fegato, della milza e dell’intestino che si presentano cosparsi di numerosissimi noduletti biancastri, grandi quanto un grano di miglio o di un pisello, veri focolai di germi. Assai più degli antibiotici giova la profilassi della soppressione degli ammalati e l’accurata disinfezione.
La tubercolosi aviare non é pericolosa per l’uomo, ma sensibilizza bovini e maiali, che risultano positivi ai tests tubercolinici.

10 – Gangrena alare

Viene pure indicata col nome di stafilococcosi in quanto causata da germi di detto genere che penetrano nell’organismo attraverso ad abrasioni o lievi ferite della cute. È favorita dalle cattive condizioni dell’allevamento, dall’alimentazione scarsa od irrazionale nonché dall’angustia del locale e dell’eccesso di affollamento.
Le manifestazioni tipiche sono rappresentate da edemi emorragici alla base delle ali, delle zampe e del collo : notevole è la prostrazione e di solito si ha diarrea. Il male si mostra di preferenza in soggetti aventi circa due mesi.
Per la cura si consigliano specialità sulfamidiche ed antibiotiche, nonché l’aggiunta alla dieta di vitamina E e selenio (contenuto in alte dosi nel lievito di birra).

11 – Diarrea bianca bacillare o pullorosi

Per la sua grande diffusibilità e per l’alta mortalità che arreca (anche dell’80 %), é considerata la più grave setticemia che possa colpire i pulcini: questi, o furono contagiati dalla presenza di altri o nacquero da uova provenienti da galline portatrici del nefasto Salmonella pullorum, donde anche il nome di Salmonellosi con cui il morbo é indicato: compare di solito nella prima settimana di vita e non oltre la quarta; il decesso si verifica al secondo od al terzo giorno di malattia. È cosa poi ben nota che la maggior percentuale della cosidetta mortalità in guscio, durante la incubazione, va imputata all’uso di uova aventi il germe contagiato.
I primi sintomi sono offerti dal piumaggio opaco ed arruffato, dalle ali cadenti, da apatia, sonnolenza, scarso o punto appetito, frequenti stimoli di bere, tremori, gonfiezza del ventre e soprattutto da ripetute scariche diarroiche biancastre cremose che, raggruppandosi attorno all’ano, spiegano il nome di calcinaccio con cui il malanno è indicato nelle campagne. Anche se i pulcini riescono a sopravvivere rappresentano sempre dei sicuri diffusori dei bacilli che albergano nel loro intestino resosi assuefatto alla presenza di così sgraditi ospiti.
Quei soggetti che in seguito diverranno pollastrelle, continueranno ad emettere uova infette di guisa che il malanno si perpetuerà: é per questo che si consiglia la completa eliminazione dei soggetti colpiti.

Mentre nei pulcini il decorso é acuto, negli adulti é invece cronico : al male non si sottraggono i tacchini, le faraone, i fagiani.
L’allevatore per differenziare questa malattia dalla coccidiosi, terrà presente che la prima compare nei primi giorni di vita mentre la seconda dopo circa quindici giorni.
Sottoponendo alla autopsia il corpo di un pulcino si riscontrano gravi lesioni nei visceri nonché macchie biancastre sul miocardio : nelle galline gli organi colpiti sono in particolare le ovaie i cui eventuali ovuli si presentano raggrinziti e di tinta grigio-bruna. Per un sicuro giudizio si invierà con sollecitudine uno o più pulcini deceduti ad un Istituto zooprofilattico.
Altre precauzioni consistono nell’assicurarsi che i pulcini comprati da incubatoi risultino immuni dalla malattia: se la mortalità dovesse oltrepassare il 20% è consigliabile di sopprimere tutti i soggetti e dopo una scrupolosa disinfezione, iniziare l’allevamento da capo. Trattandosi di individui adulti si procederà a ripetute analisi della siero agglutinazione del sangue (da eseguirsi da un veterinario) in modo da evitare di impiegare le loro uova per la cova.
Alla comparsa delle prime manifestazioni del male non si perda tempo nell’asportare ed incenerire così la lettiera che i pulcini morti; l’incubatrice (1) dovrà essere smontata per poter giungere con la disinfezione in ogni sua parte od anfratto; il terreno attorno al pollaio sarà cosparso di calce viva od irrorato con una soluzione di creolina; nè si dimentichi che il Regolamento di Polizia Sanitaria prescrive la denuncia, sia di questa che di altre precedenti setticemie, al Sindaco nonchè il divieto di vendita di prodotti dell’allevamento infetto.

12 – Coccidiosi

È prodotta da un microrganismo protozoario del genere Eimeria, che s’insedia nelle vie digerenti causando enteriti spesso letali: notevole è la contagiosità e gli agenti veicolatori sono la bevanda, il cibo, gli escrementi : uccelli ed insetti possono pure venir incolpati. Colpisce i polli ed altri gallinacei di qualsiasi età.
(1) Le grandi incubatrici a schiusa separata si prestano meglio di quelle che l’hanno incorporata in quanto non è possibile intervenire senza pericolo di nuocere seriamente alle altre uova presenti.
I sintomi, oltre a quelli consueti delle precedenti malattie, sono costituiti dagli occhi lacrimosi, dalla sete ardente e soprattutto dalla profusa diarrea che è dapprima biancastra e successivamente rossastra per la presenza di strie sanguigne, il che spiega come il malanno venga pure indicato col nome di “diarrea rossa “. Alla osservazione microscopica dell’escreto si possono distinguere innumeri parassiti specifici.

Gli adulti perdono l’appetito, i giovani invece, si mostrano spesso più voraci del solito, però ben presto subentra un rapido dimagramento e paralisi delle ali e degli arti, mentre non sempre è dato riscontrare ringonfiamento dell’addome.
L’andamento del male è ora acuto ed allora la morte sopravviene dopo 4-6 giorni, ora subacuto, della durata di 15-18 giorni, ed ora cronico ; in questo caso non va dimenti-cato che i parassiti possono rimanere a lungo, allo stato latente, nell’intestino e quindi costituire una permanente minaccia di contagio: con gli escrementi vengono, infatti, emesse dalle galline le spore del parassita (od ” oocisti “) che ingerite dai pulcini, trovano nel loro intestino un ambiente particolarmente idoneo alla evoluzione e dopo alcuni giorni possono essere così espulse nuove spore: é questo uno dei vari casi della deprecata coabitazione di adulti e giovani, prova ne sia che negli allevamenti in ” batteria “, rispetto a quelli a ” terra “, il pericolo di contagio e molto minore anche perché le feci vengono subito eliminate attraverso il pavimento grigliato.
La prevenzione e la lotta si attua con la somministrazione nella bevanda e nei pastoni, di vitamine e sulfamidici.
Al solito si prenderanno le consuete precauzioni di isolamento e disinfezione ed in particolare si cercherà di mantenere l’ambiente molto asciutto, dato che l’umidità é un mezzo più che favorevole alla vita dei coccidi.

13 – Aspergillosi

È una grave malattia degli organi respiratori provocata da un fungillo che penetra nel corpo mediante gli alimenti infetti: granaglie, foraggi e soprattutto pastoni caldo-umidi. È caratterizzata da escrescenze simili a noduli, di color grigio, grosse quanto un seme di miglio, disseminate nei polmoni ed, infine, di muffe grigie sulla trachea.

14 – Onfalite

È una malattia specifica dei pulcini appena nati e caratterizzata dalla infiammazione dell’ombelico di guisa che l’assorbimento del sacco vitellinico rimane ostacolato. I pulcini si infettano poggiando il corpicino sul pavimento della
incubatrice in precedenza contagiata e non a sufficienza disinfettata. I sintomi sono quelli consueti, e la mortalità può presentarsi assai elevata; l’intervento curativo richiede la somministrazione di antibiotici o sulfamidici nell’acqua o nel mangime. Occorre cercare di prevenire il malanno con l’accurata pulizia e disinfezione degli apparecchi dopo ogni schiusa ed inoltre evitare di porre ad incubare uova aventi il guscio sporco da feci tra cui possono annidarsi i germi specifici del male.

15 – Tigna – Mughetto

Sono due malattie causate da funghi microscopici ed entrambe assai contagiose di guisa che occorre prendere subito le consuete precauzioni di isolamento e disinfezione.
La tigna é volgarmente detta ” cresta bianca” dal colore che assume la parte carnosa: se non si interviene subito, a poco a poco compaiono delle croste che finiscono con l’estendersi su parte del corpo provocando deplumazione ed anche morte per cachessia. La muffa causa del malanno appartiene al gen. Trycophiton.
Per la cura si attuano unzioni sulle parti colpite con glicerina iodata al 20%, oppure con una soluzione di acido salicilico al 10%.
Particolarmente ricettivi sono i polli tenuti in ambienti umidi, sporchi e male esposti; non va dimenticato che la tigna é non soltanto trasmissibile ad altri animali ma pure alle persone. Il mughetto é pure dovuto ad un fungo del genere Candida olbicans che dà origine, nell’ingluvie specialmente, a delle caratteristiche placche bianco-grigiastre ed é anch’esso indizio di una generale trascuratezza.
L’intervento consiste nel medicare l’acqua di bevanda con solfato di rame allo 0,5 per mille.

16 – Verminosi

È anche detta elmintiasi ed é tipica degli allevamenti rurali o di quelli industriali col sistema ” a terra ” in quanto l’infezione si verifica in conseguenza della abitudine di spargere le granaglie sul terreno o di lasciare razzolare i polli nei campi ed orti; infatti la malattia é pressoché ignota negli allevamenti in batteria : l’esito é più o meno favorevole a seconda del numero dei parassiti ospiti del pennuto e quasi sempre delle vie digerenti. Si dà il caso che allevamenti situati in ambienti umidi presentino delle infestioni veramente impressionanti, tanto che alla autopsia é dato scorgere il lume intestinale ostruito da fitti grovigli di vermi, tali da cagionare enteriti e coliche mortali.
Solitamente però la sintomatologia passa quasi inosservata così che il pollicoltore non si preoccupa gran che mentre purtroppo viene gradatamente rallentato lo sviluppo e la deposizione.
A seconda della specie di vermi le elmintiasi vengono denominate ascaridiosi, capillariosi, teniasi ecc.
Gli ascaridi sono di gran lunga i più comuni: hanno corpo bianco-rossastro, di varia lunghezza (circa 10 cm), cilindrico ed, a differenza di quanto si dirà per i vermi piatti, il loro ciclo evolutivo si compie senza ospiti intermedi; presentano sessi separati ed emettono continuamente delle uova che, per essere rivestite da una membranella resistente, possono mantenersi attive, nel terreno, per più mesi pervenutevi con gli escrementi sino a che, in determinate condizioni di temperatura ed umidità, schiudono e si trasformano, dopo 2-3 settimane, in larve: questi ingeriti dai pennuti divengono adulti nelle loro vie digerenti; se i parassiti sono in numero limitato i danni sono lievi, diversamente si osserva nei soggetti svogliatezza, inappetenza, cresta floscia, ano infiammato, dimagramento, anemia, cessazione di deposizione, vertigini, sussulti epilettiformi, paralisi, feci diarroiche ed emorragiche e sempre disseminate di uova o di vermi adulti.
Le tenie sono esili come nastri, lunghe da mezzo a 29 cm e formate dalla testa, detta scolice, tutt’attorno armata da uncini atti a fissarla stabilmente alla mucosa intestinale, e seguita da una colonna di anelli, o proglottidi, ciascuno dei quali é un individuo completo in quanto fornito di entrambi i sessi; le loro dimensioni vanno regolarmente aumentando verso la fine e gli ultimi anelli sono quelli più maturi atti ad emettere uova e via via staccarsi ed uscire all’esterno con queste, mescolati alle feci.
Le tenie presentano metamorfosi e dalle uova nascono delle larve il cui sviluppo si effettua sempre nel corpo di un ospite diverso (insetto, lombrico, lumachella) che venendo ingerito dal pollo, nel suo intestino finirà con l’evolversi, dopo circa 8-10 giorni, nello stadio di verme adulto: la infestione si riscontra di preferenza nelle galline razzolanti in località prossime ad acque stagnanti o correnti. Le capillarie, anch’esse assai temibili assomigliano a filamenti di 2-3 cm. sono meno facili a combattersi però, per fortuna assai meno frequenti.

L’intervento curativo é relativamente facile nei soggetti allevati in batteria od in pollai isolati mentre risulta evidentemente assai problematico per quelli viventi in piena libertà nelle campagne in considerazione del fatto che, se anche curati e guariti, saranno sempre in condizione di reinfestarsi: inutile poi aggiungere che se per gli adulti interviene di solito la ” resistenza dell’età ” ben diversa é la situazione per i giovani.
Nel passato venivano consigliati parecchi preparati, anche diversi a seconda della specie di vermi: ma da vari anni sono stati tutti sostituiti dall’adipato di iperazina assai
più efficace, più rapido, innocuo e non richiedente preventivo digiuno : la dose é di 100-120 g (per ogni kg di peso del pollo) oppure 3 g per ogni kg di mangime sotto forma di pastone al quale il medicamento sarà mescolato: detta polvere può anche versarsi nella bevanda (2 g per ogni litro), ma, come già si é detto in altre circostanze, se la cosa si presenta più spiccia é però meno sicura in quanto non si può avere mai la certezza che i polli consumino gran parte del cibo o della bevanda. I vermi vengono espulsi, semiparalizzati, dopo circa 6 ore dalla ingestione del medicinale.
L’intervento successivo consiste nella consueta accurata disinfezione del pollaio, delle suppellettili e del terreno annesso: la lettiera verrà spesso sostituita con altra asciutta mentre la preesistente verrà interrata assieme a calce viva: il luogo prescelto dai polli per la siesta sarà irrorato con una soluzione di creolina in modo da impedire lo sviluppo delle uova o delle larve dei parassiti. Un’altra avvertenza é quella di scegliere, per l’ubicazione del pollaio, un luogo asciutto e di evitare sempre ogni ristagno d’acqua: usare abbeveratoi a sifone, meno facili all’inquinamento e rovesciamento, lottare contro le mosche e gli insetti in genere munendo le finestre di telai retinati. Il pavimento, e particolarmente quello dei capannoni industriali, dovrebbe essere in gettata di cemento per agevolarne la pulizia. Il suddetto adipato, che tra l’altro non ostacola affatto la deposizione, sarebbe bene usarlo ogni mese, specialmente per gli allevamenti all’aperto e con l’avvicinarsi dei calori estivi. Pure raccomandabili sono i periodici esami delle feci per accertarsi della eventuale presenza dei sgraditi ospiti e poter così intervenire subito.
Per la terapia della capillariosi é necessario ricorrere al tetramisole, mentre per la tenìasi a potenti tenifughi.

17 – Singamosi

È detta anche verme rosso, tracheo-bronchite, ed é causata dalla presenza, nelle prime vie respiratorie, di un vermetto nematode, in apparenza forcuto, in realtà costituito dalla unione del maschio con la femmina; é di colore rossastro e somigliante ad una minuscola sanguisuga, il maschio é lungo 3-4 mm e la femmina 1-2 cm. Osservando attentamente la gola dei pazienti, contro una forte luce, é possibile scorgerlo: pure agevole la diagnosi esaminando al microscopio le feci, o la bava che cola dal becco e che di solito contengono le uova del parassita. Sono colpiti tutti i gallinacei, tacchini e fagiani specialmente, nonché i palmipedi in caso di coabitazione.

La malattia é nota da oltre sei secoli ma soltanto in questi ultimi anni venne presa in seria considerazione: è pressoché sconosciuta nelle zone di alta montagna od in quelle litoranee marine, mentre é frequente in quelle di piano o collinose umide.
Alle volte i due vermetti possono scendere ed allogarsi nei bronchi e polmoni rendendo molto più difficile l’azione curativa. Avvenuto l’accoppiamento e la fecondazione, dopo pochi giorni sono emesse le uova che, se non rigettate dalla bocca, vengono deglutite ed espulse poi con le deiezioni; giunte nel terreno vi subiscono per una, due settimane la incubazione al termine della quale si liberano delle larvettine che, per essere capaci di vivere liberamente nel terreno, costituiscono il mezzo più facile di infestione per altri pennuti; questi, beccando semi, erbe od altro, finiscono con l’ingerire anche dette larve; altre volte il contagio avviene per aver inghiottito lombrichi, lumachelle ed insetti nel cui corpo possono albergarle per lungo tempo.
La sintomatologia é assai appariscente: i soggetti colpiti sono frequentemente scossi da starnuti, tosse secca, allungamento del collo e scuotimento della testa come se trovassero difficoltà di respirare e deglutire, continui sono gli sbadigli di guisa che il becco rimane quasi sempre aperto all’inizio però il pennuto mangia regolarmente ma a poco a poco i fatti suddetti si accentuano così che finisce per morire asfittico. Nei pulcini bastano 3-4 di questi vermi perché l’esito sia letale; negli individui adulti se ne sono contati anche più di 30.
La guarigione spontanea é pressochè impossibile. Alla autopsia si riscontrano, oltre ai parassiti in numero vario, anche le mucose della gola dei bronchi e polmoni, molto infiammate.
Le necessarie misure preventive sono: l’isolamento dei primi colpiti, la disinfestione del pollaio, delle mangiatoie ed abbeveratoi, nonché l’allontanamento ed abbruciamento della lettiera, ed infine lo spargimento di calce viva o di solfato di ferro sul terreno circostante al ricovero, arandolo
poi in modo da interrare le eventuali larve, uova o vermi; tanto meglio se si potrà cambiare il posto del pollaio. Per precauzione il suddetto trattamento con la impolverizzazione verrà ripetuto a tutti i soggetti in primavera od in autunno.
La terapia consiste in somministrazioni per via orale di tetramisole.

18 – Rogna o Scabbia

È anche conosciuta col nome di scabbia e come la verminosi é molto diffusa negli allevamenti rurali trascurati. Si manifesta specialmente, sui tarsi e sulle dita sotto forma di squamette farinose biancastre che in seguito si agglutinano col secreto sieroso (fig. 197). Usando una lente é dato scorgere, sotto le croste, innumeri animaletti, del gen. acari (di cui la femmina, che é di maggiori dimensioni, misura da 0,2 a 0,8 mm) che scavano nel derma ramificati cuniculi provocando distruzione di tessuto ed intenso prurito che si accentua con la esposizione al sole.

Può anche darsi che il malanno si localizzi in altre regioni (collo, petto, dorso) con la formazione di noduletti, vescichette, escoriazioni e relativa caduta delle piume che solitamente si verifica in un periodo diverso da quello della muta.
I soggetti colpiti grattandosi finiscono con l’estendere il male e graduatamente, se non curati, anemizzano sino a morire cachettici.
Per la terapia si ricorre ai numerosi preparati antiscabbia del commercio.

Essendo la malattia molto contagiosa si devono subito isolare i primi colpiti, disinfestare accuratamente il pollaio nei modi già detti (specialmente con ripetute irrorazioni di una soluzione al 5 % di zolfo colloidale o di esteri fosforici al 2-3 per mille).
Per quanto riguarda la rogna dermanissica, dovuta ad altre specie di acari che di notte invadono tutto il corpo per succhiarne il sangue, si rimanda al Cap. seguente.

19 – Pidocchi

Oltre ai parassiti interni i polli vengono in particolar modo infestati da quelli esterni, od ectodermici, che annidandosi sotto il piumaggio non danno loro alcuna tregua specialmente alla comparsa dei primi calori estivi; se l’ambiente é mal tenuto si possono riscontrare delle forti invasioni cagione di viva irritazione, dimagramento, anemie, arresto di sviluppo nei soggetti giovani e diminuzione di fecondità e deposizione negli adulti.

Questi parassiti si suddividono in varie specie di cui le principali sono le due seguenti:
1) mallo fagi, rappresentati soprattutto dal ” pidocchio pollino ” di colore biancogrigiastro a digiuno e rosso dopo il succhiamento e così piccolo che appena lo si scorge ad occhio nudo : sue sedi preferite sono le basi delle piume della testa, del collo delle ali e della regione anale : se ne sta ammassato con altri senza mai spostarsi: applicando il palmo di una mano sopra una delle suddette zone e sollevandolo dopo breve tempo lo si vede tutto punteggiato di parassiti; essi sono talmente prolifici che, in meno di un mese, da una coppia possono derivare da 50 a 60 mila discendenti !
2) gamasidi, comprendenti il cosiddetto ” pidocchio rosso ” o ” dermanisso “, ematofago al massimo grado, ancora più piccolo dei precedenti ma assai più pericoloso e differenziantesi anche dalle abitudini; infatti non si riesce mai a trovarlo di giorno sulle vittime perché se ne sta nascosto tra gli interstizi delle pareti del pollaio o dei posatori o nei nidi, mentre di notte assale i pennuti senza requie. Ha corpo ovoidale, appena discernibile, di color grigio anche esso a digiuno mentre quando é sazio di sangue é rosso scuro e naturalmente di maggiori dimensioni; possiede sei zampe incurvate ed un robusto pungiglione; dalle uova, entro pochi giorni, si originano gli individui adulti che, se trovano un ambiente caldo e sudicio si moltiplicano tosto con tale rapidità da divenire in un mese dei milioni. I sessi sono separati, le femmine misurano 0,75 mm e poco meno i maschi; hanno metamorfosi completa e sono capaci di resistere parecchie settimane e più senza cibarsi, cosicché se qualche allevatore pensasse di potersene sbarazzare, allogando per qualche giorno le sue galline in altro sito, farebbe cosa vana. Anche le loro uova sono assai resistenti potendo sopportare temperature elevate. Per accertarsi della loro presenza basta sollevare le piume di un pollo ed osservare, di notte, la pelle, aiutandosi per maggior sicurezza, con una lente.
Le galline ovaiole quando si recano nel nido, e lo trovano infestato, fuggono emettendo caratteristiche grida: durante la cova alcune abbandonano ogni cosa, mentre altre si sacrificano sino a morire dissanguate.
Come la maggior parte dei parassiti cutanei, preferiscono ospiti giovani o deboli perché riesce loro più agevole
pungerne, ripetute volte, la tenera pelle. Di notte sono capaci di compiere lunghi tragitti alla ricerca delle loro vittime e se non possono avvicinarle si raccolgono sul soffitto e si lasciano cadere sul loro corpo.
Entrando in un ricovero fortemente invaso, una persona pratica se ne accorge subito da uno speciale odore acre e dalle chiazze bianco-grigiastre dei posatoi, dovute ad ammassi di uova o di rivestimenti cutanei di questi acari. I polli molto infestati presentano le piume arruffate e continuamente sollevate dal becco alla ricerca degli introvabili nemici: la cresta ed i bargigli sono di tinta pallida e tutta la pelle é cosparsa di macchioline rosse prodotte dalle punture. Il dimagramento è graduale e così sensibile da potersi avere la morte per cachessia.
Già si é ricordato come questi ed altri consimili nefasti parassiti possano riuscire doppiamente dannosi, albergando sovente microrganismi che inoculati saranno causa di gravi malattie infettive (tifo, colera, spirochetosi ecc. ).
L’intervento deve quindi essere fatto senza indugio, ripetuto a distanza e radicalmente, rivolgendosi nel tempo stesso ai ricoveri ed ai pennuti, e non dimenticando mai che, per prevenire tutti questi guai, l’arma più efficace é rappresentata dalla pulizia, aria, sole.
Il ricovero verrà irrorato con latte di calce addizionato del 5 % di petrolio od anche con una soluzione del 2 per mille di esteri fosforici, curando che il liquido penetri in tutte le fessure; oppure si svilupperanno dei fumi di anidride solforosa, che sono tra i più energici: dopo di aver fatto uscire i polli, e chiuse tutte le aperture, si pone nel pollaio una scodella con entro un pugno di zolfo misto ad un po’ di salnitro o di alcole, e gli si dà fuoco, chiudendo subito la porta e non aprendola che 48 ore dopo.
I poggiatoi, se vecchi, saranno dati alle fiamme e del pari i nidi, diversamente si laveranno con una soluzione di soda bollente e mai con disinfettanti a forte odore perché le galline diserterebbero poi certamente il giaciglio. Trattandosi di un pollaio metallico si può anche lestamente avvamparlo con un piroforo.
Quando la popolazione pennuta é numerosa, giova insistere nella prevenzione sottoponendo i ricoveri a periodiche ed abbondanti vaporizzazioni con una soluzione al 2 per mille di esteri fosforici, e se i pollai fossero provvisti di parchetto lasciare che i polli possano avvoltolarsi nel già citato ” bagno secco “.
Pure utilissimo isolare i poggiatoi nel modo a suo tempo detto ed, infine, per i ricoveri rustici può tornare efficace appendervi dentro e di sera, dei fastelli di fronde di sambuco o di ontano che si troveranno la mattina successiva tutti ricoperti di parassiti: non resterà allora che abbruciarli e sostituirli con altri.

20 – Avitaminosi

L una malattia comune a tutti i pennuti sia da cortile che da gabbia e tanto più se compresi nell’età da 3 a 9 mesi e nella stagione primavera-estate; essa é strettamente legata al regime alimentare carente di determinati fattori (vitamine A, B, C, D, PP) che, come in precedenza indicato, risultano di essenziale importanza nel regolare il normale funzionamento organico.
Questi ne sono i sintomi: anemia delle parti carnose della testa, apatia e debolezza generale, irritazione della terza palpebra (o nittitante) nonché comparsa di essudato biancastro nella cavità orbitale ed anche presenza di scolo nasale e pustolette.
Per prima cosa si deve provvedere all’eliminazione delle cause, scartare tutto ciò che non é perfettamente sano, pulito, fresco, appropriato, attenendosi a quanto esposto nel Cap. seguente.

21 – Rachitismo

È una forma collaterale della precedente che colpisce di preferenza i pulcini sino dal primo giorno di nascita e che può provocare elevata mortalità o per lo meno un impossibile intervento economico.
Tra i sintomi caratteristici si notano : una cattiva conformazione dello scheletro e principalmente della colonna vertebrale e degli arti che si presentano deviati e talora tanto deboli da non poter sorreggere il corpo, in modo che il tapino é obbligato al permanente decubito. Le ossa sono sovente così tenere da lasciarsi piegare. La causa del male va ricercata nella scarsa robustezza dei genitori, nella alimentazione insufficiente e inadatta e particolarmente deficiente di sali di calcio, fosforo e delle vitamine A (o della crescenza) e D (od antirachitica perché calcio-fosfofissatrice), ed infine nell’ambiente malsano. Bisogna quindi eliminare questi inconvenienti: si dia cibo sostanzioso, ricco di albumine (residui carnei, farina di pesce, ecc.), di verdure, apportatrici delle citate indispensabili vitamine, come cavoli, erba medica, trifoglio, ortica, residui di pomodoro, lievito di birra, germi di grano, ed infine non si dimentichi di non lasciar mancare nelle tramogge i granulati di ossa o dei gusci d’ostrica, e nei pastoni destinati ai giovani un g a testa di olio di fegato di merluzzo o di tonno. Il ricovero sia bene esposto e protetto soprattutto dal freddo e dall’umido.
Contro la debolezza delle zampine si possono anche praticare delle pennellature di iodio 1 g, alcole 20 g e glicerina 10 g.

22 – Polineurite

Questa malattia si allaccia alle due precedenti essendo dovuta soprattutto alla carenza della vitamina B, e quindiil suo quadro assomiglia al ben noto ” beri-beri ” che travaglia le popolazioni dell’Oriente per il prevalente uso del riso brillato. Anche nei polli insorge per una alimentazione ir razionale, per essere tenuti sempre al rinchiuso e lungi dai benefici effetti delle radiazioni solari.
La sintomatologia é data da movimenti disordinati, incapacità di deambulazione, paralisi delle ali e piedi: non mangiano, dimagrano sinché soccombono. L’intervento presuppone la eliminazione delle cause avverse e la som ministrazione di specialità vitaminiche e minerali.

23 – Pica

È nota anche con i nomi di becchettamento, Merofagia, ed é una mania di origine nervosa riscontrabile più di fre quente nei soggetti allevati in ricoveri molto angusti che li spinge a beccarsi tra loro rabbiosamente la base delle penne, con preferenza di quelle della regione circumanale, del dorso e del collo, sino a ridursi alle volte in uno stato veramente pietoso: così conciati é facile che soggiaccino a guai ben maggiori.
Il danno che all’allevatore ne deriva é assai notevole anche perché questo pervertimento si propaga, quasi per contagio ed in breve tempo, a tutti i componenti.
Spesso é il gallo che viene preso di mira alla cresta ed inutile risulta il tentativo di proteggerla con tintura di aloe o di assafetida.
Si ritengono circostanze coadiuvanti il pollaio male aerato l’eccesso di caldo o di luminosità la carenza della bevanda e, per talune galline, anche il rilassamento della cloaca.
Più incline al malanno risulterebbero le razze selezionate leggere, rispetto a quelle pesanti od agli ibridi.
Molti interventi sono stati consigliati e di essi se ne indicano i principali:
1) possibilmente lasciare vagare il pollame all’aperto;
2) spargere le granaglie tra la lettiera per obbligare i pennuti a distrarsi nella ricerca; ridurre la dose del mais a beneficio di altri cibi più ricchi di sostanze proteiche (farina di carne o di pesce, o di latte, avanzi di macelleria); aggiungere ai pastoni una piccola quantità icco1a di un amaricaute (assenzio, genziana ecc.); salare la pietanza per alcuni giorni od anche l’acqua da bere (5 g di sale da cucina in un litro d’acqua);
3) mantenere l’ambiente nella semioscurità oppure tingere le vetrate di blu, oppure usare lampade a raggi infrarossi;
4) effettuare il cosiddetto ” debeccaggio ” consistente nella amputazione, con una lametta ben tagliente, di poco meno di mezzo cm della parte superiore del becco (che si rifà entro una ventina di giorni); negli allevamenti industriali si ricorre ad apposite tenagliette o particolari strumenti elettrici che permettono di operare rapidamente e con precisione prima recidendo e poi cauterizzando l’estremità cornea, questo lavoro può attuarsi al tavolo con l’aiuto di una pedaliera. L’intervento può farsi anche sui pulcini quando abbiano compiuti dieci giorni ed indirettamente serve ad evitare lo spreco del mangime fuori della mangiatoia;
5) applicare il metodo americano basato sull’impiego di speciali mascherine che lasciano uscire da una fessura il becco, oppure quello olandese consistente in paraocchi di plastica che, tramite un anello, si fissano con pinze al setto nasale e che limitano il campo visivo soltanto verso il basso in modo da non ostacolare la prensione del cibo ;
Quando la pica si manifesta sui pulcini, specialmente se tenuti nelle batterie, può assumere un tale impressionante
accanimento da condurre ad una vera forma di cannibalismo: incomincia un pulcino a beccarsi l’ano, a causa del prurito provocato da feci raggrumate: alla prima stilla di sangue che compare é assalito da parte degli altri che si avventano con una tale insistenza che alle volte viene forata, ed anche estratta, la cloaca o parte dell’intestino e, cosa curiosa, il malcapitato non si ribella. Dopo di lui, un altro pulcino che subisce la stessa sorte e così via.

Eccessivo affollamento, deficienza di vitamine, di proteina, di sali minerali (di sodio, calcio, magnesio ecc.) concorrono a favorire detta manifestazione: é quindi necessario intervenire a tempo per eliminarla: si consiglia la vitamina C nella dose di 1-2 gocce a testa e per giorno mescolata ai pastoni, oppure l’olio di fegato di merluzzo (un cucchiaio da tè per 15 soggetti).

24 – Artrite

Trattasi di malattia dovuta precipuamente al freddo ed all’umido, e quindi indirettamente al pollaio male ubicato od avente fori e crepe attraverso a cui si originano perniciose correnti d’aria, e siccome vi concorre di solito anche la lettiera molto sporca, per residui alimentari, il tutto fa pensare ad un insieme oltremodo trascurato. Il malanno può colpire gli arti che vengono spesso trascinati rasente terra, oppure le ali cascanti in basso per la mancata forza di sollevamento; stando così le cose non è attuabile un trattamento economico.
Non va dimenticato che anche virus e batteri possono essere causa specifica del male.

25 – Apoplessia

È quasi sempre la conseguenza di un colpo di sole, accidente che si verifica non di raro quando i pennuti siano forzatamente obbligati a rimanere per più ore sotto la sua implacabile sferza, circostanza che non succede quando abbiano la possibilità di muoversi alla ricerca di un migliore refrigerio : casi analoghi si hanno allorché si spediscono i polli in gabbie e queste siano lasciate sbadatamente sulle banchine delle stazioni.
Siccome la morte é fulminante alle volte qualcuno potrebbe anche pensare ad una improvvisa malattia infettiva acutissima, tanto più che le vittime presentano alcuni caratteri affini (cianosi della cresta e dei bargigli, palpebre edematose, epidermide disseminata di petecchie e di tinta violacea ecc.): il sicuro accertamento si può avere dall’esame necroscopico.
Un accidente simile, detto colpo di calore, può verificarsi per i pulcini allorquando si stipino eccessivamente sotto le ” cappe ” allevatrici con riscaldamento centralizzato in modo che al calore prodotto da tutti i loro corpicini si somma quello notevole della lampada.

26 – Diarrea semplice

È caratterizzata da frequenti scariche semiliquide, spesso mucose e di vario colore. Ne é causa l’abuso di foraggi verdi,
bagnati, guasti, l’acqua impura, l’umido od il freddo. Per maggior sicurezza si isolino i colpiti allogandoli al caldo ed all’asciutto, perché potrebbe essere anche un sintomo di qualche grave malattia. Da bere si dia latte acido od acqua addizionata con 1’1 % di solfato di ferro. Dopo un giorno di completo digiuno, si somministri riso molto cotto, pane imbevuto di vino, granaglie diverse e pastoni quasi asciutti con l’aggiunta di un cucchiaino di carbone di legna in polvere ed altro di fondi di caffé od anche un po’ di ghianda pestata, oppure 1-2 g di genziana. Qualora nelle deiezioni si riscontrassero dei vermi si veda quanto esposto in precedenza e se il paziente presentasse il gozzo enfiato quanto é detto al N. 28.

27 – Costipazione

Questo malanno dipende dall’accumulo di cibo o di sterco nelle vie digerenti e sovente é la conseguenza di una alimentazione troppo asciutta. Si somministri una purga sotto forma di olio di ricino o di sale amaro (2-3 g) sciolto in acqua e mescolato ai pastoni, oppure 1-2 g di foglie di sena polverizzate ed incorporate ai suddetti, oppure si faccia inghiottire a viva forza una pallottolina di burro in cui si sarà incorporato un po’ di aloe (quanto un chicco di frumento). Per qualche giorno si tenga l’animale a dieta a base di verdure e pastoni semifluidi e sempre addizionati di semi di lino preparati in questo modo: in un recipiente si pongono ad ammollare 10 g di detti semi in 50 g di acqua fredda, lasciandoveli per 24 ore, dopo di che si scolano e si adoperano, rinnovando però per più giorni la preparazione.

28 – Ostruzione del gozzo

È la conseguenza del ristagno del cibo nell’ingluvie, tanto più se si tratta di pezzetti grossolani di patata, carota, barbabietola ecc. od altri costituiti da cellulosa indigeribile come frammenti di baccelli, bucce ecc.
La diagnosi dell’accidente é facile in quanto il gozzo si presenta alla palpazione ora assai consistente (cibostasi) ed ora molle perché in parte occupato dal gas generatosi col processo fermentativo.
L’animale non mangia e non beve, mentre sbadiglia frequentemente e lascia colare dal becco un liquido vischioso e puzzolente: cresta e bargigli divengono violacei.
L’intervento da attuarsi é il seguente: innanzitutto si tiene l’animale a completo digiuno per una giornata e gli si somministra a viva forza un cucchiaino di olio di ricino od un cucchiaio di olio comune e con ripetute palpazioni e massaggi, sulla zona enfiata, si cerca prima di mescolare bene l’olio al cibo ristagnante e quindi si tenta di fare defluire il tutto verso il ventriglio e, se non si riesce, si massaggia in senso inverso in modo da favorire il vomito.
Raggiunto che si abbia lo scopo, si tiene ancora per qualche giorno il pennuto a dieta, dandogli tre volte al giorno del succo di limone, o del caffé, o lasciandogli bere a volontà acqua con un pizzico di bicarbonato. Di solito entro pochi giorni l’animale si rimette.
Ma alle volte non si riesce nello scopo: non resta allora che di tentare la ingluviotomia, praticando, con una lametta tagliente e disinfettata e dopo aver spiumata la zona, un taglio nel collo sino all’interno del gozzo: con le dita se ne asporta allora il contenuto, indi con una soluzione disinfettante si lava la parte ed infine si cuce con filo bianco, prima il viscere e poi la pelle terminando con una pennellatina di tintura di iodio sulla ferita. Ciò fatto si tiene l’animale in luogo tranquillo, appartato dai compagni, alimentandolo, nei tre giorni successivi unicamente con pastoni fluidi.

29 – Gotta

Questo malanno insorge alle volte durante i mesi invernali allorché i polli vengono tenuti per lungo tempo al rinchiuso ed alimentati copiosamente con razioni ricche di proteina (farina di carne, di pesce, avanzi di macelleria, avena ecc.) e carenti della vitamina A. Nelle articolazioni dei tarsi, delle dita ed alle volte anche alla base delle penne, compaiono, sotto la pelle, piccoli noduletti duri, dolenti, dovuti ad alterato ricambio in modo che l’acido urico ed i suoi sali, od urati, precipitano depositandosi nelle suddette sedi e provocando indebolimento generale, gonfiori ed ostacolo alla deambulazione od al volo; i soggetti camminano saltellando, oppure strisciando al suolo con le dita private della naturale elasticità : quando sono a riposo, tengono sollevata l’una o l’altra zampa.
Dopo qualche settimana le tumefazioni, le cui dimensioni possono andare da quelle di un pisello ad una nocciola, si aprono lasciando uscire un liquido giallastro e di consistenza cretacea : accentuandosi il male insorge la diarrea ed il dimagramento sinché l’animale soccombe per cachessia.
La cura consiste nella tempestiva parziale sostituzione dei pastoni e dei suddetti mangimi tanto più se salati, con molta verdura ed aggiungendo alla bevanda del bicarbonato sodico (15 g in un litro d’acqua) o meglio di carbonato di litio (10 g in un litro) o di acido salicilico (un g in un litro).
Anche i pulcini, specialmente se di importazione, o quelli assoggettati a bruschi cambiamenti di vitto, possono soggiacere ad una forma di gotta viscerale cagione di elevata mortalità.

30 – Congiuntivite

È l’infiammazione della membranella che riveste internamente le palpebre : tutto l’occhio si presenta arrossato
e lacrimoso; ne é cagione l’ambiente antigienico, umido, sporco e con la lettiera in fermentazione. Si lavino gli occhi con un batuffolo di bambagia imbevuto di acqua salata o di infuso di camomilla o di soluzione borica tiepida al 3%. Ma se il male persistesse e si aggravasse, si isolino subito i soggetti colpiti, e si instillino negli occhi ogni giorno alcune gocce di solfato di zinco in soluzione al 0,3% o si insuffli un po’ di calomelano.
Nel caso si osservassero false membrane ed ulcerazioni corneali sarebbe un sintomo del diftero-vaiolo, già descritto.

31 – Ragadi – Sobbattitura

Sono delle screpolature che si verificano alle volte sulle zampe a cagione della cattiva manutenzione del pollaio, sia per le listerelle del pavimento legnose con spigoli scheggevoli, sia per essere lo stesso formato da acciottolato sconnesso e consunto; la sporcizia, l’umido ed il freddo ritardano la cicatrizzazione e favoriscono anche la comparsa di pustolette ed ascessi: necessità di assicurarsi che sotto la pianta dei piedi non siano conficcati corpi estranei: si detergano prima le parti offese con lavacri tepidi di acqua disinfettante e poi si ungano con pomata all’ittiolo od all’ossido di zinco o con glicerina iodata (3:1).

32 – Ferite e fratture

Le prime possono essere dovute a beccate, a chiodi, pezzetti appuntiti di legno, a cocci di vetro ecc. Si lavino con alcole o con una soluzione di creolina, o di acqua ossigenata o di lisoformio, o si pennellino con tintura di iodio; qualora apparisse del pus si usi l’olio fenicato. Se la ferita fosse di una certa ampiezza, dopo di averla disinfettata se ne riuniscano i lembi con alcuni punti e si cosparga poi di polvere cicatrizzante (in mancanza di ” streptosil ” od altra può servire la cenere di legna stacciata e pulita).
Le fratture delle zampe e delle ali sono piuttosto rare e conseguenza di cadute, di zuffe o di sassate da parte della ragazzaglia.
Trattandosi di un animale comune conviene sacrificarlo perché non sarebbe economico perdere dietro ad esso troppo tempo, mentre se di valore si può tentare un intervento chirurgico.
Se la rottura riguarda un tarso si cerca, tirandola un po’, di rimettere a posto la parte, indi si fa una lieve fasciatura coprendola con cotone e tre stecche di legno sottile, ma non pieghevole, lunghe poco più della zampa, che si tengono a posto con una benda intrisa di gesso e bagnata all’istante. Si colloca l’animale in un cesto basso ed in luogo appartato e tranquillo.
Se invece si tratta di un’ala rotta, dopo di averne bene avvicinate le parti lese la si fa aderire al corpo, passandovi sopra una larga benda, alquanto tirata ma che lasci libera l’ala sana.
In entrambi i casi non si deve rimuovere la fasciatura prima di 30-40 giorni.

33 – Perosi

Viene così chiamata la deviazione dell’articolazione femoro-tibiale che può comparire nei soggetti giovani od adulti e che, qualora non ne sia una causa specifica il freddoumido, può imputarsi alla assenza di manganese negli alimenti somministrati; trattasi, infatti, di un metallo che difficilmente entra a far parte anche dei consueti condimenti, eccezion fatta per alcune specialità: lo si usa nei suoi composti salini solubili (carbonato, solfato, cloruro di manganese) nella dose di circa 0,5 g per ogni 10 kg di mangime.
È dato spesso di riscontrare perosi ai piedi in quei soggetti che vennero tenuti a lungo in batterie con pavimento in rete metallica.

34 – Prolasso dell’ovidotto

Le cause che possono provocare il suddetto inconveniente sono diverse: debolezza organica, deficienza di proteine nella razione, abitudine di deporre uova di volume superiore al normale, infiammazione delle vie sessuali (ovidottite), sia per una prolungata ovulazione, sia per alterazioni conseguenti alla pessima abitudine della esplorazione rettale da parte delle massaie per accertarsi della eventuale deposizione delle uova.
Alla fuoriuscita dell’ovidotto si può accompagnare quella della cloaca che si presenta alla apertura anale come un sacchetto gonfio ed arrossato. L’intervento consiste nel lavare la porzione fuoriuscita, con una soluzione disinfettante, ungerla con olio di oliva e cercare di sospingerla delicatamente in sede; successivamente si praticheranno delle irrorazioni rettali, con una peretta di gomma, di una soluzione tiepida di allume all’uno per cento.
I pazienti si terranno a digiuno per un giorno, isolandoli in luogo tranquillo, con poca luce e senza posatoi. Nei pastoni si aggiungerà qualche seme di lino di azione lassativa. Non si dimentichi, però, che il malanno è di solito recidivante così che le suddette pratiche finiscono coll’essere superflue.

35 – Stentata deposizione delle uova

Si dà alle volte il caso che galline vecchie o troppo giovani o molto grasse non riescano, nonostante i ripetuti conati, ad emettere l’uovo tanto più se di grosse dimensioni; ne sono segni caratteristici il correre di qoà e di là con ansia e sgomento od il fermarsi tratto tratto per accovacciarsi.
Si può tentare di salvarle da sicura morte ungendo la cloaca con una piuma flessibile intrisa di olio e cercando di
penetrare anche tra il guscio e la mucosa, ciò fatto si esporrà, per qualche minuto, la parte posteriore del corpo, ed a più riprese, ai vapori di una pentola di acqua in ebollizione; la dilatazione prodotta dal calore é spesso sufficiente a far sì che l’uovo fuoriesca tanto più se si esercita una lieve pressione con la mano.
Ma se nonostante questi tentativi non si riuscisse non rimane che cercare di rompere il guscio, servendosi di un cucchiaino unto d’olio e sempre agendo con molta cautela per non provocare pericolose lesioni; qualora l’inconveniente dovesse altre volte ripetersi, probabilmente a causa di una alterazione dell’ovidotto, conviene sacrificare il soggetto.

36 – Emissione di uova senza guscio

Vengono deposte con una certa frequenza da galline affette da infiammazione o da tare dell’ultima porzione della cloaca (ovidottite), – ed in tal caso il male é pressoché incurabile – così che l’uovo viene espulso prima di essersi rivestito dell’involucro calcareo e così va perduto. Anche l’eccesso della ovodeposizione può condurre a detto inconveniente. In via subordinata può concorrervi una alimentazione irrazionale, scarsa della vitamina D (calciofissatrice), o l’ambiente angusto, umido senza il beneficio dei raggi solari. Si lascino in tal caso razzolare liberamente le galline nei campi onde possano cercarvi il necessario complemento fisiologico o, non potendolo, si somministrino verdure, granaglie diverse, pastoni di crusca e farine addizionati di ossa macinate o di gusci di ostrica (nella dose di 3-4 g a testa per giorno), o, meglio ancora di olio di fegato di merluzzo (1-2 g), condimento stimolante e vitaminico per eccellenza.
Molte altre possono comunque essere le cause: per es. le verminosi e soprattutto una malattia virale specifica chiamata Egg Drop Syndrome (EDS) 76, per la quale esiste
un apposito vaccino, da praticarsi per via intramuscolare a 16-18 settimane di età.
Infine, va fatto presente che la emissione di uova con guscio molto sottile o mancante può essere anche dovuto a ripetuti disturbi alle ovaiole da parte di forti rumori o dalla presenza di cani o gatti che innervosendole sono causa di una repentina diminuzione della secrezione delle ghiandole calcigene dell’ovidutto.

37 – Ovofagia

È il vizio di molte galline di mangiare le uova appena deposte. Le massaie, spesso indispettite nel trovare il nido vuoto, finiscono col tirare il collo e mettere nella pentola le colpevoli ma non é affatto necessario ricorrere a mezzi così estremi. Premesso che se le galline mangiano le uova se ne deve ricercare la causa in un bisogno fisiologico insoddisfatto di sostanze proteiche e di sali calcarei e pertanto si dovrà innanzitutto provvedere che le prime siano comprese nei pastoni ed i secondi non manchino nelle tramogge.
Non si devono mai gettare in pasto alle galline i gusci delle uova usate in cucina perché in tal modo non si fa che spingerle alla ovofagia; bisogna se mai frantumarli e farli cuocere nei pastoni, od anche metterli in un forno a 1000, perché, così sterilizzati, non divengano veicoli di malattie qualora fossero inquinati da batteri. Si sono infatti verificati casi di pullorosi e di peste in conseguenza all’uso di gusci di uova inquinate.
Quanto sopra esposto ha un’azione preventiva ed anche curativa del malanno, ma a lunga scadenza. Per raggiungere subito lo scopo desiderato occorre invece ricorrere ai già descritti nidi di sicurezza, che sono delle ceste o delle cassettine a doppio fondo atte ad occultare l’uovo appena deposto.
Questo metodo é più pratico e sicuro di quello dell’impiego di uova marce, o di marmo, o di gusci riempiti con cenere, vischio o con sostanze irritanti (pepe), puzzolenti (assafetida) o lacrimogene (ammoniaca), che se obbligano l’animale ad allontanarsi dopo le prime beccate non valgono però a correggerlo dal vizio; del pari non riesce sempre la spuntatura del becco consigliata da taluni.

38 – Avvelenamenti

Possono essere provocati dall’impiego di recipienti di piombo o di rame non stagnato o da medicamenti inadatti od in dose superiore alla tolleranza, dall’ingestione di erbe velenose (cicuta, acetosella, aconito, senape bastarda, fraina, digitale, cavolaccio, stramonio, gigaro, loglio, mercuriale, anemone, ranuncolo, belladonna, edera, tasso, colchico, giusquiamo, erba mora, elleboro ecc.) od imbrattate di soluzioni arsenicali (largamente usati nelle campagne come insetticidi) (1), o dalla somministrazione di alimenti esageratamente salati, dall’aver beccato sostanze topicide o dei granelli di nitrato del Cile o di altri concimi similari sparsi nei campi e nei prati. Ad evitare questo ultimo accidente si dovrà ricordare di non tenere aperti sacchi di fertilizzanti nei cortili o nei locali accessibili ai pennuti e di rinchiudere questi, nei giorni in cui si fa lo spargimento, e per alcuni successivi.
I sintomi più salienti dell’avvelenamento sono: generale prostrazione ed anche collasso, spasmi muscolari, abbassamento di temperatura, diarrea striata di sangue. Alla
(1) Nell’estate 1950 una famiglia di agricoltori del Veneto ebbe a subire gravi manifestazioni di avvelenamento per aver mangiato carne di un pollo che – come l’autopsia poté dimostrare – a sua volta aveva ingerito delle larve di ” dorifora”, in precedenza combattute con arsenito di calcio.
autopsia si riscontra la mucosa gastrica ed intestinale spesso ulcerata, estese emoragie. L’intervento é molto problematico richiedendosi per ogni tossico un antidoto specifico: in linea generale può giovare la somministrazione del bianco d’uovo sbattuto nel latte, oppure la metionina od i complessi vitaminici tra cui il fattore K. Qualora l’avvelenamento fosse dovuto ad ortiche si cerchi di far bere dell’acqua di calce, seguita da un purgante.

39 – Muta

Non é propriamente una malattia ma uno stato transitorio di crisi al quale per natura soggiacciono tutti i pennuti, in primavera ed in autunno, per liberarsi del vecchio piumaggio e sostituirlo con altro novello : detto fenomeno non si verifica per gli uccelli viventi nelle regioni calde.
I pulcini nati in primavera mutano nell’autunno dell’anno successivo e se le nascite avvenissero più tardi si può andare incontro all’inconveniente di vedere comparire la muta in pieno inverno allorché molto minori sono le difese dell’organismo.
La muta può essere precoce o tardiva: la prima (estiva) alle volte si prolunga anche per parecchi mesi e, come é lenta la caduta del piumaggio del pari lo é la ricrescita; l’allevatore ha quindi tutta la convenienza di sbarazzarsi di questi animali non appena il fenomeno incomincia a manifestarsi; ben diverso é il caso per quelli che mutano nel tardo autunno (ottobre, novembre), in quanto il fatto é alle volte così rapido che di esso neppure ci si può accorgere: sono questi i soggetti da tenere da conto e meritevoli di essere selezionati perché se si tratta di galline sono quasi sempre delle ottime ovaiole.
Per sapere chi dei vari soggetti allevati muta prima, si porrà attenzione alle eventuali piume che si trovassero nel pollaio, cercando di individuare a chi siano appartenute.
La caduta si inizia, di solito, dalla testa per estendersi al collo, petto, dorso, ali e coda.
Inutile poi aggiungere che la muta avviene in modo più agevole nei pennuti sani e vigorosi, mentre il contrario si verifica per quelli deboli o malaticci che non sempre riescono superarla: per essi rappresenta una manifesta minorazione fisiologica: si presentano, infatti, tristi e svogliati anche nel mangiare, se ne stanno rincantucciati o si indugiano a lungo sui posatoi e col passare dei giorni sia la cresta che i bargigli sbiadiscono ed il piumaggio non aderisce più bene al corpo.
In questa fase critica si consiglia l’allevatore di circondare i suoi protetti di maggiori attenzioni, scegliendo alimenti più sostanziosi ed aggiungendo nei pastoni la già citata farina di piume per il suo cospicuo apporto di quegli elementi organici e minerali che vanno perduti; infatti, una gallina con la deplumazione si spoglia, in media, di 150 g di piume, il che richiede, per il loro rimpiazzo, tra l’altro, circa 135 g di proteine (quante ne sono cioé contenute in 20 uova!); ed ancora siccome é stato constatato che in questo periodo si verifica una sensibile diminuzione del tasso del calcio nel sangue (che da 30 mg scende anche a meno di 12 mg per ogni 100 cc) ne consegue che non si deve mai lasciar mancare nelle tramogge il calcare od i granulati di ossa, e neppure si trascureranno le preziose vitamine, ed in particolare la B12, ricorrendo a quei foraggi che ne sono largamente forniti (erba medica, trifoglio, ortica, cavoli ecc.), infine si concederà ai polli una maggior libertà anche per evitare che insorgano manifestazioni di pica.
Considerato poi il particolare stato fisiologico in cui viene a trovarsi il soggetto non deve destare meraviglia se lo stesso si mostra svogliato nell’avvicinarsi alla mangiatoia, si dovrà quindi stimolarlo con dei pastoni che, se richiedono perdita di tempo nel prepararli, sono però sempre molto accetti e tanto più se offerti tiepidi durante le
giornate piovose. Vi sono pure allevatori che intervengono aggiungendo alla razione degli integrativi aminoacidi (che sono i prodotti della scissione delle proteine nelle vie digerenti) quali la cistina e la metionina nella dose media di 2 g per ogni kg di mangime.

Nei grandi allevamenti si suole anche tener separate le galline che hanno già subita la muta per meglio poter ac
cudire le rimanenti; né manca chi interviene provocando forzatamente in anticipo la muta (nell’estate) mediante la, riduzione ed anche la temporanea sospensione, per un paio di giorni, del cibo e della bevanda.
Infine, non sarà fuor di luogo ricordare che, nella fase iniziale, é facile confondere la deplumazione fisiologica con quella parassitica: all’uopo basterà osservare la base delle piume che dovrà presentarsi intatta nel primo caso, mentre rotta o corrosa nel secondo.

Testi tratti da Marino Cortese 1969

Criceto

I Criceti

Classe Mammiferi
Ordine Roditori
Sottordine Miomorfi
Famiglia Cricetidi

Le origini
Il criceto è stato scoperto nella prima metà del diciannovesimo secolo in Siria da un naturalista, nei primi del ventesimo secolo un altro naturalista sempre in Siria avvisto nuovamente questo curioso animaletto e gli diede il nome di mesocricetus auratus. Per avere degli esemplari in cattività però bisogna aspettare circa il 1930 in cui uno zoologo riuscì a trovare alcuni esemplari e ne prese alcuni per allevarli. Successivamente verranno poi trasportati prima in america e poi in tutto il mondo. Queste sono le origini del criceto domestico, ma esiste anche una versione selvatica del criceto (cricetus cricetus) di taglia maggiore, che è un animaletto che vive nell’Europa centrale e orientale fino anche all’Asia.

Le razze
– Criceto dorato –> mesocricetus auratus
– Criceto russo (detto anche criceto di Campbell) –> phodophus campbell
– Criceto cinese
– Criceto Roborovsky
– Criceto siberiano (Winter White) –> phodophus sungorus
Caratteristiche delle razze

– criceto dorato: il criceto dorato è stato il primo criceto ad essere allevato, ha taglia leggermente più grande delle altre razze domestiche, il suo corpo può raggiungere anche i 15cm, ha una vita media di 2 anni anche se sono documentati casi di criceti che hanno abbondantemente superato quest’età. Diventano maturi sessualmente già ad un mese di vita, vengono infatti svezzati già intorno i 25 giorni e la gravidanza dura circa due settimane, fanno cucciolata molto numerose. Sono soggetti molto territoriali e la convivenza tra più soggetti sia dello stesso sesso che non è praticamente impossibile, si verificano infatti lotte molto violente, uccisioni e atti di cannibalismo. Sono come tutti i criceti ma questa razza in particolare molto territoriali e solitari. Ci sono tantissimi colori sia unica tinta che pezzati e varietà a pelo lungo o corto.
– criceto russo: il criceto russo è uno dei più allevati in questo ultimo periodo, il corpo raggiunge massimo i 10cm, sono molto piccoli di taglia, ha una vita più breve del dorato in quanto la media è di un anno e mezzo, anche se naturalmente ci sono casi in cui questi animaletti hanno superato i due anni di vita, ad ogni modo è rarissimo che raggiungano i due anni e mezzo. Anche loro sono maturi sessualmente molto presto, già verso il mese e mezzo di vita e la loro gravidanza dura leggermente di più del dorato, in media sono diciassette giorni ma può raggiungere anche le tre settimane, le cucciolate sono leggermente meno numerose, possono farne anche otto, ma di solito la media è di cinque. Sono criceti leggermente più socievoli ma pur sempre criceti, quindi se presi due piccoli della stessa cucciolata dello stesso sesso possono convivere, e se si ha abbastanza spazio ci sono casi in cui i cuccioli possono formare delle colonie con i genitori,invece è praticamente impossibile inserire un soggetto dello stesso sesso estraneo e alcune volte anche di sesso diverso. Anche qui ovviamente sono presenti più colorazioni e più tipi di pelo, anche se la varietà più diffusa è quella grigia con la caratteristica striscia scura lungo il dorso.
– criceto siberiano: viene spesso confuso con il criceto russo e le caratteristiche sono molto simili, anzi quasi uguali. La differenza è che durante l’inverno il suo mantello diventa bianco. In questa razza sono presenti un paio di colorazioni.
– criceto cinese: ha una grandezza simile al criceto di Campbell anche se può essere qualche cm in più, la coda è più lunga che negli altri criceti. Ha un colora sul marroncino, tipo il colore della lepre. Al contrario che nelle altre razze in questa il dimorfismo sessuale è evidente data la presenza dei testicoli esterna. Come i dorati non sono per niente socievoli con gli altri criceti sia dello stesso sesso che di sesso differente, arrivano ad uccidersi e per questo sono da tenere assolutamente separati, non soffrono sono territoriali e solitari. La femmina accetta il maschio solo nel periodo del ciclo estrale, la gravidanza dura una ventina di giorni, dalla quale nascono pochi cuccioli, circa 3 o 4, difficilmente 5, vengono svezzati intorno i 25 giorni e sono fertili dai due mesi.
– criceto di Roborovsky: è un criceto abbastanza longevo rispetto agli altri con una media di 3 anni, sono davvero molto piccoli, la lunghezza è la metà di un criceto russo, quindi intorno i 5cm. Hanno il manto marrone dorato con del sottopelo scuro e il sotto del corpo bianco. Sono maturi sessualmente intorno i 4 mesi e la gravidanza dura tre settimane dalla quale nascono circa 5 piccoli che vengono svezzati intorno le tre settimane. Date le dimensioni ridotte conviene usare le gabbie in plexiglas o terrari, dato che passano molto facilmente dalle sbarre.

Alloggio
I criceti possono essere alloggiati nelle classiche gabbie in vendita, naturalmente devono avere delle misure adeguate, non troppo piccole come purtroppo sono molte volte in vendita, ci sono davvero diversi tipi, a due e più piani, con tubi e altro. Per i criceti più piccoli è comunque consigliato comprare gabbie o con sbarre molto strette e solide o dei piccoli terrari chiusi, o gabbie in plexiglas, in quanto i criceti che hanno le ossa molto flessibili scappano facilmente.
Nella gabbia è importante mettere un nido (casetta), una ruota che comunque deve essere del tipo chiuso tra una sbarra e l’altra, che altrimenti rischiano di incastrare le zampine, una ciotola con il cibo e un beverino a beccuccio dove deve sempre esservi acqua fresca. Nelle gabbie in plexiglas o terrari mettendo dentro il truciolato apposito per roditori i criceti possono divertirsi a scavare dei tunnel sotterranei.
Come lettiera, si può usare del truciolato per roditori assolutamente non aromatizzato, che può creare problemi alle vie respiratorie e le esalazioni possono creare altri problemi; in alternativa si può usare del pellettato di legno e tutolo di mais. Non va usata la lettiera per gatti.
Nel nido non va messa ne bambagia, ne cotone idrofilo, ne ovatta, neanche quelli in commercio che spesso causano soffocamenti e spesso si impigliano nelle zampine creando problemi; quindi nel nido può essere messa o della carta (tovaglioli, carta igienica, fazzolettini…), in alternativa fieno o paglia.
La gabbia deve essere tenuta in luoghi non eccessivamente rumorosi, dove non ci sia ne troppo freddo, ne troppo caldo, in teoria dovrebbe mantenersi su una media di 15°. Se abbastanza spaziosa la gabbia può essere pulita anche una volta a settimana.

Il carattere
I criceti per quanto si dica sono animali territoriali e solitari, una cattiva informazione è fatta anche da recenti cartoni animali, dove si vede una stretta interazione tra bambini e criceti, dove i criceti possono stare liberi, dove non scappano, dove sono socievoli tra loro e socievoli con le persone. Ebbene niente di meno vero. I criceti non sono animaletti per bambini, in quanto sono animali prima di tutto notturni, ciò significa che durante il giorno questi animaletti dormono, tranne che per brevi momenti. Inoltre se questi animaletti stanno dormendo e vengono svegliati di botto o vengono presi ugualmente non ci penseranno due volte a voltare morsi, che sono comunque poco piacevoli. Sono animaletti che con pazienza possono addomesticarsi, magari avvicinandoli con del cibo, possono essere presi in mano e carezzati, e se si ha fortuna quando sono nella gabbietta e si chiamano possono venire. Ma se si lasciano liberi possono perdersi e difficilmente si riprendono. Sono tra di loro animali per nulla socievoli e sono molto territoriali, quindi capita che si uccidano tra di loro, che commettano atti di cannibalismo e persino i figli possono uccidere la madre, una volta svezzati. Quindi è bene tenere comunque anche un solo esemplare, in quanto sono molto riproduttivi, non si possono tenere insieme e poi si è comunque costretti a darli, ed è da segnalare che nei negozi molti finiscono come pasto per i serpenti. I criceti non convivono neanche con animali di specie diverse.

L’alimentazione
In passato si credeva che i criceti dovessero mangiare solo semi di girasole, ebbene non è così in quanto l’alimentazione del criceto, che è onnivoro deve essere molto varia. Inoltre i semi di girasole sono molto grassi e per questo vanno dati non sempre e senza eccedere. In commercio ci sono dei mix discreti, specialmente di alcune marche, ad ogni modo non basta il cibo secco.  Deve essere somministrata verdura e frutta, la verdura principalmente cruda, ma se cotta deve essere scondita e bollita. Hanno bisogno anche di carboidrati che prendono dalla pasta cotta, pane, fette biscottate, biscotti senza zucchero, cereali. Inoltre devono prendere altri tipi di proteine, dunque si possono dare dei croccantini per cane o per gatto, ma tipo una crocchetta ogni due giorni, poi uova sode, carne cotta, tonno naturale, yogurt e formaggio. Naturalmente bisogna evitare di dare dolciumi, merendine, snack in commercio, cioccolato,latte e roba non commestibile all’uomo.

La riproduzione
Avendo già dato dei dettagli più particolari nelle varie razze, in generale il criceto è riproduttivo durante una stagione ma in cattività può esserlo sempre, persino subito dopo il parto. I piccoli nascono nudi e ciechi e non vanno assolutamente toccati, come non va disturbata neanche la mamma, la gabbia non va pulita, finché i piccoli non escono dal nido e mangiano da soli, intorno i 20 giorni.  Il maschio nei russi,siberiani e Roborovsky, può essere lasciato ma va comunque controllato e tolto se necessario, nelle altre razze il maschio va tolto. I piccoli sono alimentati dalla madre prima con il latte e poi pian piano svezzati. Durante la gravidanza e l’allattamento la dieta deve essere più proteica. I cuccioli verso i 30 giorni vanno separati dalla mamma e comunque divisi anche tra di loro, in alcune razze per questioni di aggressività, nelle altre è comunque consigliabile per evitare riproduzioni incontrollate ancora di più tra fratelli. Le femmina hanno l’ano e la vulva molto vicini, il maschio li ha più distanti. In età matura nei maschi sono visibili i testicoli.

Le malattie e le cure
I criceti non trasmettono malattie all’uomo, tranne eventuali rogne o micosi e malattie comunque non comuni…possono essere presenti diverse patologie: tumori, ascessi, infezioni, ferite, crescita eccessiva dei denti, diarrea, costipazione,etc. per qualsiasi sintomo il criceto va portato comunque dal veterinario, naturalmente bisogna cercare un veterinario esperto in esotici in quanto non tutti i veterinari sono effettivamente esperti in piccoli animali. Non hanno alcun bisogno di vaccinazione ed è comunque da segnalare che quando si ha l’influenza bisogna non star troppo vicini ai cricetini, in quanto è trasmettibile e per loro potrebbe anche essere letale, quindi bisogna avere i giusti accertamenti.

Letargo
Capita più volte di vedere criceti come morti, a volte anche irrigiditi e con il corpo freddo, bisogna costatare che siano davvero morti, in quanto quando la temperatura scende anche sotto i 7°, capita che cadano in un sonno profondo, da farli sembrare effettivamente morti. In questo caso, se c’è questo dubbio, vanno messi in un posto dove la temperatura è comunque calda, intorno i 18° in modo che eventualmente in poco tempo inizi nuovamente a svegliarsi.

criceto criceti

criceto criceti

Fonte: www.animalinelmondo.com

Il Coniglio

Tassonomia

Il coniglio è il terzo animale da compagnia in Italia e la sua diffusione sembra ancora in crescita. È un animale molto socievole che instaura profondi legami affettivi con il proprietario e si adatta molto bene alla convivenza con le persone.

Tassonomia

Classe: Mammiferi
Ordine: Lagomorfi
Famiglia: Leporidi
Genere: Oryctolagus
Specie: Oryctolagus cuniculus

Il coniglio, sebbene da molti ancora confuso nell’Ordine dei Roditori, appartiene, insieme alle lepri (Genere Lepus), ai Pika (Famiglia Ochotonidae, Genere Ochotona) ed ai conigli dalla coda bianca (Genere Sylvilagus), all’Ordine dei Lagomorfi in quanto presentano un secondo paio di denti incisivi nella mascella superiore, i cosiddetti “denti a piolo”, “denti da lupo” o dagli anglosassoni “peg teeth”.

Il coniglio è originario dell’Europa del Sud e dell’Africa settentrionale. Già i Fenici ne apprezzavano le carni e chiamavano la Spagna “Terra dei conigli” (i-shepan-im, da cui il nome poi latinizzato in Hispania). Gli antichi Romani ne iniziarono l’allevamento e anche, involontariamente, la diffusione, a causa di alcune fughe e dall’adattamento in Natura in ambienti diversi da quelli originali. Furono i monaci medievali che iniziarono il vero e proprio processo di addomesticamento iniziando ad operare una selezione in base alle caratteristiche di docilità (adattamento alla cattività) e funzionali (taglia e tipo di mantello).

Oggi esistono numerose razze di conigli che variano in funzione del colore del mantello, struttura delle orecchie, tipo di pelliccia, forma del cranio e taglia (si va da razze che pesano meno di 1 kg a più di 8 kg), anche se la maggior parte dei conigli da compagnia originano da incroci tra diverse “razze”.

 

Caratteristiche anatomiche e fisiologiche

 

 

Il coniglio è una preda in Natura, è sempre vigile e pronto a rapide fughe e tutto il suo organismo si è sviluppato per ottimizzare queste caratteristiche. La muscolatura, soprattutto degli arti posteriori, è molto sviluppata e potente mentre l’apparato scheletrico è molto più leggero il che predispone a facili fratture. Le zampe anteriori posseggono 5 dita mentre quelle posteriori solo 4 provviste di unghie non retrattili.

La bocca del coniglio è molto stretta ed il labbro superiore è diviso da un solco che continua, dividendosi, nelle narici, da qui il detto “labbro leporino”. I denti sono in numero di 28, gli incisivi sono separati dai premolari da uno spazio chiamato diastema. Tutti i denti sono definiti ipsodonti e si accrescono per tutta la vita del coniglio (circa 10-12 cm per anno).

I conigli possono respirare solo attraverso le narici, la frequenza respiratoria è di circa 30-60 respiri al minuto, quella cardiaca di 180-250 battiti al minuto. Una particolarità è il movimento delle narici (“twitching” degli anglosassoni) che ha una frequenza di circa 20-120 movimenti al minuto ma che si può fermare quando il coniglio è completamente rilassato.

La cavità addominale è molto grande rispetto a quella toracica per contenere l’apparato gastro- enterico.

La maturità sessuale nel maschio avviene a circa 4-6 mesi di età a seconda della taglia, quando i testicoli si rendono evidenti nelle sacche scrotali prive di pelo localizzate cranialmente al pene, come nei marsupiali. Le femmine raggiungono la maturità sessuale intorno a 4-5 mesi di età le razze più piccole, mentre per le più grandi si arriva sino agli 8 mesi. La gravidanza ha una lunghezza di 30-33 giorni e, a seconda delle razze, vengono concepiti da 4 a 12 piccoli, partoriti solitamente al mattino presto. I piccoli nascono completamente ciechi, sordi, senza pelo. L’allattamento dura solo alcuni minuti una o due volte al giorno ma in questi brevi periodi i piccoli riescono ad assumere una quantità di latte, molto nutriente, pari a circa il 20% del loro peso. I piccoli escono dal nido a circa 2-3 settimane e sono completamente svezzati a circa 4-5 settimane di età.

 

 

Comportamento

 

Il coniglio è un animale altamente sociale, gregario con una rigida gerarchia. Sono animali molto territoriali e si riconoscono numerosi comportamenti per la marcatura del territorio: spruzzi di urina sugli oggetti, deposizione di pellets fecali ricoperti dal secreto delle ghiandole anali ed inguinali in luoghi evidenti, sfregamento del mento sugli oggetti e sui soggetti del gruppo. I comportamenti per definire la dominanza sono ritualizzati e raramente portano ad uno scontro fisico.

Il comportamento del tambureggiamento del piede è impiegato per comunicare uno stato di fastidio, di irritazione o di allerta. L’alba ed il tramonto sono i due momenti della giornata in cui il coniglio si dedica alla ricerca ed al consumo di cibo. Per un ottimale funzionalità dell’apparato digerente devono assumere grandi quantità di fibra vegetale che serve sia come stimolo per il buon funzionalità dell’intestino che, dopo fermentazione intestinale, come fonte di nutrimento; i conigli, come le cavie ed i cavalli, sono gli unici animali in grado di ricavare nutrimento dalla fibra vegetale.

Sembra che i coniglietti vengano indirizzati a quale tipo di erbe nutrirsi in futuro iniziando a consumare, a circa 8-12 giorni, le feci che la madre lascia all’ingresso della tana. Un comportamento alimentare particolare è l’assunzione del ciecotrofo che viene consumato direttamente all’uscita dell’ano. Queste feci particolari sono il prodotto del primo passaggio dell’alimento più fine nel cieco ed è ricco di proteine e sali minerali. Sono feci più morbide, a volte a grappolo, ricoperte di muco che le protegge dall’acidità gastrica. Questo processo prende il nome di coprofagia, inizia, di solito, 3-8 ore dopo il pasto principale.

Il coniglio compie dei brevi sonnellini durante tutto l’arco della giornata ed anche durante questi brevi periodi è sempre molto all’erta, infatti, essendo preda in Natura, deve sempre essere vigile ed attento a tutti i rumori che lo circondano e pronto ad una fuga precipitosa.

 

Alimentazione

Gli errori dietetici sono la prima causa di malattia nel coniglio da compagnia. Una dieta corretta deve comprendere alimenti ricchi di fibra, povera di carboidrati e grassi; in Natura il coniglio è un erbivoro stretto con un apparato digerente ed una dentatura altamente specializzati per il consumo e la digestione della fibra alimentare, i conigli selvatici si nutrono di erbe fresche, insalate selvatiche (Tarassacum spp.), fiori di campo, foglie e, se capita, di frutta caduta dagli alberi. La maggioranza dei conigli domestici invece, consuma regolarmente miscele “per conigli” costituite da semi di ogni genere, fioccati da mais, nella migliore delle ipotesi da pellettati, pane, bastoncini melassati, una serie di dolciumi infinita “per conigli e roditori”, fette biscottate integrali, biscotti, pizza…

Tutti questi alimenti sono altamente sconsigliati. L’alimentazione del coniglio da compagnia deve essere basata sul consumo di verdura fresca rappresentata da diversi tipi di insalata, prediligendo le insalate a foglia scura che contengono un più elevato tenore in fibra, le insalate di campo, erba di prato, le foglie di alcuni ortaggi, erbe aromatiche, ecc. Bisogna moderare la somministrazione di Brassicacee (la Famiglia del cavolo) e di foglie di spinaci, la frutta è consentita solo saltuariamente ed in piccola quantità, le carote possono venir somministrate anche se non sono l’alimento principale, meglio sarebbe somministrare il ciuffo verde che normalmente è molto gradito. Piante tossiche che è preferibile non somministrare sono il geranio, la stella di natale, la buccia e le foglie della patata.

Un alimento fondamentale è il fieno; è la maggior fonte di fibra lunga che permette un adeguato funzionamento dell’apparato gastroenterico e consente il buono sviluppo e mantenimento della tavola dentaria. In commercio esistono numerose qualità di fieno; è da preferire un fieno polifita (costituito da erbe diverse) che all’apertura della confezione presenti una buona colorazione verde, non abbia steli grossolani e di eccessiva dimensione ed emani un gradevole profumo.

Un capitolo particolare è quello dei pellets altrimenti detti “mangimi”. Dovrebbero essere costituiti da fieni, erbe e verdure pressate, contenere non meno del 18-20% s.s. di fibra grezza, proteine <15% ed un contenuto in grassi intorno al 2-3% max. La dieta può essere integrata con l’uso di un pellet simile, non sostituire l’alimentazione naturale cui devono essere abituati i conigli.

Queste sono le principali “leggende” che si ascoltano riferite a proposito dell’alimentazione del coniglio:

ü non dare la verdura fresca perché altrimenti il coniglio si gonfia e muore

ü non dare la verdura bagnata perché altrimenti si gonfia e muore

ü è meglio dargli il pane secco, così si consuma i denti

ü il coniglio deve mangiare solo cose secche, al massimo un pezzetto di mela

 

Queste informazioni se vogliamo, nascondono un fondo di verità.

Analizziamo i punti:

 

non dare la verdura fresca perché altrimenti il coniglio si gonfia e muore: questo è vero ma la ragione è che sin dallo svezzamento i coniglietti vengono abituati a mangiare miscele di semi, fioccati, pellettati, in questo modo la microflora intestinale viene selezionata per la digestione di questi cibi ed è quindi logico supporre che dei cambi improvvisi di razione provochino un repentino cambio delle popolazioni microbiche intestinali e le conseguenti fermentazioni anomale con eccessivo sviluppo di gas e diarrea. La semplice gradualità del cambio alimentare permette la selezione della nuova flora intestinale e impedisce lo sviluppo di queste sindromi, pericolose per la sopravvivenza del coniglio.

 

non dare la verdura bagnata perché altrimenti si gonfia e muore: questo è direttamente collegato alla spiegazione precedente, con l’aggiunta del fatto che la verdura non sia bagnata; è implicita la falsità di questa affermazione in quanto anche i conigli bevono…

è meglio dargli il pane secco, così si consuma i denti: i denti del coniglio sono rivestiti di smalto come in tutti i Mammiferi, essendo il tessuto organico più duro conosciuto un semplice tozzo di pane secco non aiuta a consumare gli incisivi, in più, essendo costituito da amidi complessi, il pane altera il normale pH del contenuto intestinale selezionando la flora microbica ed alterando il normale processo di formazione di acidi grassi volatili prodotti dalle fermentazioni

il coniglio deve mangiare solo cose secche, al massimo un pezzetto di mela: i concetti base sono già stati illustrati precedentemente, in più c’è però il consiglio della somministrazione della mela, come integratore vitaminico (una mela al giorno…). E’ consentita la somministrazione di pezzetti di mela purché saltuaria, in quanto contenendo zuccheri semplici, altera il pH intestinale nel modo visto prima. Nell’alimentazione naturale, i conigli selvatici possono trovare della frutta ai piedi degli alberi, ma la loro alimentazione, essendo già corretta, tollera le alterazioni provocate dal consumo di frutta, in un coniglio da compagnia, magari già alimentato non correttamente, è semplice intuire come anche piccole alterazioni nella razione, possano provocare manifestazioni anche gravi.

 

Caratteristiche anatomiche e fisiologiche

 

 

La gabbia deve essere sufficientemente spaziosa, robusta, a prova di fuga e facile da pulire. L’apertura deve essere abbastanza larga da permettere di afferrare agevolmente il coniglio; l’ideale è che sia presente sia un ampio sportello superiore, per tirare fuori il coniglio con facilità, che un’apertura laterale, per permettere all’animale di entrare e uscire dalla gabbia da solo. Il tipo di fondo è molto importante per prevenire lesioni alle zampe. Il pavimento della gabbia deve essere solido (non di rete), ricoperto da uno strato abbondante di lettiera (stracci, trucioli, pellet di carta riciclata o di tutolo di mais, paglia o fieno). Non sono adatti i materiali abrasivi come il ghiaino per gatti. Il coniglio sopporta meglio le temperature basse di quelle alte, e sopra i 30°C rischia di andare incontro ad un colpo di calore. Pertanto se la gabbia è sistemata all’aperto occorre che sia almeno in parte protetta dalla luce solare diretta. La temperatura ambientale ideale è compresa tra 16° e 21°C. L’umidità non deve essere troppo elevata (30-70%). All’interno della gabbia va posta una casetta che funga da tana, in cui il coniglio, possa nascondersi quando si sente minacciato. Il resto dell’arredo sarà rappresentato da recipienti per l’acqua e il cibo che non possano essere rovesciati. L’abbeveratoio ideale è quello a goccia, facile da mantenere pulito. La pulizia della gabbia deve essere molto frequente; la lettiera andrebbe cambiata tutti i giorni. I conigli possono essere facilmente addestrati ad utilizzare una cassetta per i bisogni, come i gatti, il che permette di lasciarli liberi per casa. Se il coniglio ha già spontaneamente scelto una zona per sporcare, la cassetta va posta in quella zona. Per incoraggiare l’uso della cassetta si può collocarvi qualche pallina di feci. In ogni caso i conigli non devono mai essere lasciati liberi di girare per la casa senza sorveglianza. Gli elementi della casa che costituiscono un pericolo per i conigli lasciati liberi sono rappresentati da fili elettrici, stoffa e fili se ingeriti, piante tossiche, farmaci, e qualunque sostanza pericolosa per le persone. Altri pericoli sono rappresentati dalle cadute dall’alto (terrazze) e dall’aggressione da parte di cani, gatti o furetti. I bambini piccoli dovrebbero maneggiare i conigli solo in presenza di un adulto, perché facilmente li possono lasciar cadere causando loro delle lesioni. Se possibile, il coniglio trae grandi benefici dalla possibilità di stare all’aperto al sole, pascolando l’erba. Ciò va fatto in zone sicure, dove non possa essere aggredito da altri animali e non siano presenti sostanze inquinanti. Per evitare la fuga, si può utilizzare un guinzaglio a pettorina. All’esterno il coniglio non deve mai essere lasciato libero senza supervisione.

 

Vaccinazioni

 

 

I conigli possono essere vaccinati contro due malattie virali: la mixomatosi e la malattia emorragica virale. Secondo la località geografica, il veterinario stabilirà il piano vaccinale più opportuno. I richiami devono essere ripetuti regolarmente per tutta la vita. Entrambe sono malattie a denuncia obbligatoria, che prevedono la soppressione degli animali colpiti.

Mixomatosi

Può essere trasmessa per via diretta dagli animali ammalati o portatori a quelli sani o per via indiretta tramite artropodi (zanzare, pulci, zecche, ecc.). L’andamento può essere acuto, subacuto o cronico; alcuni conigli sono portatori asintomatici. L’incubazione è di 5-15 giorni. I sintomi comprendono: abbattimento, congiuntivite, scolo dagli occhi, rigonfiamenti cutanei sulla testa e gli arti, infiammazione degli organi genitali. La morte sopravviene in 5-10 giorni. La mortalità è elevata, e non esiste alcuna terapia. I conigli che sopravvivono possono eliminare il virus per lungo tempo. La vaccinazione dà una buona protezione ed èsempre consigliabile negli animali da compagnia. I coniglietti possono essere vaccinati per la primavolta a 30 giorni di età, con un richiamo a 8-10 settimane.

Malattia emorragica virale

Colpisce i conigli al di sopra dei 30-50 giorni di vita. La malattia si diffonde sia per via diretta tra conigli ammalati e sani, che per via indiretta tramite insetti od oggetti contaminati. Il tempo di incubazione è breve, di sole 36-72 ore. La malattia si manifesta in modo improvviso con emorragie dal naso, dalla bocca e dall’ano, starnuti, crisi di tipo eccitativo, spasmi e morte; a volte si ha solo morte improvvisa. Non esiste alcuna terapia efficace.

La prima vaccinazione si esegue a 2 mesi e mezzo di età, ma in caso di necessità può essere anticipata.

 

 

Dr. Sergio Silvetti Med. Vet.
(SIVAE, AEMV member)
Via per Armeno n°1, 28010 Miasino (No)
Tel.: 3401441276
Indirizzo e-mail: sergio_74@tiscali.it
 
Bibliografia consultata
– Consiglio direttivo SIVAE: Il coniglio– AAE Associazione Animali Esotici: Il coniglio– Quesenberry/Hillyer: Medicina degli animali esotici II, Antonio Delfino Editore, 1997
– Hillyer/Quesenberry: Ferrets, Rabbits and Rodents clinicla medicine and surgery, W. B. Saunders Company

Ratto Domestico

Tassonomia

Classificazione scientifica
Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Classe: Mammalia
Superordine: Euarchontoglires
Ordine: Rodentia
Sottordine: Myomorpha
Superfamiglia: Muroidea
Famiglia: Muridae
Sottofamiglia: Murinae
Genere: Rattus

Caratteristiche anatomiche

E’ un roditore appartenente alla famiglia Muridae, originario delle regioni temperate dell’Asia centrale, da cui si è diffuso in tutto il mondo. E’ un animale socievole (vive in colonie) e scavatore, prevalentemente notturno. La vita media è di tre anni o più. Il peso adulto nel maschio è di 450-520 gr, nella femmina di 250-300 g. Rispetto al maschio la femmina ha un pelo più liscio, non ha odore e raramente marca il territorio. Il maschio è facilmente distinguibile per la presenza dei testicoli, che scendono a 20 giorni di età. E’ presente l’osso penieno.
La formula dentale è I 1/1, C 0/0, P 0/0, M 3/3; gli incisivi sono a crescita continua. Il canale inguinale è aperto. Le mammelle si estendono dalla regione inguinale a quella ascellare. Nei maschi l’ossificazione delle ossa lunghe si completa solo dopo il primo anno di età.
I ratti albini hanno una vista molto scarsa, ma possono condurre una vita perfettamente normale perché si aiutano con l’olfatto e le vibrisse. Dietro il globo oculare si trova la ghiandola di Harder, che è più grande del globo oculare; produce un secreto è ricco di porfirine e lipidi. In condizioni di stress o malattie la ghiandola di Harder può produrre un eccesso di secreto che macchia di rosso il pelo della faccia.

Comportamento

I ratti, se maneggiati spesso e con gentilezza, costituiscono degli ottimi animali da compagnia, docili, intelligenti e puliti; riconoscono il proprietario e gli si affezionano. I ratti sono animali sociali, e hanno bisogno anche della presenza dei loro simili. Necessitano di più attenzioni di quanto in genere richiedano i piccoli roditori, ed è opportuno che il proprietario interagisca con loro almeno un’ora al giorno, permettendo anche l’uscita dalla gabbia. Raramente questi roditori mordono, a meno che non siano maneggiati in modo rude.
Quando sono lasciati liberi, i ratti devono essere sorvegliati a vista. L’ambiente deve essere a prova di fuga, e non contenere oggetti pericolosi (fili elettrici, sigarette, sostanze o piante tossiche, ecc.). Spesso un ratto fuggito ritorna alla sua gabbia.
I ratti possono essere allevati in colonie con più maschi e femmine, se lo spazio a disposizione è sufficiente, e i piccoli sono accuditi da più madri insieme. Se non si vogliono riprodurre, è possibile tenere insieme ratti dello stesso sesso, oppure si sterilizza il maschio. E’ anche possibile mettere insieme due soggetti adulti, con qualche precauzione e molta gradualità.

I ratti raggiungono la maturità sessuale a 65-110 giorni. La femmina va in estro ogni 4-5 giorni, la gravidanza dura 21-23 giorni e il numero medio di piccoli è di 6-12. I piccoli aprono gli occhi a 7 giorni, iniziano a mangiare e a bere a due settimane, e sono svezzati a tre settimane, quando pesano 40-50 gr.
Dopo il parto si verifica un calore, che può essere fertile. Se la femmina non è rimasta gravida con il calore post-partum, torna in calore 2-4 giorni dopo lo svezzamento. Se la femmina sta allattando ed è contemporaneamente gravida, la durata della gravidanza si allunga di alcuni giorni.
Nel ratto non si verifica l’effetto Bruce, per il quale l’esposizione ad un maschio estraneo nelle 24 ore successive all’accoppiamento impedisce l’impianto degli ovuli (come invece nei topi). Nei ratti la pseudogravidanza è rara, e dura circa 13 giorni.

Alloggio

In condizioni di allevamento, un maschio viene tenuto insieme a 2-7 femmine, e le femmine gravide vengono poste in una gabbia da sole prima del parto, per evitare che vengano disturbate e abbandonino o cannibalizzino i piccoli. Dopo lo svezzamento la femmina viene rimessa nel gruppo. I ratti sono in grado di riprodursi tutto l’anno, anche se la fertilità cala in inverno. Nel caso dei ratti tenuti come pet, non è consigliabile lasciare insieme maschio e femmina, nel qual caso la femmina risulterebbe costantemente gravida, a scapito delle sue condizioni fisiche. Tra una gravidanza e l’altra è opportuno lasciare passare almeno un mese.

I ratti devono essere alloggiati in gabbie relativamente spaziose, rispetto agli altri piccoli roditori. Sono adatte sia le gabbie di metallo (con le sbarre), che quelle in plastica o plexiglas, del tipo per conigli. Oltre allo spazio, è importante che la gabbia fornisca una buona areazione, che sia facile da pulire e a prova di fuga. Come fondo si possono usare trucioli, pellet di carta riciclata o di tutolo, o simili materiali, assorbenti e non tossici. Il fondo a rete è sconsigliato, perché può causare lesioni ai piedi. Nella gabbia va posto un nido, costituito ad esempio da una scatola, e si lascia a disposizione della carta morbida (del tipo da cucina) per imbottirlo. Per arricchire l’ambiente si lasciano nella gabbia tubi, scatoloni, vasi, ecc. La temperatura ottimale è di 22°C (range: 18-27°C), e l’umidità relativa del 30-70%.
I ratti sono animali molto puliti, ma in caso di necessità è possibile lavarli utilizzando uno shampoo per cani o gatti.

Alimentazione

I ratti devono ricevere una dieta al 20-27% di proteine. L’alimento ideale, che è un pellet specifico per roditori, non è generalmente reperibile nei negozi per animali. Deve essere evitato il mangime a base di semi. I ratti sono “neofobi”, ossia tendono a evitare alimenti sconosciuti, a cui non sono stati esposti da piccoli. Allo stato naturale i ratti sono onnivori, e mangiano qualunque cosa. Sono in grado di ingerire in un giorno il terzo del loro peso in cibo. In cattività il problema principale consiste nell’evitare l’obesità, che è molto frequente, evitando gli alimenti grassi e ricchi di zuccheri. Si può somministrare riso integrale, altri alimenti integrali quali pasta, pane o fette biscottate, vegetali (tra cui patate, fagioli e piselli cotti) e frutta, proteine (carne magra cotta, yogurt, formaggio, soia).
L’acqua va sempre lasciata a disposizione, preferibilmente con un abbeveratoio a goccia.

Principali malattie

I ratti devono essere afferrati con una mano intorno al torace, mentre l’altra può immobilizzare la testa dietro le mandibole; eventualmente, li si può prima sollevare per la coda. E’ anche possibile la presa per la collottola.
Le iniezioni intramuscolari si eseguono a livello del quadricipite (0,2 ml al massimo), e quelle sottocutanee a livello della nuca e del dorso (fino a 5 ml). Il prelievo di sangue (fino a 0,5 ml) si può eseguire dalla vena ventrale della coda.

L’allergia ai ratti è piuttosto comune, e può essere provocata sia dalla forfora sia dalle proteine urinarie. I ratti possono trasmettere diverse zoonosi: leptospirosi, infezioni da streptococchi, salmonellosi, cestodiasi. La pulce dei ratti può trasmettere la Yersinia pestis. Il morso di ratto può trasmettere un’infezione da Streptobacillus moniliformis, che causa febbre, emorragie petecchiali, endocardite e poliartrite. Tutte queste infezioni sono improbabili nei ratti tenuti come animali da compagnia.

 

Marta Avanzi

Cincilla’

TASSONOMIA

Classe: Mammiferi

Ordine: RoditoriSottordine: Istricomorfi

Famiglia: Chinchillidae

Genere: Chinchilla

Specie: Chinchilla lanigera

Note storiche

cincillaIl cincillà è originario dell’America meridionale distribuito lungo gran parte della Cordigliera delle Ande (la Specie affine, Chinchilla brevicauda, è distribuita soprattutto in Bolivia).

Il suo habitat è costituito da montagne ed altopiani sino a 5000 m dove si è adattato perfettamente agli enormi sbalzi termici presenti in quelle zone (si parla di differenze di circa 40° C tra il giorno e la notte).

E’ stato introdotto in Europa nel XVI secolo dai conquistadores spagnoli a cui assegnarono il nome chinchilla ricavandolo, sembra, da quello di una popolazione di indigeni del Perù, i chinchas. Fu oggetto di una caccia indiscriminata a causa della pelliccia sino al 1918, anno in cui i Paesi sudamericani cercarono di disciplinarne la caccia. Nel 1922, l’ingegnere Mathias Chapman riuscì a riprodurre gli 11 soggetti la cui importazione era stata consentita dal Governo della California e dai quali derivano, in pratica tutti gli altri allevamenti esistenti in Europa e nel mondo.

Non esiste una vera e propria distinzione in razze, è più corretto parlare di varietà; queste sono definite in funzione del colore del mantello e se ne riconoscono principalmente 3: grigio o argento, nero, bianco o beige. I diversi colori sono funzione del rimescolamento genetico tra geni dominanti (solitamente il nero) e recessivi (il bianco), per questa ragione il colore più diffuso risulta il grigio con diverse sfumature, meno frequente il bianco a causa della “contaminazione” degli altri colori (non sembrano esistere soggetti albini anche se non si possono escludere), il più raro sembrava essere il nero puro.

Caratteristiche anatomiche

Il cincillà è un roditore di medie dimensioni dalle caratteristiche molto simili a quelle del coniglio nano da compagnia. Presenta il muso di forma conica dall’estremità arrotondata, due grosse orecchie rotondeggianti che ricordano quelle di un topo, ma ricoperte da una fine peluria. Gli incisivi, normalmente non visibili, sono molto lunghi e lo smalto presenta una colorazione arancio intensa. Il cincillà possiede 20 denti così suddivisi: 2 incisivi superiori e 2 inferiori, 1 premolare e 3 molari per lato, sia superiormente che inferiormente. Tutti sono a crescita continua. Come il coniglio presenta il labbro leporino. Una particolarità è la forma della pupilla che si presenta ellittica verticale come quella dei gatti e di alcuni rettili, è però difficile riuscire ad osservarla poiché normalmente l’iride ha una colorazione bruno scuro. Possiede una vista molto acuta così come l’udito.

Il corpo è tozzo, lungo 22-35 cm coda esclusa che misura circa 7,5-15 cm, il peso varia da 500 a 800 g, con le femmine normalmente più grandi dei maschi. Gli arti posteriori sono molto più sviluppati rispetto gli anteriori, tutti e quattro sono dotati di 4 dita fornite di unghie non retrattili molto piccole.

La caratteristica peculiare risiede nel mantello che è considerato il più folto e morbido di tutti i Mammiferi: è costituito da più di 60 peli che nascono dallo stesso follicolo e ricoprono interamente il corpo dell’animale isolandolo dal freddo e anche dal caldo, una particolarità è la possibilità di staccarsi molto facilmente, un adattamento alla vita da preda che gli permetteva di fuggire dalla presa dei predatori. I peli della coda sono più lunghi e meno morbidi. La femmina presenta 3 paia di mammelle, un paio localizzate a livello inguinale, le altre quattro a livello del torace, poste lateralmente. Esistono poi alcune ghiandole odorifere poste vicino all’ano che servono per marcare il territorio o come richiamo sessuale.

Il cincillà è uno dei roditori più longevi: sebbene non esistano dati certi, si parla di una vita media di circa 10 anni.

Comportamento

cincillaIl cincillà è un roditore che si distingue dalla maggioranza delle altre specie di roditori domestici. Infatti, oltre che essere un animale alquanto “buffo” con una pelliccia morbidissima, presenta caratteristiche caratteriali e comportamentali che lo rendono unico.

E’ dotato di un’eccezionale memoria e sembra in grado di ricordare situazioni e luoghi anche a distanza di molti giorni, è inoltre in grado di mettere in atto comportamenti che esulano dal tipico “riflesso condizionato”, cioè dalla semplice ripetizione di un gesto abituale, questo quindi, predispone ad interazioni molto strette e “profonde” con il proprietario ed i componenti della famiglia.

Non è generalmente un animale aggressivo, salvo in situazioni in cui si spaventi molto, in questi casi, prima di mordere, si avverte un intenso odore “muschiato”, esito della spremitura delle ghiandole situate vicino all’ano, possono emettere anche spruzzi di urina. Quando agitato può emettere un verso simile ad un gemito ritmato, usato anche come richiamo per il partner, oltre a questo può emettere il più classico squittio, breve ed acuto.

E’ un animale prevalentemente notturno, anche se si abitua abbastanza bene, ai ritmi dei proprietari. Alla sera la sua attività si fa comunque più intensa, corre, salta ed inizia a rosicchiare tutto ciò che è a portata, questo bisognerà ricordarselo per evitare che rovini gli oggetti di casa e che si possa far del male rosicchiando cavi della luce o ingerendo corpi estranei che possono provocare enteriti o vere e proprie ostruzioni intestinali.

Normalmente è un animale molto pulito, feci ed urine sono depositate sempre nello stesso posto in un angolo ben preciso della gabbia.

La pulizia del mantello è molto accurata. Un comportamento molto particolare, deputato alla cura del mantello, è il bagno di sabbia.

Nella gestione domestica, dev’essere sempre disponibile una vaschetta con della sabbia fine e pulita per permettere al cincillà di eseguire questo suo fondamentale comportamento: appena entra nella vaschetta, inizia a scavare un poco con le zampe anteriori, quindi con una velocità fulminea, compie tre o quattro rotolamenti su se stesso, dopo qualche momento di pausa, ricomincia di nuovo. Al termine, esce dalla vaschetta, si scuote per eliminare la sabbia in eccesso e ricomincia il comportamento normale.

Questo particolare comportamento, consente il mantenimento del mantello nelle condizioni ottimali, permettendo l’assorbimento dell’umidità intrappolata nei peli permettendo così, di mantenerli sempre separati evitando la formazione di nodi, in più sembra favorire il ricambio degli strati più esterni della pelle.

Il cincillà viene ritenuto alquanto monogamo, ossia forma una coppia fissa con un partner, anche se non è del tutto vero. In Natura vive in colonie di anche 100 individui e quindi un certo grado di promiscuità, non è da escludere. Nella gestione domestica, se si decide di tenere una coppia di animali, è necessario innanzitutto che siano di sesso diverso, per evitare lotte per la definizione del territorio, che abbiano all’incirca la stessa età; una soluzione, nel caso si acquistino soggetti dello stesso sesso, è la sterilizzazione chirurgica. L’unica eccezione è nel caso i soggetti siano due sorelle cresciute insieme, infatti, in questo modo, non si verificheranno fenomeni di aggressività tra le due.

Il comportamento di corteggiamento del maschio è molto insistente quando avverte che la partner è in calore, la femmina può però reagire anche molto violentemente se non è arrivato il momento giusto; questo anche per una ragione anatomica: infatti, la vulva rimane chiusa da una membrana che si apre solo durante il periodo dell’accoppiamento e nelle ore precedenti e successive il parto. L’accoppiamento vero e proprio è molto breve e ripetuto diverse volte in poche ore, soprattutto nelle ore serali. Un segno di avvenuto accoppiamento è il ritrovamento di materiale organico, bianco giallastro, di forma cilindrica sul fondo della gabbia.

La gestazione è molto lunga per un Roditore, si parla di circa 111 giorni, i piccoli, in numero di 1-3, nascono normalmente durante le prime ore del mattino e sono autosufficienti (prole atta), già completamente ricoperti da pelliccia, hanno occhi ed orecchie aperti e sono presenti anche i denti incisivi. L’allattamento dura molto poco, al massimo una settimana durante la quale iniziano a mangiare il cibo destinato agli adulti.

Alimentazione

L’alimentazione costituisce un aspetto molto importante del benessere del cincillà. Si tratta di animale prevalentemente erbivoro dotato di un lungo e complesso apparato gastro-intestinale; una cattiva alimentazione o la somministrazione di cibi non adatti, potrebbe mettere seriamente in pericolo la salute del cincillà.

Gli alimenti consigliati sono indubbiamente tutti i tipi di verdure fresche acquistabili in un Supermercato o coltivabili nell’orto: diversi tipi di insalate, diversi ortaggi, le foglie di carote, sedano, finocchio. La somministrazione di frutta dovrebbe essere moderata in quanto contiene elevati tenori di zuccheri semplici che potrebbero alterare la microflora intestinale e causare episodi di mal digestione o diarrea. Un elemento che non deve mai mancare è il fieno: questo alimento è il maggior apportatore di fibre vegetali che consentono il corretto funzionamento di tutto l’apparato gastro-enterico.

Come integrazione all’alimentazione con verdure e frutta fresche, si possono somministrare i mangimi in pellets, che consistono in miscele di farine di semi pressate a caldo o in erbe di campo e fieni pressati. Questi alimenti non devono costituire la base alimentare del cincillà, ma essere integrati alla razione di verdure fresche.

Saltuariamente si possono offrire noci e nocciole con il guscio come stimolo “ludico” o degli acini di uvetta sultanina, ottimi come premio per catturare l’attenzione del cincillà e per insegnargli alcune cose. Sporadicamente si possono offrire dei pezzetti di formaggio o dei pezzetti di tuorlo di uovo sodo come integrazione proteica, ma se si segue una corretta alimentazione, di norma non è necessario.

Alimenti che non si devono mai somministrare sono tutti i dolciumi ad uso umano e “specifici” per roditori, gelati, cioccolato, caffè, cibi fritti, carne e pesce, troppi semi come unica fonte di cibo. Oltre a provocare seri disturbi intestinali, possono anche essere tossici (cioccolata e caffè).

Una particolarità comune a tutti i roditori ed al coniglio è la coprofagia, ovvero l’ingestione di una speciale porzione di feci, normalmente prodotte a regolare distanza dai pasti, per l’auto integrazione di sali minerali e proteine presenti in questo particolare tipo di feci.

L’acqua viene normalmente somministrata tramite gli abbeveratoi a goccia che sono molto pratici ed igienici, si può comunque offrire in vaschette anti-rovesciamento per vedere se il cincillà gradirà di più o no.

Una cosa fondamentale è la transizione alimentare. Infatti, nei negozi vengono esclusivamente somministrate delle miscele di semi o pellettati per una maggiore comodità del negoziante. Il cambio verso una migliore alimentazione deve avvenire molto gradualmente per consentire alla microflora intestinale di adattarsi al nuovo tipo di alimento. Si inizierà con la somministrazione di una foglia di insalata al giorno continuando la somministrazione del mangime a cui era abituato. Se dopo un paio di giorni il cincillà sta bene, non si manifestano diarrea o altri problemi intestinali, si aumenta giorno per giorno la quota di verdura fresca diminuendo sempre più la quantità di mangime a cui era abituato sino alla sostituzione completa con i cibi consigliati.

Principali malattie

Il cincillà non viene vaccinato contro nessuna malattia virale. Le principali problematiche a cui va incontro sono principalmente legate a problemi gastro-enterici, problemi del mantello, traumi e colpo di calore.

L’apparato gastro-intestinale è, come già visto, molto delicato e suscettibile. Molto spesso l’unico sintomo riscontrato dal proprietario è la diminuzione dell’appetito e la riduzione della vivacità.

Un parametro fondamentale con cui giudicare il suo buon funzionamento, risiede nel valutare forma, dimensione e quantità delle feci prodotte.

Molto spesso la causa principale risiede in problemi localizzati ai denti che, essendo a crescita continua, devono avere la possibilità di un consumo costante e regolare, principalmente portato dalla dieta. Oltre a questo però, alterazioni durante la fase di crescita del soggetto (carenze alimentari, vitaminiche, traumi) o alterazioni congenite/ereditarie, causano modificazioni dell’assetto della tavola dentaria che provoca il non corretto consumo dei denti, sia degli incisivi, facilmente ispezionabili, che dei premolari e molari con la conseguente formazione di cuspidi o punte dentarie che provocano lesioni molto dolorose alla lingua ed alle guance rendendo difficoltosa la prensione e la masticazione del cibo.

In questi casi è indispensabile eseguire un trattamento di regolazione delle tavole dentarie mediante l’utilizzo di particolari frese ad alta velocità esattamente come quelle usate dai dentisti.

I problemi del mantello sono molto meno gravi ma più frustranti. Il sintomo principale sono molto spesso delle aree alopeciche (aree senza pelo), localizzate in qualsiasi parte del corpo; la principale causa sono i dermatofiti o funghi della pelle, che per diverse cause, prime fra tutte lo stress, prendono il sopravvento sulle difese immunitarie del cincillà e manifestano i sintomi. Normalmente non provocano prurito ma si estendono con forma circolare. Il trattamento può variare, a seconda della diffusione e dallo stato generale del soggetto, dalla semplice applicazione di prodotti sulle aree interessate sino alla somministrazione di farmaci per bocca per lunghi periodi. Una caratteristica particolare del cincillà, che non è una patologia ma solo un adattamento evolutivo, è il fenomeno chiamato fur slip, che consiste nel distacco di ciocche di pelo per poter sfuggire dai predatori; quindi un avvertimento è quello di non prendere mai il cincillà per la pelliccia.

Un problema particolare è la parafimosi o fur rings. E’ un problema esclusivo dei cincillà maschi che consiste nella formazione di un vero e proprio anello di peli intorno al pene; questo con l’andare del tempo causa una compressione crescente sull’organo maschile provocandone infiammazione e conseguente gonfiore che impedisce il ritorno alla posizione naturale all’interno del prepuzio. E’ una condizione molto fastidiosa e dolorosa per il cincillà evidenziata solo dal fatto che si lecca insistentemente la zona e che se non riconosciuta in fretta potrebbe causare seri problemi.

I traumi sono quelli comuni a tutti gli animali. Il tipo più comune è la frattura delle ossa lunghe degli arti posteriori, normalmente la tibia; le cause principali sono i tentativi di liberare l’arto quando si impiglia nelle sbarre della gabbia o tra le fibre dei tappeti, cadute dall’alto o schiacciamento in porte o finestre.

Il colpo di calore è un’evenienza alquanto frequente soprattutto nelle città durante il periodo estivo. Il cincillà in Natura vive sugli altipiani delle Ande sino a 5000 m di altitudine ed è quindi molto più resistente al freddo; infatti, il suo organismo non possiede ghiandole sudoripare e per dissipare il calore in eccesso, aumenta la frequenza respiratoria che non consente una buona riduzione della temperatura corporea che continua ad aumentare sino al collasso. Per evitare o ridurre al minimo il rischio, si consiglia di alloggiare il cincillà nella stanza più fresca della casa, riparato dai raggi del sole diretti (se non per brevi periodi per consentire il corretto metabolismo della vit. D e del Ca, luce solare diretta con la finestra aperta o all’esterno) o utilizzare un climatizzatore.

Dr. Sergio Silvetti Med. Vet.(SIVAE, AEMV member)
Via per Armeno n°1,
28010 Miasino (No)
Tel.: 3401441276 fax 0322980907
Indirizzo e-mail: sergio.silvetti@gmail.com
Bibliografia consultata:
– Dr. Vittorio Capello, Il Cincilla’, De Vecchi editore 1998
– Quesenberry/Hillyer: Medicina degli animali esotici II, Antonio Delfino Editore, 1997
– Hillyer/Quesenberry: Ferrets, Rabbits and Rodents clinicla medicine and surgery, W. B. Saunders Company 1997
– Ronald M. Novwak: Walker’s Mammals of the world Vol. II, sixth ed., The John Hopkins University press, Baltimore London 1999

La Cavia

Tassonomia

La cavia è un roditore molto simpatico che riesce ad instaurare profondi legami con i proprietari. In casa non è di difficile gestione anche se, come per tutti gli animali, ha delle peculiarità che richiedono la dovuta attenzione ed il dovuto impegno per permettere lo sviluppo ed il corretto mantenimento delle caratteristiche fisiologiche e comportamentali del piccolo animale senza arrecargli danno.

 

Classe : Mammalia (Mammiferi)
Ordine: Rodentia (Roditori)
Sottordine: Hystricomorpha (Istricomorfi)
Famiglia: Caviidae
Genere: Cavia
Specie: C. aperea porcellus

 

In seguito a studi eseguiti sul patrimonio genetico delle cavie questa classificazione tradizionale è stata messa in discussione, ed è possibile che in futuro se ne formuli una diversa che includa la cavia in un ordine a parte.

Note storiche

Le cavie (chiamate anche cavie peruviane, porcellini d’India) sono state addomesticate in sud-America circa nel 500-1000 d.C. (anche se qualche notizia, riporta date molto antecedenti, circa 1000 anni a.C.) ed erano utilizzate principalmente come fonte di cibo o in cerimonie religiose. In Europa furono importate circa 400 anni fa e divennero quasi subito animali da laboratorio o da compagnia.Oggi esistono in commercio, principalmente 3 varietà: Inglese/Americana a pelo corto, Peruviana, Abissina. La Peruviana è la varietà a pelo più lungo (anche più di 15 cm), l’Abissina ha il pelo relativamente corto ma che forma rosette che ne conferiscono un aspetto molto particolare.

Il colore del mantello comprende il bianco, il nero, il fulvo, il castano scuro, sia monocromatico che bi o tri colore.

Habitat naturale e comportamento allo stato selvatico

L’ambiente di origine delle cavie è rappresentato da diversi paesi sudamericani, in particolare Argentina, Uruguay e Brasile. Il loro habitat è rappresentato da pianure erbose aperte e si ritrovano ad altitudini fino a 4.200 metri. Il clima è asciutto, semi-arido, stabile tutto l’anno, caratterizzato da giornate temperate e notti fredde. Le cavie sono strettamente erbivore, e si nutrono di erbe, radici, frutta e semi. Sono animali gregari; formano dei piccoli gruppi (5-10 animali) comandati da un maschio dominante; i membri del gruppo restano sempre vicini, e svolgono insieme tutte le attività. Prevalentemente non scavano tane o nidi, ed utilizzano le tane abbandonate da altri animali. Sono attive soprattutto di mattina e di sera ed evitano la luce intensa. Le cavie “pascolano” più o meno per tutta la giornata; le feci vengono deposte dove capita. Di fronte ad una minaccia o ad un pericolo le cavie reagiscono con una fuga precipitosa; quando un individuo fugge, tutte le altre cavie del gruppo lo imitano immediatamente. Un altro atteggiamento tipico è quello di immobilizzarsi completamente di fronte ad una situazione di minaccia o ad un suono che le allarma.

Le cavie comunicano tra loro con una varietà di suoni, simili a squittii; i biologi hanno identificato almeno 11 diversi tipi di suono, ciascuno con un suo preciso significato. Utilizzano anche segnali olfattivi; marcano il territorio strisciando la regione perianale contro il terreno, per lasciare il secreto delle ghiandole che si trovano in quella zona. I maschi utilizzano anche l’urina. Del loro comportamento allo stato naturale non si sa molto, dal momento che sono animali molto timidi e schivi che sfuggono al minimo segno di pericolo. E’ stato osservato che cavie alloggiate da sole sono molto attive, con periodi di veglia di oltre 20 ore al giorno.

Conoscere la cavia

 

Caratteristiche fisiche

Il peso medio del maschio è di 900-1000 g, mentre la femmina è di 700-900 g. La vita media è di 4-5 anni, anche se possono raramente arrivare a 7-8 anni. Il corpo è tozzo, senza coda, con un collo corto e zampe brevi. Il muso è adornato da lunghi peli tattili, le vibrisse: le orecchie sono grandi e ovoidali, ricoperte da pochissimi peli. Dietro le orecchie è presente una piccola zona priva di peli, che non deve essere scambiata per una malattia della pelle. Il labbro superiore è diviso in due; scostando le labbra si osservano gli incisivi, lunghi e bianchi. Le cavie hanno 20 denti: 2 incisivi superiori e 2 inferiori, 3 premolari superiori e 3 inferiori da ogni lato, e 1 molare superiore ed 1 inferiore da ogni lato. Tutti i denti della cavia, sia gli incisivi che molari e premolari, sono a crescita continua (vengono pertanto definiti a radice aperta o ipsodonti): significa che continuano a crescere per tutta la vita e che vengono mantenuti della giusta lunghezza tramite il consumo reciproco, che avviene principalmente durante la masticazione del cibo. Nelle zampe anteriori sono presenti quattro dita, e in quelle posteriori solo tre; tutte le dita sono fornite di unghie. La parte inferiore delle zampe è priva di peli e presenta dei cuscinetti evidenti. La femmina ha un solo paio di mammelle, poste nella regione inguinale. I due capezzoli sono presenti anche nel maschio. Da ciascun lato degli organi genitali è presente una sacca perineale, una tasca di cute che contiene una ghiandola, la quale produce un secreto con cui viene marcato il territorio. Nel maschio è presente l’osso del pene. L’intestino tenute è molto lungo, ben 125 cm; il cieco è molto sviluppato (rappresenta l’organo più

voluminoso dell’addome), e ha la forma di una sacca semicircolare. Il maschio ha la caratteristica di avere gli anelli inguinali aperti: significa che attraverso l’anello inguinale (un’apertura della parete muscolare dell’addome) i testicoli possono rientrare nell’addome. La vagina è caratterizzata da una membrana che la sigilla, e che si apre solo durante il calore o il parto.

 

Comportamento

Le cavie hanno il tipico comportamento degli animali da preda: sono molto timide e circospette, e si mettono in allarme al minimo segno di pericolo. Pertanto sono facilmente stressabili, hanno bisogno di un ambiente tranquillo e di essere avvicinate e manipolate con gentilezza. Le cavie sono creature molto abitudinarie e non amano le novità o i cambiamenti. Qualunque variazione del loro habitat (un cambio di gabbia, di casetta, di substrato o di compagni) rappresenta un fattore di stress. Anche un alimento che non conoscono viene talvolta considerato con sospetto e evitato con cura, addirittura il cambio del recipiente del cibo può spingerle a rifiutarsi di mangiare. Sono molto sociali, e hanno bisogno della presenza e del contatto fisico dei loro simili; pertanto è molto importante fornire molte attenzioni ad una cavia tenuta da sola e passare insieme a lei dei lungi periodi tutti i giorni. Le cavie amano essere coccolate e ricambiano con tantissimo affetto le cure del proprietario, con cui riescono a stabilire un forte legame.

L’alloggio

Le cavie sono poco esigenti riguardo il tipo di gabbia. Il requisito più importante concerne lo spazio, che deve essere più ampio possibile: le dimensioni minime sono di 80 x 40 cm per una cavia alloggiata da sola. Più cavie richiedono uno spazio proporzionalmente maggiore. E’ possibile costruire artigianalmente delle gabbie più ampie, o collegare tra loro più gabbie per permettere agli animali di fare più esercizio. Il fondo deve essere preferibilmente solido, perché le cavie hanno zampe relativamente piccole rispetto al peso che devono sostenere e la griglia può favorire l’insorgenza di lesioni ai piedi; inoltre su una griglia di dimensioni non appropriate le zampe possono incastrarsi e fratturarsi. La parte inferiore della gabbia deve avere le pareti laterali relativamente alte, in modo che il materiale del fondo non cada continuamente al di fuori.

 

L’altezza della gabbia non è un fattore importante perché le cavie non saltano e non si arrampicano sulle sbarre; un’altezza minima di 20 cm può essere sufficiente. Per lo stesso motivo, se in casa non ci sono cani, gatti furetti o bambini piccoli, non è neppure indispensabile che la gabbia presenti un coperchio superiore. I materiali migliori sono rappresentati da acciaio e plastica, mentre il legno non è assolutamente adatto: si impregna di urina e viene rosicchiato. Il fondo della gabbia deve essere riempito di materiale assorbente, morbido e innocuo per l’animale; non deve essere polveroso poichè piccole particelle possono venire inalate. La segatura e i trucioli non sono una buona scelta, perché aderiscono alla zona genitale e possono creare seri problemi. Materiali adatti sono rappresentati dal tutolo di mais, pellet di carta riciclata (si trovano nei negozi per animali), carta a pezzi, fieno. Ponendo sul fondo della gabbia dei fogli di giornale, e al di sopra di questi la lettiera, la pulizia risulta molto facilitata, asportando i giornali del fondo insieme alla lettiera. La lettiera deve essere spessa e sempre molto pulita, per assicurare la salute delle zampe.

Un indispensabile accessorio della gabbia è una casetta. Le cavie sono animali molto timidi, e quando non si sentono sicuri corrono a rifugiarsi in un posto riparato. Una casetta consente alla cavia di mettersi al riparo ogni volta che ne sente la necessità, con indubbi vantaggi dal punto di vista psicologico, inoltre costituisce l’indispensabile nido dove la cavia va a dormire di notte. La casetta può anche essere di legno o di cartone, da sostituire quando è sporca o troppo danneggiata dai denti.

Altri accessori sono: le rastrelliere, per contenere il fieno e le verdure, dei recipienti per il mangime, preferibilmente di ceramica perché non siano facilmente rovesciabili, e gli abbeveratoi. Le cavie tendono ad entrare e defecare nei recipienti del cibo, i quali non dovranno quindi essere troppo larghi, in modo da impedire al roditore di entrarci. Gli abbeveratoi devono essere a goccia da appendere alla parete della gabbia, in modo che l’acqua sia sempre pulita. Fate però attenzione al loro corretto funzionamento: le cavie amano soffiare dentro il tubo dell’abbeveratoio, intasandolo con particelle di cibo e bloccando l’uscita dell’acqua.

 

Collocazione della gabbia

La gabbia deve collocata in una zona tranquilla, dove non ci siano troppi rumori molesti (schiamazzi, stereo, radio, televisione) o confusione e dove cani, gatti o furetti non abbiano accesso. Le cavie sono facilmente spaventate da rumori improvvisi e dalla presenza di potenziali predatori. La temperatura ambientale ideale è di 21°C, e comunque compresa tra 18 e 26°C. Una cavia sana e con una casetta riparata può affrontare temperature inferiori. Le alte temperature sono sopportate molto male, soprattutto in presenza di umidità elevata. Le cavie non sudano ed hanno un corpo molto compatto, che dissipa male il calore, e temperature elevate (già sopra i 27°C) ne possono causare la morte. L’umidità relativa dell’ambiente va mantenuta nell’intervallo del 30-70%. Durante la stagione calda si dovrà quindi avere la precauzione di sistemare la gabbia nel punto più fresco della casa, evitare l’esposizione diretta al sole (ad esempio di fronte ad una finestra, o su una terrazza), perché il calore eccessivo può uccidere le cavie in pochissimo tempo.

 

Fuori dalla gabbia

 

Le cavie difficilmente possono essere addestrare a sporcare nella cassetta, e depositano feci e urine un po’ dappertutto; inoltre, tendono a rodere tutto quello che capita loro a tiro. Per questo motivo non sono molto adatte ad essere lasciate libere di girare per la casa, a meno che non le si sorvegli a vista e non si sia disposti a pulire spesso dove sono passate. In ogni caso, occorre evitare che la cavia venga a contatto con fili elettrici, sostanze tossiche o piante velenose, e che possa trovare una via di fuga. Se la si porta all’esterno, è indispensabile procedere per gradi e scegliere un posto assolutamente tranquillo, senza via vai di persone, dove non accedano cani o gatti, e sempre sorvegliandola a vista. Se la cavia si spaventa e scappa, può essere molto difficile o impossibile recuperarla.

 

La cavia e gli altri animali

Cane

I cani sono portati per istinto a cacciare, e rappresentano un grave pericolo per le cavie. In generale, non fidatevi mai a lasciare insieme liberi, senza supervisione, un cane e delle cavie, perché bastano pochi istanti perché accada l’irreparabile. In vostra assenza, non lasciate neppure il cane da solo con la cavia chiusa in gabbia, poiché il cane potrebbe abbaiare e dare zampate alla gabbia, disturbando notevolmente il povero roditore.

Gatto

È poco probabile che un gatto causi problemi ad una cavia (tranne che per una molto giovane e quindi di piccole dimensioni), a causa della taglia relativamente grande di questo roditore. Tenete però a mente che, magari anche solo per gioco, il gatto con un graffio può ferire la cavia, specialmente se viene colpito un occhio. Vale sempre la regola di non lasciare mai insieme i due animali senza controllo, a meno che la coppia non sia più che collaudata e perfettamente affidabile.

Coniglio

Come la cavia, anche il coniglio è un animale sociale e che ama la compagnia, per cui potrebbe andare d’accordo molto bene con il piccolo roditore. E’ necessario però che il coniglio (tanto un maschio che una femmina) sia sterilizzato, altrimenti all’insorgenza della maturità sessuale cercherà di accoppiarsi ripetutamente la cavia, e si comporterà con aggressività nei suoi confronti. Un’altra precauzione importante consiste nel mettere nella gabbia della coppia una casetta la cui apertura permetta l’ingresso solo della cavia, per cui questa possa trovare un rifugio sicuro nel caso in cui il coniglio la molestasse. Molti veterinari tuttavia sconsigliano di tenere insieme cavie e conigli, per il rischio che il coniglio trasmetta al suo piccolo amico un germe, Pasteurella multocida, innocuo per lui ma pericoloso per la cavia.

Come introdurre una nuova cavia

È possibile trovare un compagno ad una cavia che vive da sola, a patto però di seguire qualche precauzione. Le cavie, infatti, essendo animali sociali tendono per istinto a stabilire tra loro una gerarchia (per decidere chi comanda) e sono anche molto territoriali, tendono cioè a scacciare eventuali cavie estranee che entrano nel loro ambiente.

Se non volete avere problema di continue gravidanze, con la necessità di dover poi tenere separati i due soggetti, è preferibile mettere insieme due cavie dello stesso sesso, a meno che non sterilizziate il maschio. E’ molto probabile che due maschi adulti lottino tra loro, ma se sono sterilizzati possono andare d’accordo molto più facilmente; due femmine non dovrebbero avere problemi ad accettarsi, con il tempo. Una volta scelto il nuovo venuto, vediamo come fare per mettere insieme i due animali nel modo migliore.

All’inizio andranno posti in due gabbie separate, ma collocate vicine, cosicché le cavie possano vedersi e odorarsi. In questo modo si abitueranno pian piano alla reciproca presenza, ma non potranno aggredirsi. Dopo qualche giorno, quando sembrerà che tra i due animali sia cessata ogni animosità, provate a toglierle dalle gabbie e lasciarle insieme; questo dovrà però avvenire in un territorio neutrale, in cui nessuno dei due animali sia mai stato, e che quindi non stimoli l’istinto a difenderlo dei due roditori. Controllate il comportamento dei due animali e non perdeteli di vista; se si manifestano comportamenti aggressivi o lotte vere e proprie, potete separare i due contendenti schizzando loro dell’acqua con uno spruzzino. A parte il caso di due maschi non sterilizzati, le due cavie dovrebbero gradualmente accettare la presenza l’una dell’altra. Lasciate insieme i due soggetti per un po’, e poi rimetteteli nelle rispettive gabbie. Quando siete sicuri che la coppia ha ormai fatto amicizia, potrete lasciare insieme i due animali nella stessa gabbia.

 

Alimentazione

La cavia è un erbivoro stretto: si nutre esclusivamente di alimenti vegetali. Ha un apparato digerente molto sensibile alle variazioni della dieta, perciò è molto importante evitare cambi bruschi di alimentazione, che causerebbero gravi disturbi intestinali. Tutti i suoi denti, sia i lunghi incisivi che i denti interni, molari e premolari, continuano sempre a crescere, e se non vengono adeguatamente consumati dalla masticazione del cibo causano disturbi gravissimi, fino a impedire all’animale di mangiare causandone la morte. E’ inoltre un animale molto difficile nelle abitudini alimentari: se viene fornito un tipo di alimento che non ha imparato a conoscere da piccolo, lo può rifiutare. Anche un cambiamento dei contenitori del cibo può causare un rifiuto ad alimentarsi. Le cavie, caso unico tra i roditori, necessitano una dose quotidiana di vitamina C; il loro organismo non è in grado di sintetizzarla, e la devono ricevere con l’alimento. In caso di carenza si verifica una grave patologia, lo scorbuto, che causa la morte del roditore. Molto spesso la dieta fornita alle cavie contiene una dose troppo bassa di questa vitamina. L’alimentazione si basa sulla somministrazione di fieno di ottima qualità, erbe di campo, verdure, piccole quantità di frutta, pellet specifico per cavie. Tra le verdure si possono offrire tutte quelle adatte all’alimentazione umana: carote, bietole, broccoli, cavolo, spinaci, cicoria, insalata, piante di campo. Di solito si può lasciare a disposizione una quantità di cibo illimitata (alimentazione “ad libitum”), a meno che non vi siano particolari ragioni mediche per limitare il cibo a disposizione. La dieta deve essere ricca di fibra e di vitamina C. Fate però attenzione ad operare ogni cambio di alimentazione in modo molto graduale, nell’arco di alcune settimane, per evitare disturbi intestinali.

 

I vegetali

Verdure fresche e piccole quantità di frutta vanno somministrate tutti i giorni come alimento principale; devono essere lavate accuratamente per evitare residui di pesticidi e una possibile contaminazione batterica. Le piante di campo devono essere raccolte lontane da aree esposte ai gas di scarico delle macchine, e non in zone in cui possano essere stati utilizzati pesticidi o erbicidi.

Il pellet

Il pellet dovrebbe venire somministrato come complemento di una dieta corretta a base di verdure fresche. In commercio si trovano dei pellets per conigli che non sono adatti all’alimentazione delle cavie perché non contengono vitamina C; in ogni caso occorre ricordare che la vitamina C è estremamente labile e si deteriora in circa sei settimane dalla fabbricazione del pellet, anche nelle migliori condizioni di conservazione. Un buon prodotto, che risponde come composizione alle esigenze della cavia, contiene vitamina C stabilizzata (si conserva per due anni, secondo quanto afferma la casa produttrice), è il pellet per cavie della ditta Bunny. Ricordate: i mangimi che contengono miscele di semi, fioccati e frutta secca NON sono adatti alle cavie, anche se vengono venduti apposta per questi animali.

La vitamina C

La vitamina C ha la caratteristica di esser molto labile e degradarsi rapidamente per esposizione a luce e calore. Una dieta adeguata, ricca di verdure fresche, dovrebbe fornire tutta la vitamina C di cui la cavia ha bisogno. Alimenti ricchi di vitamina C sono i peperoni rossi, il cavolo, il ravizzone, il prezzemolo e gli agrumi. Una tazza di cavolo fresco contiene circa 60 mg di vitamina C e un etto di ravizzone circa 125 mg. Il fabbisogno giornaliero di una cavia (circa 30 mg) può essere fornito con mezza tazza di tali verdure o un quarto di arancia. Attenzione però all’eccesso di brassicacee (come cavolo e ravizzone), in quanto contengono elevati livelli di ossalati (che possono causare la formazione di calcoli urinari). Mele, carote e insalata contengono quantità trascurabili di vitamina C.

La vitamina C può essere somministrata direttamente in bocca con una pipetta o un contagocce, diluita in poca acqua o succo di frutta, alla dose di 10-30 mg/kg. Non è consigliabile eseguire l’integrazione con un preparato multivitaminico, per evitare sovradosaggi di altre vitamine. Possono essere utilizzati i prodotti in vendita in farmacia per le persone. Ad esempio, CebionÒ gocce contiene 100 mg/ml di vitamina C, e una goccia equivale a 5 mg circa.

L’acqua

L’acqua non deve mai mancare, anche se quando mangiano molta verdura fresca le cavie bevono poco. Occorre notare che spesso le cavie amano giocare con gli abbeveratoi a sifone, soffiando dentro l’acqua appena succhiata. Ciò porta alla contaminazione dell’acqua o anche all’ostruzione del beccuccio causata dalle particelle di cibo.

La coprofagia

Le cavie sono coprofagiche (come il coniglio e molti roditori): mangiano le proprie feci appena prodotte direttamente dall’ano (oppure dal pavimento, nel caso di soggetti obesi o gravidi). In questo modo le cavie si approvvigionano di vitamine, proteine e fibra. Nel caso dei piccoli, essi mangiano le feci della madre per procurarsi i batteri intestinali benefici che colonizzeranno il loro apparato digerente.

Alimenti vietati

Tutte le leccornie per i roditori vendute nei negozi per animali: bastoncini di semi e melassa, biscottini, bastoncini di cereali, caramelle allo yogurt, e così via. Semi di tutti i tipi (specialmente di girasole): troppo grassi e carenti di fibra.Pane, pasta, biscotti, dolciumi ecc.: possono causare gravi alterazioni intestinali.Cioccolata: è tossica.Parti verdi di pomodoro e patata (comprese le foglie): sono tossiche.I prodotti a base di latte: le cavie non tollerano il lattosio (nello yogurt non c’è il lattosio).

Le cure

 

La cavia non richiede vaccinazioni, ma non per questo dovete trascurare di portarla periodicamente dal veterinario per una visita di controllo, soprattutto subito dopo l’acquisto. La cavia di norma non deve essere lavata, perché si tiene pulita da sola. Se è a pelo lungo deve necessariamente essere spazzolata di frequente, per asportare il pelo morto e tenere in ordine il mantello. E’ importante tenere regolate le unghie, che se si allungano troppo possono crescere ritorte e danneggiare le zampe.

Sintomi che richiedono un’immediata visita veterinaria sono: comparsa di diarrea, difficoltà a mangiare o rifiuto di mangiare, mento e gola imbrattati di saliva, dimagramento, apatia, prurito intenso. Se la cavia non sta bene fatela visitare prima possibile, perché le sue condizioni di salute possono deteriorarsi molto rapidamente e ogni ritardo può compromettere le possibilità di guarigione.

Bibliografia

– Hillyer E. V., Quesenberry K. E., Ferrets, Rabbits, and Rodents, Clinical Medicine and Surgery, W. B. Saunders Company, 1997
– Marta Avanzi, La cavia, edizioni AAE
– Ronald M. Novwak: Walker’s Mammals of the world Vol. II, sixth ed., The John Hopkins University press, Baltimore London 1999
 
Dr. Sergio Silvetti Med. Vet.(SIVAE, AEMV member)
Via per Armeno n°1, 28010 Miasino (No)
Tel.: 3401441276 fax 0322980907
Indirizzo e-mail: sergio.silvetti@gmail.com

Il Cane della Prateria

Tassonomia

Classe: Mammiferi
Ordine: Roditori
Famiglia: Sciuridi
Genere: Cynomis
Specie: Cynomis Ludovicianus

Il cane della prateria è uno scoiattolo terricolo, un roditore appartenente alla stessa famiglia delle marmotte; il suo nome deriva dal verso caratteristico, molto simile al latrato di un cane, che emette per avvertire i propri simili di un pericolo incombente. Vive principalmente nell’Ovest degli Stati Uniti ed in alcune zone del Canada e del Messico.

Predilige le pianure erbose ma può vivere anche in zone desertiche, collinose e montuose, generalmente dal clima asciutto. Il cane della prateria è un animale sociale e gregario che vive in famiglie formate da un solo maschio sessualmente maturo, da quattro cinque femmine più la prole.

La sua tana è costituita da un intricato sistema di cunicoli e gallerie che collegano diverse camere sotterranee, che vengono adibite alle varie necessità della famigliola: il nido per le madri ed i piccoli in allattamento, la tana per gli altri componenti adulti, la toilette, etc. Le gallerie possono essere profonde fino a 4-5 metri e lunghe anche centinaia o migliaia di metri.

Solo il Cynomis Ludovicianus (cane della prateria dalla coda nera) può essere commerciato legalmente, mentre non è consentito detenere le altre specie.

 

Comportamento

Il cane della prateria è un animale che ha bisogno del contatto fisico con i suoi simili e scambia continue effusioni con tutti i membri della famiglia.

Se acquistati/adottati da cuccioli stabiliscono un forte legame affettivo con gli esseri umani, mentre se presi da adulti legheranno ugualmente con i proprietari ma ci vorrà più tempo prima che acquisiscano fiducia nell’essere umano. Amano essere coccolati in tutti i modi e adorano riposare accoccolati accanto al loro proprietario.

Dai 2 anni di età diventano molto protettivi nei confronti della famiglia che li ospita ed hanno la tendenza a difendere i loro familiari dagli estranei, arrivando persino a morderli. La femmina in linea di massima è meno affettuosa del maschio (ma queste sono solo regole generali, ogni cane della prateria ha un carattere a sé). Se tenuto troppo in gabbia sviluppa un atteggiamento aggressivo anche con il padrone, per cui si consiglia di tenere il cane della prateria libero per il maggior tempo possibile.

Durante il periodo del calore il maschio può essere molto nervoso, mostrare aggressività anche col padrone e avere degli strani atteggiamenti. L’iperprotettività nei confronti della femmina durante il periodo del calore è tale da costringerla talvolta a rimanere chiusa nella tana per giorni. Questi comportamenti aggressivi scompaiono spesso con la sterilizzazione.

Sono comunque animali affettuosissimi, molto intelligenti e dalle movenze buffe e tenere, dunque di grande soddisfazione come pet, anche se inadatti a bambini piccoli perchè se non trattati adeguatamente potrebbero avere repentini cambiamenti di umore e mordere.

Un cane della prateria in casa vi costerà molto in termini di arredamento! Essendo un roditore con incisivi a crescita continua, tenderà a rosicchiare tutto ciò che trova in casa, danneggiando soprattutto mobili e porte; gli spazi a loro disposizione andranno messi in sicurezza contro il rosicchiamento dei cavi elettrici (molto pericoloso per la loro incolumità e spesso causa di morte prematura).

Ricordate dunque che è un animale selvatico e quindi a volte imprevedibile, richiede molta attenzione e cure, non sopporta la solitudine ed ha bisogno di trascorrere il maggior tempo possibile fuori dalla gabbia.

 

Acquisto/Adozione

 

I cani della prateria reperibili attualmente in Italia sono solo animali nati in cattività: dal 2003 è stato posto un doppio blocco al loro commercio, sia in uscita dagli USA che in ingresso in Europa, perchè ritenuti portatori di un Poxvirus che causa il vaiolo delle scimmie, virus pericoloso anche per gli esseri umani. Nel settembre 2008 gli USA hanno rimosso il blocco della commercializzazione, mentre rimane tutt’ora il divieto di importazione in Europa.

E’ vivamente consigliato l’acquisto/adozione di due soggetti perché si facciano compagnia. L’ideale è prediligere animali giovani, poichè da adulti per i primi tempi potrebbero essere molto impauriti oppure aggressivi con voi. L’animale deve essere vivace e curioso, non deve presentare nel mantello delle chiazze senza pelo, i denti incisivi devono essere diritti e della giusta lunghezza, le narici devono essere pulite, le feci solide e compatte.

 

Alloggio

 

L’ideale sarebbe uno spazio esterno con un terrapieno in cui poter scavare, ma possono essere tenuti anche in casa purchè in gabbie molto grandi, che possono essere realizzate in poco spazio sviluppandole in altezza, cioè sovrapponendo una gabbia di 3-4 piani ad un piccolo terrapieno che farà da base alla gabbia. Il fondo deve essere robusto e le chiusure particolarmente solide, dal momento che i cani della prateria sono maestri nelle evasioni. Sul fondo ci deve essere la lettiera, da preferire il truciolo depolverizzato per cavalli (scaglie di legno pressate) o il pellet di legno pressato vergine. E’ importante tenerne almeno una coppia perchè sono animali altamente sociali che soffrono molto la solitudine. Devono poter uscire qualche ora al giorno. Nella gabbia dovranno trovare posto:

– un beverino per l’acqua tipo quello per conigli
– una o più ciotole per il cibo, ancora meglio una per ogni animale, per evitare litigi sul cibo
– una tana in legno (se monterete lungo gli spigoli una striscia metallica eviterete di cambiarla troppo spesso) oppure in cartone (da sostituire spesso perchè certamente la rosicchieranno) con dentro abbondante fieno; evitate le tane in plastica, poichè la condensa del loro respiro renderebbe il nido sempre umido
tubi di diametro adeguato
corde di nylon con dei nodi, che appenderete al soffitto della gabbia per farli giocare (di nylon e non di corda, perchè potrebbero ingerire i fili)
– un tronco di legno non tossico (vedi oltre)
– una scatola di cartone da masticare
– alcuni proprietari mettono anche delle ruote per correre, ma il diametro deve essere adeguato.

La gabbia va pulita almeno una-due volta alla settimana, mentre i residui di cibo e il fieno inutilizzato devono essere rimossi quotidianamente. E’ consigliabile cambiare l’acqua del beverino giornalmente e di togliere le feci così da diminuire i cattivi odori. I cani della prateria tendono a fare i loro bisogni sempre nello stesso punto. Per la pulizia è molto indicato il vapore, che vi eviterà di utilizzare detersivi potenti, ma tossici. Se tenuti all’interno di un appartamento, sarà opportuno posizionare la gabbia vicino anche ad una finestra chiusa, visto che i cani della prateria amano guardare il panorama; attenzione ai colpi di sole, alle correnti d’aria ed alle temperature troppo basse: i cani della prateria sono animali piuttosto freddolosi, che amano stare sdraiati al sole anche in piena estate. Se deciderete di tenerli all’esterno, fate attenzione che non mangino nulla di velenoso e mettete una rete interrata che impedisca loro di fuggire scavando sotto la recinzione.

 

Liberi di girare per casa

 

E’ consigliabile tenere i vostri piccoli amici il più a lungo possibile liberi poichè la gabbia costituisce per loro un grande stress. Da liberi però sono soggetti a molti pericoli per cui devono essere sempre sorvegliati, o deve essere dedicata loro una stanza messa in sicurezza da quelli che sono i pericoli più comuni per i cani della prateria: folgorazione da corrente elettrica, avvelenamento da sostanze tossiche o da piante tossiche, cadute da piccole e grandi altezze, cadute dai balconi. Attenzione ai danni ai vostri oggetti, per loro sarà indifferente addentare lo strofinaccio da cucina piuttosto che la vostra più preziosa tovaglia con pizzo al tombolo.

Alimentazione

 

L’alimentazione deve essere ricca di fibre e povera di grassi e proteine, adatta a degli animali che in natura mangiano solo erba, radici e qualche occasionale cavalletta e che tenuti in cattività tendono all’obesità. L’alimentazione del cane della prateria sarà costituita quasi esclusivamente da fieno o erba, con l’aggiunta di moderate quantità di qualcuno dei seguenti alimenti: patata americana, carota, germogli di soia, fagiolini, verdure amarognole tipo radicchio rosso, cicorione, insalata riccia; le verdure devono essere somministrate ben asciutte ed a temperatura ambiente. Il dente di leone e la frutta (mela, pera o comunque frutta non troppo zuccherina) vanno dati non più di due volte a settimana. Questa dieta va completata da un po’ di pellettato di produzione italiana, formulato appositamente sulle esigenze alimentari dei cani della prateria, a basso contenuto di proteine e lipidi e ricco di fibra. Anche se i cani della prateria bevono in genere poco perchè traggono il liquido necessario dai vegetali freschi, l’acqua va tenuta sempre a disposizione.

E’ sbagliatissimo, anche se purtroppo accade spesso, nutrirli con granaglie, semi di girasole o altri alimenti ricchi di grassi e proteine ma poveri di fibra, che produrranno gravi ed irreversibili danni al loro apparato digerente, accorciando di molto la loro aspettativa di vita.

Piante tossiche e commestibili per il cane della prateria: Sono tossiche l’oleandro, ippocastano, tasso, tutte le siepi, rododendro, azalea; queste sono le più comuni. Ce ne sono certamente altre, ma di sicuro non sono velenosi acero, melo, pero, melograno, ulivo, castagno.

 

Riproduzione

 

I cani della prateria in cattività raggiungono la maturità sessuale all’età di 1-2 anni. Vanno in calore una sola volta all’anno, tra gennaio e marzo. I maschi possono diventare aggressivi sia con la femmina che con i proprietari. Non ci sono segni certi di gravidanza in una femmina di cane della prateria, se non un lieve ingrossamento dei fianchi, un piccolo cerchio di pelo bianco che viene a crearsi attorno i capezzoli ed una maggior tendenza della femmina a stare nel nido. La riproduzione in cattività è piuttosto difficile, ma avviene spesso in coppie tenute in recinti esterni. La gravidanza dura 33-38 giorni, con un numero di cuccioli che varia da 1 a 8. I piccoli nascono privi di pelo e con gli occhi chiusi; aprono gli occhi dopo circa 30- 35 giorni. Usciranno dalla tana per iniziare lo svezzamento intorno alla sesta settimana di vita.

Come riconoscere il sesso: Maschi e femmine sono morfologicamente identici. L’unica caratteristica che permette di distinguere maschi e femmine è la distanza che c’è tra l’ano ed i genitali esterni. Nella femmina questi sono contigui mentre nel maschio c’è una distanza di circa 1-2 cm.

 

Malattie e cure

Non sono necessarie vaccinazioni. E’ bene fare periodicamente un esame delle feci per verificare la presenza di parassiti intestinali. Non è necessario lavarli, ma in caso di necessità il metodo migliore è quello di utilizzare un panno bagnato con acqua e poi asciugarli avvolgendoli in un asciugamano caldo; non utilizzate l’asciugacapelli per non spaventarli. Le unghie vanno accorciate periodicamente, ma fate attenzione a non tagliare troppo in basso, si potrebbe toccare qualche vaso sanguigno causando una consistente fuoriuscita di sangue.

Le malattie più frequenti

Odontoma: è una patologia degli incisivi superiori, molto temuta dai proprietari di cani della prateria perchè è spesso di difficile risoluzione e causa di morte prematura. Si tratta di una proliferazione anomala della radice dei denti, che si manifesta spesso dopo la rottura ripetuta degli incisivi superiori a seguito di cadute, o a seguito di microfratture derivate dal masticamento continuato delle sbarre della gabbia. L’occlusione delle cavità nasali causata dalla suddetta proliferazione può portare l’animale a morte per soffocamento

Micosi: Si manifesta con mancanza di pelo a chiazze, dovute al proliferare di funghi microscopici che si localizzano negli strati superficiali della pelle. E’ trasmissibile anche all’uomo, quindi è consigliabile non toccare queste zone e sottoporre quanto prima l’animale ad adeguato trattamento.

Pododermatite: è una infezione cutanea che colpisce le zampe, causata dal fondo della gabbia a griglie metalliche oppure da scarse condizioni igieniche. La zona appare gonfia ed arrossata e può essere facilmente curata se si interviene tempestivamente. Ma attenzione, se trascurata l’animale può arrivare anche alla morte, poichè l’infezione può propagarsi per via sistemica provocando una pericolosa setticemia.

Acariasi: La più comune è la rogna, ma solo la forma sarcoptica può essere trasmessa all’uomo. Si presenta con perdita di pelo, croste e prurito.

Obesità: E’ causata solo ed esclusivamente da errori alimentari da parte dei proprietari. Non si deve mai alimentare il cane della prateria con alimenti ipercalorici (noci, nocciole, arachidi, semi di girasole, dolciumi) poichè si svilupperebbero patologie mortali a carico del fegato.

Malocclusione: Se gli incisivi dei vostri cani della prateria si spezzano a causa di una caduta, bisogna stare attentissimi che questi non ricrescano storti provocando una malocclusione; gli incisivi possono crescere a dismisura e arrivare addirittura a perforare il palato e le narici.

Diarrea: Produzione di feci molli o liquide, causata da parassiti intestinali o da errori alimentari o colpi di freddo. Se la diarrea non è profusa potete provare ad eliminarla somministrando dei fermenti lattici.

Costipazione: E’ una progressiva stasi intestinale, dovuta ad un’alimentazione scarsa in fibre oppure all’ingestione di alimenti o corpi grossolani, che rende l’animale apatico e anoressico. E’ molto pericolosa e può portare a morte l’animale in poco tempo.

Meteorismo: Causato dalla fermentazione di cibi inadatti (frutta troppo ricca in zuccheri, dolciumi) o a cibi bagnati, marci o freddi, che provocano la formazione di gas intestinali. E’ una patologia grave che può portare a morte per difficoltà respiratorie, in quanto l’eccessiva volume dell’intestino può bloccare il diaframma.

Rinite: I sintomi più evidenti sono scolo nasale e starnuti; le cause possono essere svariate: agenti infettivi ma anche gas o vapori irritanti, oppure polveri come quelle generate da alcune lettiere.

Il Citello

Tassonomia

Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Sottophylum: Vertebrata
Classe: Mammalia
Ordine: Rodentia
Famiglia: Sciuridae
Sottofamiglia: Spermophilus
Genere: S. Citellus

Caratteristiche anatomiche

Lunghezza da 23 a 28 cm
Coda da 6,5 a 11 cm peli fini e lunghi
Peso in media 500 gr
Maturità sessuale 10 mesi
23 giorni di gestazione
Dopo 30 giorni i cuccioli abbandonano il nido materno
E’ un roditore appartenente alla famiglia degli scoiattoli, originario delle steppe dell’est europeo; è l’unica specie europea del genere Spermophilus. L’areale del Citello si estende nell’Europa sud-orientale, dal sud dell’Ucraina all’Asia Minore e la Repubblica Ceca e a nord fino alla Polonia. Negli Stati Uniti si trova principalmente nel Montana e Minnesota.

Crea delle gallerie sotterranee con varie stanze: per dormire, per mettere le provviste, per fare i bisogni. E’ un animale socievole (vive in colonie) e prevalentemente diurno. Gli incisivi sono a crescita continua mentre i molari no. Le mammelle si estendono dalla regione inguinale a quella ascellare. Possiedono delle sacche guanciali per conservare il cibo. Hanno grosse difficoltà nel riuscire a vedere in caso di luce soffusa, soprattutto per la mancanza di senso della profondità. Possiedono delle zampe molto magre e poco muscolose, malgrado siano degli ottimi scavatori. Il verso principale del citello è il fischio.
Vita media 5-6 anni.

Comportamento

I citelli, sono dei buoni animali da compagnia, intelligenti e puliti; riconoscono il proprietario e gli si affezionano, fermo restando però che rimangono sempre animali selvatici. I citelli sono animali sociali, e hanno assolutamente bisogno anche della presenza dei loro simili.
Necessitano di più attenzioni di quanto in genere richiedano i piccoli roditori, ed è opportuno che il proprietario permetta la fuoriuscita dalla gabbia per almeno 2/3 ore al giorno, questo è anche il momento migliore per interagire con loro. Quando sono lasciati liberi, i citelli devono essere sempre sorvegliati a vista. L’ambiente deve essere a prova di fuga, e non contenere oggetti pericolosi (fili elettrici, sigarette, sostanze o piante tossiche, ecc.).
I citelli possono vivere in colonie con più femmine, se lo spazio a disposizione è sufficiente, ma in caso di più maschi, nel periodo del calore questi vanno separati onde evitare ferite che si possono provocare litigando. A volte (sempre nel periodo del calore) può essere necessario dividere anche la femmina dal maschio per qualche ora al giorno per placare gli animi sicuramente accesi da questo momento di forte stress. La riproduzione è molto rara, specialmente se non vivono in recinti esterni, quindi solitamente non si sterilizzano.
Le femmine possono avere una sola cucciolata all’anno e non solo perchè il loro calore è solo 1 volta all’anno ma solo per 2-3 ore. In natura i cuccioli nascono sotto terra in una stanza della tana che la femmina usava per riposare negli ultimi giorni della gestazione che dura circa 23 giorni. I piccoli restano sotto terra per 1 mese e la madre è l’unico membro della famiglia che ha contatto con loro, infatti, non hanno alcun aiuto dal padre o dalle altre femmine. Il numero di piccoli per parto è solitamente di 6 – 8 giovani, ma il range va da 4 a 14. Sempre che la nidiata non sia uccisa dai predatori, la madre riesce a svezzare tutti i figli. In cattività è bene fornirgli una tana con del fieno e tanto spazio, si consiglia inoltre di creare una tana secondaria per il maschio poichè non amano averlo vicino durante il parto, la gestazione e l’allattamento.
GESTAZIONE: Nel periodo della gravidanza bisogna fornire alla mamma una rotellina di sali minerali per roditori, spinaci, la solita verdura ma raddoppiata, aumentare il fieno e il suo solito pellet secco. È opportuno integrare anche con della frutta secca per darle più calorie (principalmente mela e banana, e qualche volta l’uva passa, ma quest’ultima molto di rado perché troppo grassa). Si può dare anche del sedano (che contiene il selenio buonissimo per il pelo) e la carota (che aiuta il citello ad assimilare tutto ciò che mangia, un po’ come per noi è la vitamina B).

NASCITA: Alla nascita, i piccoli citelli pesano circa 6,5 grammi. Sono nudi con occhi e orecchie chiuse,  le dita ancora “saldate” tra loro e i dentini non ancora spuntati. Per questo motivo dipendono completamente dalla madre.
I primi accenni di pelliccia cominciano a comparire dopo quattro giorni e le dita si separano a 13 giorni. A 15 giorni d’età, i piccoli cominciano ad assomigliare a dei citelli in miniatura ma sono ancora incapaci a muoversi e gli occhi sono ancora chiusi. Entro 22-24 giorni,  le orecchie e gli occhi sono aperti, i denti sono presenti e una pelliccia “provvisoria” copre tutto il corpo.
All’età di 29-30 giorni pesano fra 65 e 85 grammi, cominciano a uscire dalla tana e immediatamente si mettono a mangiare cibo solido   diventando presto indipendenti nutrizionalmente dalla madre.
A 50 giorni d’età, la pelliccia è di un adulto.

 

Alloggio

ESTERNO: Il top per questi animali è alloggiare in recinzioni esterne fatte di rete di acciaio inossidabile, anche la pavimentazione andrà coperta di rete poiché possono fuggire scavando gallerie sotterranee. Delle lastre di plexiglass ci aiuteranno a proteggere il loro ambiente dal vento e il freddo invernale. Attenzione a usare troppo plexiglass poiché le pareti riducono la ventilazione e possono portare malattie respiratorie o provocare problemi di regolazione della temperatura e di umidità, quindi il ricircolo dell’aria deve essere garantito lasciando un lato della gabbia con la sola rete. Il citello teme molto le correnti d’aria ma si difende meglio dal freddo che dal caldo quindi dobbiamo assolutamente garantire sempre una zona in ombra dentro la gabbia per questo è consigliabile coprire la stessa con dei teli oscuranti. Lungo tutto il perimetro andrà fissato un qualsiasi tubo di plastica a un’altezza di 50/60 cm in modo che non si possano arrampicare troppo in altezza, le cadute possono essere molto pericolose. All’interno andrà collocato un terrario, le solite ciotole e beverini, tanto fieno, tubi, cartoni e legni fissati che i citelli useranno per gioco e per limare i denti a crescita continua.

INTERNO: Se non possono vivere all’esterno i citelli vanno collocati in gabbie spaziose, meglio se a più piani e dotate assolutamente di terrario dove possono sfogare il loro istinto di scavare e dove costruiranno il proprio nido. Se optiamo per una gabbia con le sbarre, dovremo stare attenti che non ci sia troppo spazio fra le stesse, sono abilissimi a fuggire, anche le chiusure della gabbia andranno controllate meticolosamente. Mentre se scegliamo la rete, dobbiamo stare attenti a scegliere una rete a filo grosso e con foro di 1 cm x 1 cm poiché sicuramente sarà morsa e le reti fini provocheranno delle lesioni alle narici se non un pericoloso odontoma. La pavimentazione deve essere costituita da plastica o simili, non di rete o sbarre che provocheranno lesioni agli arti. Consideriamo che per una coppia lo spazio deve aggirarsi su 1 – 1.5 m2 e ogni piano deve essere alto 35/40 cm. Come per i recinti esterni la gabbia deve essere dotata di ciotole per il cibo, beverini, tanto fieno, tubi, cartoni e legni fissati. Inoltre su ogni ripiano sarà presente una lettiera formata da segatura depolverizzata o pellet di segatura, sconsigliamo il tutolo di mais perché non assorbente e assolutamente vietata è la lettiera per felini. Molto utili sono le angoliere di plastica che i citelli si abituano velocemente ad usare visto che scelgono un angolo ben preciso dove espletare i propri bisogni. Altro accessorio utile è la ruota (diametro minimo 30 cm) specialmente per citelli che vivono in gabbia e che troveranno così il modo per tenersi in allenamento, ricordiamo che un citello pigro non è un citello felice.
Ricordiamo che l’alloggio per questi animali è uno dei punti fondamentali perché possano vivere una vita soddisfacente, la gabbia deve avere passatempi ed essere confortevole. Un citello felice è un citello sicuramente più gestibile e sano.

Alimentazione

L’alimentazione è un altro punto fondamentale per la buona tenuta di quest’animale. In natura i citelli vivono principalmente di erba fresca, raramente trovano qualche seme, e prima dell’inverno possono integrare l’alimentazione con delle proteine animali provenienti dalle cavallette ed altri insetti. In cattività dobbiamo cercare di far sì che i nostri amici abbiano un’alimentazione che non sia ipercalorica; infatti stando in casa e in gabbia, i loro movimenti sono limitati così da favorire l’obesità. Cercheremo in tutti i modi, di regolare la loro alimentazione. Come alimento principale devono mangiare un buon fieno, altro alimento fondamentale è un misto di insalata (no lattuga) e infine un po’ di pellet per cani della prateria (a breve si troverà in commercio anche un cibo specifico per citelli). Una volta a settimana possiamo integrare della frutta di stagione, dell’avena e della crusca naturali, senza mai esagerare. Una volta ogni 1 o 2 mesi è buona abitudine fornire l’apporto di proteine somministrando camole della farina. Anche se è uno scoiattolo terricolo, non diamo assolutamente mangimi per scoiattoli o per criceti, sono troppo calorici ed il fegato ne risentirebbe. Non diamo nemmeno cibo per conigli perché contenenti erba medica che al citello potrebbe provocare calcoli. L’acqua va sempre lasciata a disposizione, preferibilmente con un abbeveratoio a goccia.

Principali malattie

Il citello non viene vaccinato, è importante però una visita di controllo una volta all’anno con esame delle feci e radiografia dei denti. Non è soggetto a malattie congenite ma spesso la tenuta non perfetta può accentuare i punti deboli dell’animale.
Primo fra tutti è l’Odontoma, una sorta di tumore che attacca la matrice degli incisivi, spesso è provocato da cadute e traumi a questi denti (es. rodere le sbarre della gabbia). Quando si verifica una rottura degli stessi, non dobbiamo fare altro che aspettarne la ricrescita, controllando però che il dentino ricresca diritto e che l’incisivo opposto (es. si rompe il superiore dobbiamo controllare l’inferiore) non si allunghi troppo, rischiando così di lesionare la bocca. Se questo avvenisse, occorre limare l’incisivo da un veterinario (specializzato in animali esotici) con un fresino, diffidate caldamente di uno che vuol usare delle tronchesine.
Capita che si strappi un’unghia, anche se il sangue risulta copioso il citello provvederà a disinfettarsi con la propria saliva, controllare solo che il dito non si gonfi e l’unghia ricresca.
Per medicazioni usate sempre garza sterile e soluzione fisiologica piuttosto che cotone (che lascia residui) e acqua.

Pitone Reale

TASSONOMIA

Regno: Animalia
Phylum: Cordata
Classe: Reptilia
Ordine: Squamata
Subordine: Ophidia
Superfamiglia: Booidea
Famiglia: Pythonidae
Genere: Python
Specie: Python regius
Nome comune: Pitone reale, Ball python, Royal python

HABITAT E MORFOLOGIA

Il Pitone reale è un piccolo pitone africano che abita perlopiù le praterie e le savane dell’Africa centro-occidentale. Essendo un animale prettamente terricolo e notturno, trascorre le sue giornate nascosto in tane sotterranee, attivandosi al crepuscolo per uscire o cacciare le sue prede.
La sua lunghezza media varia dai 130 ai 150 cm.
Ha un corpo leggermente tozzo e massiccio e la testa ben distinta da quest’ultimo grazie al collo sottile. Come molti pitoni presenta gli speroni pericloacali, le fossette termorecettrici e gli occhi a pupilla verticale tipici degli animali notturni.
La sua livrea presenta uno sfondo che varia dal nocciola chiaro al marrone scuro ed un pattern nero che attraversa il dorso del serpente e scende lungo i fianchi con delle bande di spessore variabile. La testa è scura e bordata da due linee gialle, il ventre è invece di colore bianco con numerose macchie nere concentrate sui lati. L’occhio è nero o marrone scuro.

COMPORTAMENTO

Il pitone reale è uno dei serpenti più timidi e mansueti in assoluto. Facile a spaventarsi, se impaurito tende dapprima a nascondere il capo sotto il corpo per poi arrotolarsi su se stesso formando una palla. Non a caso, in America, il nome comune del Python regius non è Royal python, bensì Ball python.
Solitamente si lascia maneggiare con tranquillità, ma alcuni esemplari (perlopiù baby appena portati a casa), possono soffiare o mordere se infastiditi.
Un morso di pitone reale è non è comunque pericoloso né doloroso.

Pitone reale

TERRARIO

Il terrario per il Python regius dovrà riprodurre le condizioni ottimali per la specie in questione la cui vita, essendo un animale a sangue freddo, dipende da corretti valori di temperatura e umidità.
Per le dimensioni, bisogna sempre tenere a mente che il Python regius è un animale fossorio che passa le sue giornate nascosto in anguste tane abbandonate da roditori o altri animali. I serpenti in generale sono piuttosto statici e possono risentire di ampi terrari, sentendosi spaesati, quindi digiunando o essendo aggressivi. Per calcolarle dimensioni si procederà così: lato lungo + lato corto = lunghezza del serpente. Per un Python regius adulto di 130 cm basterà pertanto un terrario di base 80×50.
L’altezza è bene non sia eccessiva o potrebbe contribuire a stressare l’animale e dovrà pertanto aggirarsi tra i 30 e i 50 cm.
Per l’allevamento degli esemplari baby e subadulti è decisamente consigliato l’uso di contenitori di plastica o di fauna box: io stabulo i baby fino ai 300 gr in contenitori 40x20x10, i subadulti fino ai 1000 gr in vasche 60x40x20 e gli adulti sopra il kg in vasche 80x60x20.
Il riscaldamento dovrà provenire dal basso (tappetini e cavetti riscaldanti, vanno evitate le lampade riscaldanti  poiché seccano l’aria, consumano molto, disturbano l’animale, sono pericolose e innaturali) e dovrà coprire solo metà della base per creare una zona calda e una fredda.
Ogni fonte di calore dev’essere termostatata per avere una temperatura al suolo di 31 gradi.
L’umidità deve aggirarsi attorno al 55/65%, un valore facilmente ottenibile in un terrario non troppo grande e con una bacinella d’acqua.
E’ consigliabile l’uso di una tana stretta e bassa, posta sul lato riscaldato, che faccia sentire l’ofide al sicuro.
Come substrato, giornali e carta assorbente sono ottimi per quanto riguarda ingiene e praticità, i trucioli di faggio depolverati sono una buona alternativa in quanto più belli da vedere e non pericolosi in caso di ingestione accidentale. Da evitare trucioli di abete o polverosi, corteccia e sabbia.

ALIMENTAZIONE

I pitoni reali, come la maggior parte dei serpenti, sono predatori carnivori e si nutrono dunque con i classici topi o ratti interi, le prede per loro più nutrienti e bilanciate.
I baby andranno nutriti ogni 4-5 giorni, i subadulti ogni 7 e gli adulti ogni 10. La preda dovrà corrispondere all’incirca al 20% del peso del serpente. Ovviamente tutte queste linee guida lasciano margini di discrezionalità più o meno ampi, ad esempio l’intervallo tra un pasto e l’altro sarà più lungo se la preda offerta è più grande del dovuto, e con l’esperienza sarà possibile regolarsi ad occhio sulle dimensioni e il peso di quest’ultima.
I reali, nell’ambito della terrariofilia, sono diventati tristemente famosi per i loro digiuni che, nei periodi più disparati dell’anno, fanno apparentemente senza alcun motivo.
Spesso si tende a minimizzare il problema, dicendo che per loro è normale o consigliando di non preoccuparsi troppo se il nostro pitone ha un appetito altalenante per svariati mesi.
A mio modo di vedere, ciò deriva dal fatto che questi animali sono molto sensibili ai parametri, la dieta e l’ambiente a cui li sottoponiamo: molti digiuni liquidati come fisiologici sono infatti conseguenza di errori di stabulazione. Tuttavia devo ammettere di aver notato con quasi tutti i miei Python regius che nonostante un’ottima stabulazione tendono a digiunare durante i mesi più freddi dell’anno. Se il pitone non è denutrito non ci si deve preoccupare, basterà continuare ad offrirgli la preda ad intervalli un po’ più ampi e prima o poi, quando lo vorrà, riprenderà a mangiare normalmente.
E’ assolutamente consigliato l’utilizzo di prede morte e riscaldate a dovere se congelate, per evitare che il serpente sia ferito durante la caccia. Non sono rari infatti i pitoni uccisi da quelle che dovevano essere le loro prede. Purtroppo non tutti i reali accettano cibo morto, per cui se proprio non si riesce ad abituarlo ad esso, è bene sorvegliarlo quando mangia e non lasciare mai la preda per più di dieci minuti (fermo restando che un ratto può mordere e fare seri danni anche mentre viene costretto).
Per quanto riguarda l’integrazione di vitamine o calcio, essa è assolutamente inutile, in quanto i serpenti prendono tutto ciò che serve direttamente dalle prede, a differenza dei sauri insettivori o erbivori.

RIPRODUZIONE

I pitoni reali raggiungono la maturità sessuale mediamente intorno ai 2-3 anni di età, ma si conoscono casi di maschi riproduttivi a 6 mesi e di femmine riproduttive a 18. I primi dovrebbero comunque pesare sui 700 gr mentre le seconde non vanno fatte deporre ad un peso inferiore ai 1500.
Gli unici metodi sicuri per conoscere il sesso dei nostri pitoni sono il popping (estroflessione manuale dei peni) e il probing (inserimento di sonde nelle sacche caudali), da far effettuare ad una persona esperta.
Per riprodurli si aspetterà l’arrivo dei primi freddi invernali per ciclare le temperature, abbassando gradualmente quelle notturne a 25 (il freddo stimola la spermiogenesi e la crescita dei follicoli).
Dopo tre settimane si proverà ad introdurre il maschio, che – se tutto va bene – corteggerà la femmina e si accoppierà nelle ore successive.
Gli accoppiamenti vanno ripetuti a intervalli di circa 15 giorni e stimoleranno la crescita follicolare della femmina. Quando i follicoli raggiungono i 4-4,5 cm di diametro la femmina ovulerà (i follicoli saranno trasformati in uova ed eventualmente fecondati).
Dopo l’ovulazione si riporterà il punto caldo a 31 gradi costanti. Nei successivi 14 giorni la femmina avrà la muta pre-deposizione, dopo la quale basterà aspettare circa un mese per avere le uova, che saranno da 2 ad un massimo di 16 (il numero dipende principalmente dal peso della femmina).
Le uova potranno essere lasciate alla madre o incubate artificialmente a 31,5 gradi col 90% di umidità ed impiegheranno circa 60 giorni a schiudersi.

LEGISLAZIONE

Il pitone reale è un animale incluso nell’appendice II della Convenzione di Washington (Convention on International Trade in Endagered Species of wild fauna and flora, o CITES), allegato B del Regolamento UE 1996, e come tale dev’essere accompagnato, se detenuto, da un certificato che attesti che l’esemplare si trova al di fuori del suo habitat naturale.

Fonte: www.animalinelmondo.com