Pappagallo Ara

ara   Classificazione e distribuzione ara3L’Ara ararauna (Linnaeus 1758) è uno dei più grossi pappagalli esistenti sul pianeta. Appartenente alla famiglia degli Psittacidae ed al genere Ara, occupa come areale di distribuzione con le proprie popolazioni prevalentemente il Centro ed il Sud America, vivendo lungo i corsi d’acqua di Bolivia, Paraguay, Brasile, Ecuador ecc…. Descrizione Con i suoi 90 cm di lunghezza complessiva l’Ara blu e gialla (come viene chiamata comunemente) è un maestoso pappagallo dal becco nero. La particolarità più evidente e che accomuna tutte le ara è quella di possedere le zone guanciali nude, costituite da epidermide di colore bianco ed ornate con piccole piume nere. In particolare, secondo alcune mie osservazioni, è ipotizzabile che la disposizione di queste piume possano svolgere un significato comunicativo, identificando individualmente i soggetti. La parte dorsale del corpo, vale a dire dalla nuca all’apice della coda, è di un bel blu-azzurro iridescente, mentre la parte ventrale, composta cioè dal petto, dal ventre, il sotto ala e sotto coda, sono di un giallo carico. Forti e tozze le zampe, che sono di un colore grigio con unghie nere. Vita in cattività e comportamento L’Ara ararauna è uno dei pappagalli di grossa taglia maggiormente diffuso in cattività. Esistono essenzialmente due tipologie presenti negli ambienti domestici: le coppie riproduttrici e i soggetti allevati artificialmente, detenuti come animali da compagnia. Il temperamento di questo uccello è pacifico, presentandosi particolarmente adatto alla stretta convivenza con l’uomo in virtù del forte legame che generalmente instaura con il proprietario e della sua innata pigrizia, che consente di allevarlo libero sui trespoli anche per lunghi periodi di tempo nell’arco della giornata senza che dimostri irrequietezza. Molto docile quando allevato artificialmente, è uno dei pappagalli che maggiormente manifesta la sua spiccata intelligenza, ripetendo il linguaggio umano con facilità. Proprio per queste caratteristiche, però, è un animale molto vulnerabile dal punto di vista psichico, non tardando a manifestare sofferenze psicologiche se qualcosa turba la propria esistenza. Sono animali, quindi, che si legano in modo molto intimo all’essere umano e se non si provvede a mantenere ben saldo questo rapporto gli Ara ararauna sono tra i pappagalli più inclini a manifestare la temuta sindrome da autodeplumazione. Purtroppo, infatti, non è episodio comune osservare Ara blu e gialla con un bel piumaggio composto, brillante e non martoriato; generalmente, al contrario, è invece particolarmente facile vedere soggetti con il petto deplumato e dall’espressione depressa. ara1Gli alloggi Per la sua imponenza l’Ara ararauna è un pappagallo che necessita di ampi spazi, dove poter muoversi liberamente e manifestare tutti i comportamenti tipici della specie. Per quanto concerne i soggetti domestici le dimensioni delle voliere in cui sono ospitati possono anche essere di dimensioni inferiori, purché si garantisca all’animale una vita prevalentemente libera e a stretto contatto con l’uomo. I soggetti selvatici e le coppie riproduttrici, invece, richiedo voliere prossime ai dieci/dodici metri di lunghezza, tre/quattro metri di altezza e una profondità tale da essere circa il triplo dell’apertura alare. Anche se queste dimensioni possono sembrare eccessive, dobbiamo tutti ricordare che l’obiettivo primo di chi vuole allevare uccelli è quello di soddisfare tutte le esigenze psicofisiche che richiedono, poiché è soltanto un uccello psicologicamente appagato e con uno stato di salute ottimale che può donarci il piacere dell’allevamento. Se non abbiamo quindi lo spazio per garantire tutto questo è meglio optare per specie più piccole, a cui garantiremo le condizioni ottimali in modo sicuramente meno impegnativo. Particolare attenzione va riposta ai materiali costituenti la struttura delle voliere, giacchè il forte becco e la noia che talvolta può investire animali detenuti in cattività, per ottimali che siano le condizioni, possono portare a distruttività della rete e del telaio, danni che non tardano ad essere effettuati. Da preferire le sistemazioni all’aperto su terra nuda che, come tutti i pappagalli, anche le grandi Ara araraunadimostrano di preferire. L’alimentazione Come per la maggior parte dei pappagalli, anche per gli Ara ararauna vale la regola generale che più l’alimentazione è varia e basata su essenze alimentari fresche, più si garantirà un ottimale stato di salute dell’animale, scongiurando patologie legate a squilibri nutrizionali. Profondamente sbagliata un’alimentazione a base di semi secchi, quali noci, nocciole, arachidi e quant’altro, che porta gli uccelli a gravi patologie a carico del fegato in pochi anni, causandone spesso la morte. Pasta, riso, mais cotto e pannocchie immature, frutta e verdura in abbondanza, miele, yogurt, formaggi stagionati (tipo grana), frullati di frutta e verdura, polline, frutta esotica particolarmente nutriente (banana, mango ecc…), nonché omogeneizzati a base di carne da miscelare ai frullati di frutta per garantire un ottimale apporto proteico, sono tutti alimenti freschi che devono costituire l’alimentazione dell’Ara ararauna, consentendo un’integrazione con semi e pastoni secchi ma per non più di tre somministrazioni settimanali. ara4Riproduzione Nonostante l’imponenza di questi animali, la riproduzione in cattività risulta meno problematica che per altre specie; a dimostrazione di ciò basta notare quanti soggetti sono disponibili nelle realtà commerciali e private. Una evidenziazione del sesso in questo soggetti attraverso un test molecolare atto ad evidenziare i marker sessuali a livello del DNA è fondamentale per poter avere la garanzia di possedere due soggetti di sesso opposto, dato che l’Ara ararauna è da considerarsi una specie monomorfa, cioè che non manifesta morfologicamente differenze tra il maschio e la femmina. Depongono le uova in un grosso nido ricavato dal tronco di un albero cavo in natura, ed in cattività occorre necessariamente fornire la stessa condizione, anche presentando un nido in legno delle misure adeguate, un metro di diametro per un metro e più di altezza. Sconsigliabili bidoni in lamiera e plastica che si usavano un tempo per la riproduzione di questi uccelli, a causa della facilità con cui si surriscaldano durante la stagione estiva. La cova dura all’incirca 28-30 giorni e il numero delle uova raramente supera le 3/4 unità. CITES L’Ara ararauna è soggetto a tutela da parte della Convenzione di Washington e la sua detenzione è autorizzata soltanto per soggetti con anello inamovibile (comprovante la nascita in cattività) e documento CITES d’accompagnamento, che l’allevatore ci fornirà al momento dell’acquisto. Eventuali nascite, fughe o decessi, nonché cessioni a terzi, vanno comunicate agli uffici del Corpo Forestale di Stato della propria provincia. Inoltre la detenzione in cattività è regolamentata da specifiche norme delle A.S.L. locali, pertanto se si intende acquistare uno di questi pappagalli è necessario rivolgersi agli uffici veterinari dell’A.S.L. di competenza nella propria città. Autore: Pierluca Costa, etologo

Pappagallo Cenerino

pappagallo cenerino testa Classificazione pappagallo cenerino   Classe: Aves Ordine: Psittaciformes Famiglia: Psittacidae Tribù: Psittacini Genere: Psittacus   Specie: P. erithacus Sottospecie: P. erithacus erithacus                            P. erithacus timneh   Il cenerino origina dalle foreste pluviali dell’Africa centrale e occidentale. Si nutre di frutta, semi, noci di palma, foglie delle piante. È la sola specie del genere Psittacus; presenta due sottospecie: P. erithacus erithacusLa sottospecie P. erith   acus erithacus ha dimensioni maggiori tra le due (33 cm), ha una colorazione grigia di tonalità più chiara, le penne della coda rosse e il becco completamente nero. I giovani fino ad un anno di età presentano le iridi di colore scuro, che poi diventano giallo chiaro, e fino a 18 mesi di età presentano la punta della coda di un rosso più scuro.   P. erithacus timnehLa sottospecie P. erithacus timneh è di dimensioni leggermente inferiori, ha un colore grigio più scuro, la coda marrone e un’area di colore chiaro sulla parte superiore del becco. Entrambe le sottospecie presentano sulla faccia, intorno agli occhi, un’area di pelle nuda di colore grigio chiaro.   Sono state sviluppate diverse mutazioni di colore, tra cui la presenza di una banda rossa sull’addome, la colorazione completamente rossa, la coda bianca, albini, gialli. Non si deve confondere la comparsa di penne rosse causate da problemi di salute (follicoliti, danni epatici, malnutrizione, una malattia virale – PBFD) con una mutazione di colore, come inducono a credere alcuni allevatori o venditori senza scrupoli. pappagallo cenerino Longevità Il cenerino è un pappagallo longevo e, se ben accudito, può arrivare a 65 anni di età. Distinzione dei sessi I soggetti adulti presentano lievi differenze morfologiche. Il maschio ha la testa leggermente più grossa e piatta, ed è di 2-3 cm più grande della femmina. Nel maschio l’iride è più rotonda, nella femmina più ellittica. Nella sottospecie P. e. erithacus nel maschio ci sono alcune penne rosse intorno alla cloaca e le ali sono più scure. Poiché queste differenze possono essere molto lievi o incostanti, il metodo più sicuro per stabilire il sesso è tramite l’esame del DNA, che si può eseguire su alcune penne del pappagallo. Se si desidera tenere un cenerino singolo come animale da compagnia, la determinazione del sesso non è essenziale. Il cenerino come pet Il cenerino è probabilmente la specie di pappagallo più intelligente, e tra le specie animali in assoluto più intelligenti; questa sua intelligenza eccezionale, paragonabile a quella di un bambino di 2-3 anni, è oggetto di studi numerosi e approfonditi. Si sa che è in grado di associare alle parole che ripete il loro significato e che sa esprimere intere frasi nel giusto contesto di una conversazione, se adeguatamente istruito. La sua notevole abilità nel ripetere le parole (anche se molto variabile da individuo a individuo) e la capacità di affezionarsi alle persone ne fanno una delle specie di pappagallo più ricercata. I soggetti allevati a mano sono eccezionalmente docili. Tuttavia, proprio per la sua intelligenza, è un animale molto esigente dal punto di vista delle attenzioni e del tempo che gli si può dedicare, e uno dei pappagalli più soggetti a sviluppare problemi comportamentali, come lo strappamento delle penne (sindrome da autodeplumazione).   Il cenerino deve poter interagire con il proprietario in modo regolare e poter passare tutti i giorni del tempo fuori dalla gabbia. Non è quindi un pappagallo da acquistare con leggerezza, dal momento che non tutti possono occuparsene in modo tanto assiduo; inoltre non è molto adatto a chi non ha alcuna esperienza nella gestione pappagalli.   Il cenerino è in Appendice II del CITES, per cui il prelievo in natura è (teoricamente) strettamente regolamentato. Poiché l’Europa dal 2007 ha proibito l’importazione di uccelli di cattura, tutti i cenerini che si trovano in commercio sono di allevamento. I soggetti di cattura presentavano grossi problemi di adattamento ed erano in genere molto paurosi. I soggetti allevati in cattività al contrario sono molto docili e affettuosi con il proprietario. Dopo la maturità sessuale, il cenerino tende a legarsi in modo esclusivo a una persona e può essere aggressivo con gli altri membri della famiglia, cosa che può rappresentare un grosso problema di gestione. Gestionepappagallo cenerino   I cenerini non presentano particolari difficoltà di gestione, ma richiedono molte attenzioni e tanto tempo da passare interagendo con loro (carezzarli, parlare, giocare). Per la loro intelligenza, si annoiano facilmente andando incontro a problemi comportamentali anche gravi. I cenerini devono restare confinati dentro la gabbia per meno tempo possibile. Sono preferibili le gabbie che si possono aprire in alto e che hanno un posatoio nella parte più alta, in modo che l’animale interagisca meglio con l’ambiente. La gabbia deve essere più spaziosa possibile, per permettere al pappagallo di muoversi, fare esercizio, contenere diversi posatoi, molti giocattoli sicuri, vari oggetti da esplorare e distruggere con il becco. I posatoi devono essere in legno naturale, preferibilmente dei rami di diametro variabile, in modo che le zampe possano fare ginnastica. Il diametro deve essere tale da permettere alle dita di circondare il ramo senza che si tocchino. Il fondo della gabbia può essere ricoperto con fogli di giornale, materiale economico e facile da sostituire. Il cambio deve essere effettuato tutti i giorni. L’igiene della gabbia, dei posatoi e dei recipienti di cibo e acqua è essenziale per la salute dei pappagalli. La collocazione della gabbia è un fattore importante. I cenerini sono particolarmente esigenti per quanto riguarda il contatto umano e la compagnia, pertanto la sistemazione ideale è in una stanza in cui vi sia la presenza di persone per buona parte del tempo, ad esclusione della cucina perché è un ambiente che può essere pericoloso per gli uccelli in gabbia (per le emissioni delle pentole antiaderenti di teflon, o i vapori dei prodotti per la pulizia del forno, ad esempio). La notte l’ambiente deve essere silenzioso e buio, per consentire ai pappagalli di dormire indisturbati. 10 ore di sonno continuo ogni giorno sono indispensabili per il benessere dei cenerini. La gabbia deve essere al riparo da correnti d’aria e dalla luce diretta del sole, che può provocare un colpo di calore, e non raggiungibile da potenziali predatori o animali che possono spaventare il cenerino, come cani e gatti. Igiene Una buona igiene è fondamentale per la salute dei pappagalli tenuti in cattività. Si deve ricordare che l’uso di disinfettanti è inutile in presenza di residui organici (deiezioni o resti di cibo) che proteggono i microbi dalla loro azione. Pertanto, il modo più efficace di ottenere una buona igiene è l’uso di acqua calda, sapone e spugna per rimuovere tutti i residui strofinando con vigore, seguito poi dall’applicazione del disinfettante e quindi da un risciacquo abbondante. I fogli del fondo vanno sostituiti tutti i giorni, operazione molto rapida e semplice. I contenitori di cibo e acqua vanno svuotati e lavati con cura tutti i giorni; una volta alla settimana vanno disinfettati. La gabbia intera almeno una volta al mese va svuotata di tutti gli accessori, lavata e disinfettata. Anche i posatoi vanno tenuti sempre ben puliti e disinfettati regolarmente. Come disinfettanti si possono usare varechina diluita o lisoformio. In libertà I cenerini hanno bisogno di passare alcune ore fuori dalla gabbia ogni giorno; tuttavia, quando sono lasciati liberi, possono andare incontro a molti pericoli, per la loro natura curiosa e l’abitudine a esplorare gli oggetti con il becco, pertanto è opportuno preparare con attenzione una stanza e non perderli di vista mentre stanno fuori dalla gabbia. Le finestre devono essere chiuse, con i vetri coperti (ad esempio con una tenda) per evitare che l’uccello vi vada a sbattere contro. In alternativa, se ci sono zanzariere si possono abbassare. Anche le porte vanno tenute chiuse. I vari pericoli a cui può andare incontro un pappagallo libero nella stanza sono:
  • annegamento (bacinelle o pentole piene d’acqua)
  • ustioni (caminetti, stufe, fornelli, candele o piastre elettriche accesi)
  • folgorazione (fili elettrici)
  • avvelenamento (sigarette, farmaci, cioccolata, prodotti per la casa, piccoli oggetti di zinco o piombo)
Il taglio delle penne delle ali può servire a limitare l’estensione del volo, ma non va inteso come un modo per impedire al pappagallo di volare. Il taglio delle penne può avere effetti molto dannosi se mal eseguito, sia dal punto di vista dell’incolumità (l’uccello può cadere o sbattere e fratturarsi) che dal punto di vista psicologico (renderlo insicuro). La limitazione del volo va effettuata solo quando il giovane pappagallo ha già imparato a volare correttamente, cosa che lo rende sicuro e fiducioso delle sue capacità. Se gli si tagliano subito le ali, prima che abbia imparato a volare, non imparerà più a farlo correttamente. Il taglio va eseguito in modo graduale, poche penne per volta, in modo che l’uccello impari ad adattarsi alla nuova condizione. Il risultato finale deve essere una limitazione della capacità di volo, mantenendo intatta la capacità di atterrare correttamente. È importante che le prime volte l’operazione sia eseguita con la guida di un veterinario esperto in medicina aviare. Il taglio delle penne va ripetuto regolarmente dopo ciascuna muta, quando le penne tagliate cadono e vengono rimpiazzate da nuove penne. Occorre fare molta attenzione a non tagliare le penne prima che abbiano completamente terminato la crescita, perché mentre stanno spuntando possiedono nel calamo dei vasi sanguigni che possono sanguinare profusamente.  Alimentazione Sorprendentemente, i cenerini possono sopravvivere anche per 15 anni con diete totalmente inadeguate quali le miscele di semi o addirittura con soli semi di girasole, prima di soccombere alle gravi carenze nutrizionali, mentre con un’alimentazione appropriata possono superare i 50 anni di vita. L’alimentazione ideale è basata sulla somministrazione di pellet di buona qualità (senza conservanti, coloranti o aromi artificiali, preferibilmente biologico), verdure (cotte e crude) e frutta (anche queste se possibile biologiche). I semi vanno somministrati in quantità ridottissima o eliminati del tutto, e non devono comprendere girasole. Altri alimenti consentiti sono pane o pasta integrali, legumi e cereali cotti, piccole quantità di yogurt o fiocchi di latte e uova sode con il guscio. Poiché i cenerini sono predisposti a problemi di carenza di calcio, gli alimenti ricchi di calcio sono particolarmente indicati. L’esposizione regolare alla luce solare diretta (non filtrata dai vetri) permette di sintetizzare la vitamina D, che ha la funzione di far assimilare il calcio dell’alimento. Alimenti proibiti sono quelli ricchi di grassi e salati, la cioccolata e l’avocado. Di: Marta Avanzi, Med Vet

Pappagallo Amazzone

pappagallo amazzone tassonomia Amazzone: fa parte della famiglia Psittacidae del genere Amazona, vi fanno parte circa 30 specie:  
  1. Amazzone collaria con gola rosa,
  2. Amazzone leucocephala di Cuba,
  3. Amazzone ventralis di Hispaniola,
  4. Amazzone albifrons con la fronte bianca,
  5. Amazzone Xantholora con redini gialle,
  6. Amazzone agilis col becco nero,
  7. Amazzone vittata di Portorico,
  8. Amazzone tucumana di Tucuman,
  9. Amazzone pretrei con gli occhiali rossi,
  10. Amazzone viridigenanis con redini rosse, di esso vi sono tre specie;
  11. Amazzone brasiliensis del Brasile,
  12. Amazzone dufresniana,
  13. Amazzone rhodocorytha con corona rossa,
  14. Amazzone festiva,
  15. Amazzone xanthops con faccia gialla,
  16. Amazzone barbadensis delle Barbados,
  17. Amazzone aestiva con fronte azzurra,
  18. Amazzone auropalliata con la nuca gialla,
  19. Amazzone ochrocephala con fronte gialla,
  20. Amazzone oratrix con testa gialla,
  21. Amazzone amazonica dell’ Amazzonia,
  22. Amazzone mercenaria coricata,
  23. Amazzone kawalli, Amazzone farinosa,
  24. Amazzone vinacea,
  25. Amazzone versicolor di Santa Lucia,
  26. Amazzone arausiaca con collo rosso,
  27. Amazzone guildingii di St. Vincent,
  28. Amazzone imperialis imperiale.
amazzone fronte biancaL’Amazzone a fronte bianca è una delle amazzoni più piccole, vive in natura nel sud America generalmente in mexico e Costa Rica ha una dimensione di circa 27cm hanno una vita molto lunga pensate fino i 40 anni! Il colore del piumaggio come potete notare è il verde che è il colore predominante su tutte le amazzoni, la fronte ovviamente bianca e la parte superiore della nuca azzurro. E’ un pappagallo piuttosto rumoroso ma se allevato a mano è un buon parlatore. Esistono tre sottospecie che si differenziano per dimensione 27.26 e 24 cm, e la differenza che contraddistingue la a. Albifrons albifrons dala Saltuensis consiste nella colorazione dell’azzurro della nuca più esteso. In Italia ci sono numerose coppie e posso affermare che sono allevate tranquillamente. Differenze sessuali Per queste amazzoni la differenza sessuale è evidente, infatti il maschio presenta le ali copritrici primarie rosse, invece nella femmina sono completamente verdi, come potete notare nella fotto in basso. Vita in Allevamento Sono animali come già detto piuttosto rumorosi pertanto sconsiglio il loro allevamento in zone ad alta densità di popolazione o dove ci sono vicini che non amano essere disturbati!! Sono abilit volatiri e consiglio vivamente di fornire una bella voliera ampia e spaziosa io utilizzo voliere da 2 mt x 1 mtx 2 mt di altezza. Come alimentazione somministro una miscela di sementi apposita per amazzoni dove all’interno sono presenti svariati semi girasole, arachidi. Amano moltissimo la frutta e verdura specialmente il pomodoro. Riproduzione Per quanto riguarda la riproduzione posso affermare che è una specie piuttosto prolifica se trova l’ambiente giusto, dove naturalmente sarà poco disturbata. Uso fornire un nido rettandolare dalla base di 40×40 con una altezza di circa 60cm con foro da 10 cm. Di norma il periodo riproduttivo va da maggio a settembre ma la mia coppia ad esempio sempre verso metà giugno. Dove depone dalle 2/3 uova e le cova per circa 25 giorni, i piccoli sono pronti all’involo dopo circa 7 settimane.

Allevare il Tacchino

Cennti storici

tacchinoIl primo a parlare del tacchino, nel 1525, fu lo spagnolo Gonzalèz Fernando de Oviedo, governatore di Hispaniola, nel suo “Summario de la Historia Natural de las Indias Occidentales”: lo descrive qui come una varietà del Pavone, con una coda meno grande del Pavone comune e con una carne ancora più saporita. Proveniente dal Messico, fu introdotto in Spagna intorno al 1520; da qui raggiunse la Francia – dove fu chiamato Pollo d’India (Coq d’Inde, da cui deriva l’attuale Dindon e Dinde) – e poi, in seguito, in tutto il Continente, divenendo sempre più comune. In Inghilterra comparve per la prima volta sotto il regno di Enrico VIII nel 1524; gli storici di quel tempo, credendo che provenisse dai possedimenti turchi dell’Asia Minore, lo chiamarono Gallo Turco (Turkey-cocks) e, per abbreviazione, Turkey, mantenuto fino ad oggi. Fernandez, nel suo “Tesoro di cose nella Nuova Spagna” del 1576, già distingue il tacchino domestico da quello selvatico, ed aggiunge che gli spagnoli ed i portoghesi lo chiamavano “Pavones de las Indias”. Già intorno al 1565, in Francia, in un convento vicino a Bourges i monaci avevano impiantato un allevamento, con soggetti direttamente importati dall’America: si dice anche che il primo tacchino servito a tavola fosse quello delle nozze di Carlo XI con Elisabetta d’Austria il 20 novembre 1570. La prima descrizione scientifica del tacchino è dovuta al naturalista viaggiatore francese Pierre Gilles, edita a Lione nel 1553; a lui seguirono Pierre Belon, sempre francese, che fornì nella sua “Histoire Naturelles des Oiseaux” (Lione, 1555) il primo disegno del tacchino; indi Gesner da Zurigo ed il nostro grande Ulisse Aldrovandi.

I Tacchini che noi oggi conosciamo derivano tutti dai tacchini selvatici del genere “Meleagris”. Si contano sette sottospecie con caratteristiche più o meno simili che vivevano in un’area molto vasta, dal Canada al Messico. Ecco cosa diceva Brehm del tacchino selvatico nel suo lavoro “La Vita Degli Animali” (Torino, 1869):

«Il tacchino vive allo stato selvatico anche al giorno d’oggi, è di una grande bellezza e prolifico assai. Era sparso nei piani dell’America del Nord, particolarmente nell’Arkansas, nell’Illinois, l’Alabama, l’Ohio, Kentucky, l’Indiana, il Missouri e il MissisSipi. I grandi branchi condotti da vecchi maschi i quali sono di una meravigliosa vigilanza che temono del continuo l’insidia, che non cercano il cibo se non quando si vedono rimpiazzati da altri vecchi di ugual tempra. Fanno lunghissimi giri di strada a piedi e possono in un giorno fare tanto cammino quanto ne può fare un robusto cane; in caso di bisogno fanno anche forti voli per oltrepassare corsi di acque. Si nutrono di semi, frutti di alberi, ghiande, bacche, insetti, verdure ed ogni sorta di tuberi che trovano. Sono ghiotti specialmente di lumache e di insalate tenere, e sovente fanno indigestioni pel troppo mangiare. Certi scrittori a torto prendono questo animale come prototipo della collera stupida ed inconscia; ma molti altri lo difendono, ed alcuni americani, come Beniamino Franklin, ebbero a proporre agli Stati Uniti che si mettesse nello stemma nazionale l’emblema del Tacchino in luogo della superba e antisociale aquila; mentre il tacchino è di origine essenzialmente americana”.»

Riporto anche integralmente quello che il grande naturalista G. Buffon (1707 – 1788) scriveva, sia per la sua importanza storica che per la sua pittoresca e scrupolosa descrizione:

tacchino«E’ rimarchevole per la grandezza della sua statura come per certe naturali inclinazioni che non gli sono comuni con un piccol numero di altre specie. La sua testa che è molto piccola a proporzione del corpo, è quasi interamente spogliata di piume e solamente coperta, del pari che una parte del collo, di una pelle turchina carica di capezzoli rossi nella parte anteriore del collo e di capezzoli biancastri sulla parte posteriore della testa con alcuni piccioli peli neri sparsi raramente tra i capezzoli e con piume più rare all’alto del collo. Dalla base del collo gli scende sul collo fino ad un terzo circa della sua lunghezza una specie di barba carnosa rossa ondeggiante, composta di una doppia membrana. Sulla base del becco superiore gli si innalza una caruncola carnosa di figura conica e solcata di grinze traversali assai profonde: questa allo stato naturale ha poco più di un pollice, cioè quando il gallo d’India passeggia tranquillamente senza oggetti intorno a lui che lo tormentino; ma se qualche straniero oggetto gli si presenta inaspettatamente, massimo nella stagione degli amori, lascia questo uccello il suo portamento semplice ed umile, si ingalluzza immediatamente con fierezza, la sua testa e il suo collo si gonfiano, la caruncola si spiega, s’allunga e discende due o tre pollici più basso coprendosi il becco interamente; tutte le dette parti carnose si colorano di rosso vivo, nel tempo stesso le piume del collo e del dorso si arruffano, e la coda si alza a guisa di ventaglio, mentre le ali spiegandosi si abbassano fino a trascinarsi a terra. In tale attitudine or va camminando fieramente intorno alle sue femmine, accompagnando la sua azione con un sordo rumore, prodotta dall’aria del petto che esce pel becco, e che è seguito da un lungo sussurro; ora abbandona la sua femmina come per minacciare quelli che lo turbano; e in tal caso la sua andatura è grave, e soltanto si accelera nel momento in cui fa sentire il rumore suddetto; di tempo in tempo egli interrompe siffatto esercizio per gettare un altro grido più forte, e che gli si può, tante volte, far ripetere quanto si vuole o fischiando o facendogli sentire qualsiasi altro tono acuto; egli ricomincia in seguito a far la ruota, la quale esprima ora il suo amore per la femmina, ed ora la sua collera contro quel che non conosce. Ventotto penne si contano in ciascuna delle ali, e diciotto nella coda; egli ha peraltro due code, l’una superiore e l’altra inferiore, la prima formata come sopra di penne grandi piantate intorno al groppone, è quella che l’animale rialza facendo la ruota, la seconda poi consiste in altre penne men grandi e non l’alza dalla sua situazione orizzontale. Due attributi sensibili distinguono il maschio dalla femmina; un mazzetto cioè di crini duri e neri, lungo da 5 a 6 pollici, che gli esce quando è adulto dalla parte inferiore del collo, e l’altro che è uno sperone cha ha a ciascun piede, che è più o meno lungo, ma più corto e spuntato che quel del gallo ordinario. La gallina d’India è diversa dal maschio non solo per gli attributi suddetti, per la caruncola del becco superiore più corta ed incapace di allungarsi e pel rosso più pallido della barba carnosa e della barba glandulosa che le copre la testa, ma eziandio per gli attributi propri del sesso, essendo più piccola, avendo una fisionomia meno caratteristica, con men di forza nell’interno, e men d’azione all’esterno: di più il suo grido non è che un accento lamentevole, i suoi movimenti non sono che per cercare il nutrimento o per fuggire il pericolo; finalmente è priva della facoltà di far la ruota, non già perché non abbia la coda doppia, ma perché manca dei muscoli atti a levare e raddrizzare le penne più grandi (in questo devo purtroppo smentire il Buffon in quanto, come abbiamo detto, anche la femmina saltuariamente fa la ruota, ndr). Un maschio può avere cinque o sei femmina, ove sianvi più maschi, si fanno fra loro la guerra battendosi, non però col furore dei galli ordinari. La femmina non è così feconda coma la gallina ordinaria, non fa essa le uova che una volta all’anno per quindici giorni circa, il suo accoppiamento col maschio non è così breve come quello del gallo, appena ha terminato di far l’uovo che si mette tosto a covare; cova pure le uova di ogni sorta di uccello, basta che abbia il nido in luogo asciutto e nascosto, vi si abbandona ella a questa occupazione con tanto ardore ed assiduità che morrebbe di inazione sulle sue uova se non si avesse la cura di levarla una volta al giorno per darle da bere e da mangiare. Quando il maschio vede a covare la sua femmina cerca di rompervi le uova, riguardandole forse come un ostacolo ai suoi piaceri, il perché essa si nasconde allora con tanta cura. Finito il tempo in cui debbono schiudersi tali uova, i pulcino battono col becco il guscio dell’uovo che li chiude; talvolta ancora per essere il guscio troppo duro, vengono aiutati a romperlo, il che si fa con molta circospezione. Appena schiusi dal guscio, hanno questi pulcini la testa coperta di una specie di lanugine, e non hanno ancora né carne glandulosa, né barba carnosa, parti che si sviluppano in capo a sei settimane o due mesi. La madre li guida con la stessa sollecitudine onde la gallina conduce i suoi; essa li riscalda sotto le proprie ali col medesimo affetto e li difende collo stesso coraggio. Quando questi sono divenuti forti, lasciano la loro madre, o piuttosto ne sono abbandonati, amano andare a pollaio in aria libera, e passano così le notti più fredde dell’inverno or sostenendosi sopra un sol piede, ritirando l’altro nelle piume del loro ventre come per riscaldarlo, ora al contrario annicchiandosi in equilibrio sul lor bastone, per dormire, mettendosi la lor testa sotto l’ala, e durante il loro sonno hanno il moto della respirazione sensibile e notabilissimo. Essi hanno diversi toni e differenti inflessioni di voce secondo l’età e il sesso e secondo le passioni che vogliono esprimere. La loro andatura è lenta e il loro volo pesante, bevono, mangiano ed inghiottiscono dei piccoli sassolini digerendo presso a poco come i galli. Se credesi ai viaggiatori, sono essi originari dell’America e delle isole adiacenti e prima della scoperta di quel nuovo continente essi pure non esistevano nell’antico. I galli d’India selvaggi non sono differenti dai domestici se non perché sono molto più grossi e più neri, del resto essi hanno gli stessi costumi, le stesse naturali inclinazioni, e la medesima stupidità; vanno a pollaio nei boschi sui rami secchi e quando se ne fa cadere qualcuno a colpi di fucile, gli altri se ne restano al lor sito, e non ne vola via neppure uno. Ha questi la carne più dura, e se ne allevano facilmente dovunque trovansi nei parchi e nei boschetti.»

Oggi il Tacchino allo stato selvatico, a causa della caccia di cui è stato oggetto, è diventato molto più raro, anche se si sono tentate reintroduzioni, alcune delle quali andate a buon fine. I Meleagridi sono i più grandi galliformi oggi esistenti.

Molteplici sono le denominazioni volgari con cui esso è stato ed è chiamato; eccone alcune, tratte da una lista ben più lunga riportata nel libro di Savorelli: – Piemonte: Pitu/Pita, ma anche Biru e Bira come pure Dindi e Dinda o Bibin e Bibina. – Veneto: Dindio/Dindia – Brianza: Polin e Pola – Crema: Pulù/Pola – Ravenna: Tachèn e Tachena – Toscana: Lucio o Tacco – Arezzo: Billo/Billa – Roma: Gallinaccio – Cagliari: Dindu e Piocce – Messina: Ciurro e Gaddu d’India

Allevamento

tacchinoocellatoNon è molto sviluppato in Italia; peccato, perché è un animale molto bello e per le nostre campagne lo trovo molto più indicato del Pavone. Devo però riconoscere che solo chi ha grandi spazi può permettersi l’allevamento del tacchino, che necessita infatti di pascolare: un tacchino in un pollaio non è bello da vedere. Anche se il tacchino domestico è meno battagliero del selvatico, è bene comunque non tenere più di un maschio nel periodo della riproduzione: si disturberebbero a vicenda e non dimostrerebbero alle femmine il dovuto riguardo. Il gruppo riproduttore potrà essere formato da un giovane maschio e tre o quattro femmine di almeno due anni. E’ la femmina che decide quando accoppiarsi: il maschio non deve fare altro che essere pronto, e lo dimostra facendo sempre la ruota. E’ sufficiente un accoppiamento andato a buon fine perché tutte le uova che la femmina deporrà, prima di iniziare la cova, risultino fecondate. L’inizio della deposizione è la primavera: molte femmine però iniziano anche nel mese di febbraio. L’incubazione dura 28/30 giorni. OLYMPUS DIGITAL CAMERALa tacchina è una covatrice e madre eccezionale che può portare a termine più covate in una sola stagione; per questa sua dedizione è sfruttata come “incubatrice” naturale: non è comunque bene approfittarne troppo, per lei è sempre uno stress; assicurarsi giornalmente che sia uscita dal nido e si sia rifocillata; anche un buon bagno di sabbia sarebbe l’ideale per dargli sollievo e disfarsi di un po’ di parassiti. Spesso è restìa ad allontanarsi dal nido; con alcune, dopo averle messe fuori, dovevo chiudere la porta per garantire almeno 15 minuti d’aria. Quando allevavo il Tacchino Crollwitz facevo fare alle mie femmine una sola covata; mi davano soggetti sufficienti, e devo dire che avere un gruppo di più di 20 tacchini non è una cosa semplice da gestire: orto devastato, vasi in continuo pericolo, tetti presi d’assalto con i conseguenti danni alle tegole, ecc. E’ preferibile che sia la tacchina stessa a fare da madre perché, se allevati sotto lampade, può succedere che i tacchinotti abbiano difficoltà ad iniziare a nutrirsi. Se poi la stagione è asciutta si possono far uscire prima, approfittando delle giornate di sole – necessario per lo sviluppo scheletrico – e per farli cominciare fin da piccoli a mangiare sassolini, erba e insetti, tanto utili al loro sviluppo. Nei primi due/tre mesi comunque è bene somministrare una miscela con una dose proteica del 28% e con coccidiostatico per prevenire brutte epidemie. A tre mesi effettuare due sverminazioni a distanza di 15 giorni l’una dall’altra. Hanno bisogno di molta verdura, frutta e di tanto spazio a loro disposizione con tanto verde. Personalmente non ho mai riscontrato la fatidica “crisi del rosso” o “crisi del corallo”: in queste condizioni i miei tacchini sono sempre cresciuti velocemente e in salute.
 

Oca romagnola

oche bianche e grigieOrigine, diffusione e caratteristiche economiche

Razza italiana originaria dell’Emilia-Romagna (province Ravenna, Forlì, Bologna e Ferrara). L’attuale Standard Italiano Razze Avicole (1996) propone come nuova denominazione il termine di “Oca Italiana“. L’ oca di Romagna o romagnola, è meglio conosciuta in tutto il mondo col nome di oca di Roma affibiatole dagli avicoltori spagnoli di Barcellona, quando la nostra razza venne presentata in quella città ad una esposizione mondiale nel maggio del 1924. In quell’occasione i visitatori si domandarono se la romagnola appartenesse alla razza che salvò il Campidoglio dalle truppe galliche di Brenno nel lontano 382 a.C. La questione probabilmente non sarà mai chiarita perché Lucrezio sostiene che quelle oche erano bianche, mentre Virgilio le definì argentate… Ma con lo scorrere dei secoli il piumaggio potrebbe aver subito variazioni. Certo è che le oche romagnole possiedono una voce assai acuta e stridula, diversamente dal tono borbottante delle Tolosa, per esempio… Comunque sia, le nostre candide oche romagnole sono sicuramente tra le razze più antiche al mondo… Tra l’altro è la razza più feconda e ovaiola tra le oche (110/115 uova l’anno, dal peso minimo di 150 grammi). Inoltre il suo piumino è tra i più apprezzati e la sua carne è ottima! In Italia vi sono tre razze tra cui la pezzata veneta che non possiede però ancora uno standard preciso. C’è la grigia padovana, di media taglia, molto apprezzata anch’essa! Ma è la romagnola che detiene il primato tra le tre e soprattutto nel mondo per la sua numerosa deposizione di uova! L’oca di Roma ha una variante col ciuffo sul capo (tuffed roman goose) che viene meticolosamente selezionata negli Stati Uniti d’America. Peccato si allevi poco qui in Italia e che la selezione in questo campo, non sia ancora così curata come negli altri Stati altrimenti la fama della romagnola potrebbe ritrovare il plauso che le fu riservato lo scorso secolo in tutta Europa e in Inghilterra.

Caratteristiche morfologiche

oca romagnolaTaglia: piccola. Peso medio: – maschio a. 5-6 kg – femmina a. 4-5 kg Mantello bianco. Becco largo, forte, attaccato alto, arancione con unghia carne. Zampe mediamente lunghe, color arancio intenso. Occhi azzurri con caruncola oculare rossa. Non possiede alcun sacco ventrale. L’oca Romagnola di pura razza ha la particolarità, alla pari dell’oca di Embden, di essere autosessabile alla nascita: i paperi nascono con macchie brune sulla testa e sul dorso e queste macchie sono decisamente più scure nelle femmine. fonte: agraria.it

Allevare le oche

ocheOrigini
L’allevamento dell’oca è antichissimo, molto anteriore a quello dell’anatra. Se ne trova traccia 4000 anni a.C. nella tomba del faraone Tè (V° dinastia), nella metropoli di Menfi. In essa è dimostrata l’avvenuta domesticazione, in quanto sono raffigurate, oche in un cortile insieme a gru e colombi, con sotto l’iscrizione: «La riunione dei colombi e delle oche dopo che essi hanno mangiato.» Omero ne parla nell’Odissea, allo XV° canto, in cui è citata Elena che alleva oche nella corte del palazzo di Menelao ed al canto XIX°, quando Penelope, raccontando un sogno, parla del suo allevamento di oche. I poeti greci si ispirarono al candore dell’oca e la paragonarono alla grazia e alla bellezza delle giovani fanciulle. Ha oltretutto innumerevoli antenati famosi: L’oca sacra di Augusto: abbandonata fra le braccia di sua moglie Livia dall’aquila cara a Giove, fu ritenuta un dono degli dei e pertanto consacrata. Le consorelle del Campidoglio, allevate nel tempio di Giunone, che col loro sberciare avvertirono dell’arrivo dei barbari di Brenno. L’oca di Friburgo, immortalata con un monumento, che, con la sua sensibilità, durante la seconda guerra mondiale funzionava da radar, avvertendo gli abitanti dell’arrivo degli aerei nemici. Viene da pensare che mai più ingiuste furono espressioni come: “Stupido come un’oca” o “Essere un’oca giuliva”. Il secondo può andare, se non viene inteso in senso dispregiativo, in quanto l’oca è gaia e festosa e saprebbe godersi la vita se l’uomo gliene desse l’opportunità. La capostipite dell’oca domestica la troviamo nella famiglia degli Anatidi nell’ordine Anseriformi: l’Oca Selvatica Grigia (anser cinereus). È una delle oche selvatiche più grandi, pur mantenendo una forma molto aerodinamica, ha un peso di circa kg. 3,5 ed un’apertura alare di 180 cm.Il becco è grosso e robusto, alla base è più alto che largo, di colore arancio intenso con unghiata rosea; esso è provvisto, ai margini, di lamine cornee che servono a strappare, triturare e spesso filtrare gli alimenti che l’oca trova sondando il fondo degli stagni. Ha comunque un menu esclusivamente vegetale: erbe, semi, tuberi, bacche e frutta. La testa è piccola, in proporzione al corpo. Il collo è lungo e fine. Le lunghe ali stanno aderenti e, quando sono chiuse, raggiungono l’estremità della coda senza però incrociarsi o sorpassarla. I tarsi sono rosei e robusti. Come tutte le oche selvatiche porta a termine una sola covata l’anno, covando, per 28/29 giorni, 5/6 uova al massimo. Ha una colorazione particolare, che ritroviamo in molte razze di oche domestiche. Il colore di fondo è un grigio brunastro uniforme ed il margine delle penne è orlato di bianco. Bianco nella parte bassa del petto, ventre castano con macchie di tonalità più intensa. La coda è come il resto del piumaggio.
Allevamento
accrescimento ocaIn Romagna l’oca era altamente considerata, si diceva che, quando venne sparso nel Mondo il sale del giudizio, tre parti di questo furono assorbite dalle oche; il resto venne assimilato dagli uomini. Definita il “maiale dei poveri”, in tempi in cui era difficile vivere, lei dava uova, piumino e ottima carne con pochissima spesa; anche la pelle veniva usata e, dopo essere stata sapientemente conciata, serviva per confezionare candide pellicce. Le nostre oche domestiche assomigliano molto all’Oca selvatica grigia, anche se hanno un aspetto più pesante; la distinzione del sesso non è facile, perché nei due sessi la colorazione è identica; solo in età adulta, in alcune razze, il maschio è riconoscibile perché più grosso. Nel recente passato il suo allevamento era molto sviluppato, specialmente nell’Emilia Romagna e Veneto. Allevare oche non richiede molto, è sufficiente un prato per il pascolo, più o meno ampio a seconda del numero dei soggetti che si vogliono tenere, e acqua, anche poca, perché l’oca non è come l’anatra, ama soprattutto pascolare. I tarsi, situati al centro del corpo, sono molto più lunghi di quelli delle anatre, questa particolarità conferisce loro un passo più sicuro. Se dispongono di sufficiente alimento verde sarà sufficiente, ogni tanto, un pastone di pane, cruschello di frumento e farina di granoturco oltre ad un po’ di grani, niente di più. Ho letto, in un vecchio libro, che in Pomerania Occidentale – Regione a nord est della Germania da cui proviene l’omonima razza e dove fino alla metà del secolo scorso l’allevamento era particolarmente sviluppato – un ragazzo, al mattino, passando nei pressi dei villaggi suonava a distesa un corno e, da ogni casolare, uscivano branchi di oche che il ragazzo stesso conduceva al pascolo, come un gregge di pecore. Alla sera le oche rientravano al Paese e ciascun gruppo ritrovava la propria casa.Un agricoltore, mio vicino, ha un bellissimo gruppo di oche bianche, sempre immacolate nonostante stiano tutto il giorno nei campi; molto indipendenti, le trovo addirittura sulla strada a più di un chilometro di distanza dai loro prati, sempre tranquille e con aria indolente, senza fretta e senza paura, si spostano, quando passo in macchina, quando sono a piedi allungano il collo e sembra mi redarguiscano con il loro verso per averle disturbate. Quando non le vedo le cerco con lo sguardo e spesso le intravedo in fondo al prato nel ruscello e mi viene da pensare: che bella vita fanno!Intorno all’età di sei mesi, a seconda della razza, le femmine iniziano a deporre, ma è bene per la riproduzione usare soggetti di almeno un anno compiuto. Un’oca può dare buoni risultati fino ai 4/5 anni; dopo, la fertilità ed il numero di uova calano. morfologia ocaIl gruppo ideale è formato da un maschio e tre femmine ed è bene che siano soggetti della stessa età, specialmente le femmine, altrimenti il maschio tende a preferire la più giovane (però!!) snobbando le altre. Mai il gruppo deve avere due maschi, si disturberebbero a vicenda. La scelta dei riproduttori va fatta standard alla mano e non si deve incorrere nell’errore: più grosse più belle. A parte la fecondità, che non è compatibile con la grossezza, lo Standard va anche seguito per la mole.Le nostre oche un tempo erano riconosciute come eccezionali produttrici di uova e carne prelibata, ma erano anche apprezzate per la loro robustezza e facilità di allevamento; per queste loro doti furono esportate in tutta Europa. Sono sicuro che molte razze oggi esistenti in altri Paesi hanno il sangue delle oche italiane. Sul libro Standard inglese, con prima edizione datata 1956, si legge: «Non ci sono dubbi che, in Germania ed Olanda del nord, fu usata l’oca bianca italiana per creare la Embden, incrociandola con le loro indigene bianche.» Oggi l’Oca non è più allevata come una volta e quei pochi soggetti che si vedono provengono dai tanti mercati di provincia, dove parole come morfologia, colorazione, disegno o produzione hanno poca importanza, ma agli inizi del secolo scorso, fino ad oltre la metà, l’oca faceva parte di quel patrimonio avicolo da conservare gelosamente nelle sue caratteristiche morfologiche di colorazione e di produzione. La selezione, volta nel tempo a migliorare la produzione o l’aspetto, ha fatto sì che si creassero varietà con caratteri stabili dovuti anche al rapporto con l’ambiente e, quindi, al clima ed alla nutrizione. fonte: www.fiav.info

Bergamo. Il corpo del padrone morto divorato dal suo cane

carabinieri«Quel cane ha fatto una scelta di vita: ha ubbidito all’istinto di sopravvivenza che sta nel suo dna come in quello dell’uomo»: conviene affidarsi alle parole di un esperto per trovare un senso alla macabra fine di Armando M., 48 anni, uomo solo e provato dalla vita, trovato morto per cause naturali nel suo appartamento nel centro di Bergamo. Era lì da circa tre settimane, aveva accanto a sé Nanà, il cane che in questo lasso di tempo si è sfamato dilaniando il padrone. Da prima di Natale l’appartamento al secondo piano di via Sant’Alessandro era piombato nel silenzio: normale, secondo i vicini, perché Armando, padre separato e senza lavoro, carattere introverso, ogni tanto partiva per mete misteriose e per un mese o due nessuno lo vedeva più. Nemmeno Nanà, il beagle che gli era compagno inseparabile da almeno tre anni, ha dato segni di vita, nemmeno un guaito. L’ex moglie di Armando nei giorni scorsi aveva provato più volte a contattare l’uomo, senza successo; qualche amico a Natale aveva mandato un sms di auguri, senza ottenere risposta. Martedì la donna, spaventata, ha fatto denuncia ai carabinieri: «Non ho sue notizie da ottobre». Carabinieri e vigili del fuoco hanno provato ad aprire la porta e dall’interno finalmente il cane ha dato segni di vita. Apprensione e speranza si sono intrecciate per qualche istante fino a quando la porta si è spalancata su uno spettacolo raccapricciante: disordine dappertutto, il corpo di Armando steso a terra insanguinato e la carne strappata sulle braccia e le gambe. Il medico legale dirà che la morte risale a circa tre settimane fa, durante le quali il cane si è cibato di carne umana. «Non dobbiamo sorprenderci — commenta Felice Castelli veterinario e consulente nel caso Green Hill — del comportamento del beagle: è un animale come l’uomo e persino all’uomo in condizioni disperate è capitato di dover mangiare la carne dei suoi simili. È prevalso l’istinto di sopravvivenza per salvarsi». Sorprende anche che il cane per tre settimane non abbia fatto sentire la sua presenza. «Il beagle ha in istinto chiassoso, specie quando sente la preda. Ma stavolta può essere capitato che anche il cane sia rimasto traumatizzato dalla situazione». Claudio Del Frate – Corriere della Sera – 11 gennaio 2013

Il padrone è morto, ma il cane va a messa tutti i giorni

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La storia del pastore tedesco “Ciccio”, sta commuovendo il web…

Una vicenda che ha commosso il web, arriva in queste ore da Brindisi, e vede protagonista “Ciccio”, un pastore tedesco di 12 anni, che in queste ore, grazie alla sua fedeltà e amicizia nei confronti del suo padrone, ha letteralmente commosso il popolo del web. Ciccio, da qualche mese è rimasto orfano della sua padrona, morta alla giovane età di 57 anni, ma il pastore tedesco in questo lasso di tempo non ha mai dimenticato la sua padrone e ogni mattina, per “renderle omaggio”, si reca in Chiesa, e si mette nel posto dove era solita sedersi la signora Maria, ascoltando la Messa al posto suo. La storia di Ciccio, sta commuovendo il web: non è il primo caso di totale “devozione” da parte di un animale nei confronti del suo padrone.  Così, il parroco, intenerito, dal gesto del cane, gli permette ogni mattina di prendere parte alla funzione.

Scoiattolo grigio: 2 milioni di euro per sterminare il «clandestino»

Per salvare quello rosso europeo. Gli esperti: «Così restano i più forti: combattere importazione e commercio»

MILANO – Gli converrebbe tingersi il manto di rosso. In caso contrario, lo scoiattolo grigio farà una brutta fine. È stato approvato pochi giorni fa un piano che prevede lo sterminio dello Sciurus carolinensis, lo scoiattolo grigio. I metodi previsti per l’eliminazione sono da film horror: avvelenamento con topicidi, inalazione di gas, rottura del collo. Piano contro lo scoiattolo grigio Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio    Piano contro lo scoiattolo grigio DIFESA – Gli animalisti sono insorti a difesa di Cip: «L’eradicazione dello scoiattolo grigio com’è prospettata da Unione europea, ministero dell’Ambiente e dalle Regioni Lombardia, Piemonte e Liguria è mortificante dal punto di vista etico e clamorosamente errata dal punto di vista scientifico. Si spendono quasi 2 milioni di euro per lo sterminio ma non si vieta la commercializzazione di una delle tante specie arrivata in Europa perché qualcuno l’ha comprata in negozio e rilasciata sul territorio», tuona il presidente di Gaia Animali & Ambiente, Edgar Meyer. Mettiamo che l’opinione di un animalista puro penda dalla parte degli animali. Ecco allora il parere dell’etologo Roberto Marchesini, autore di un’infinità di libri sulla relazione tra l’uomo e le altre specie: «Ho già visto la gassificazione di nutrie e colombi: sono state campagne fallimentari. Fatte per ridurre il numero di soggetti, hanno ottenuto il risultato opposto perché si è operata una selezione della specie: sono sopravvissuti i soggetti più forti, che si sono moltiplicati. Più si seleziona una specie, più aumenta di numero. Sarebbe molto più interessante investire in un piano per il controllo demografico e in uno studio utile per capire se il declino dello scoiattolo rosso, attribuito alla presenza di quello grigio, sia da attribuire davvero a quest’ultimo. Non si conosce la causa della decimazione di molte specie, penso agli anfibi, in particolare a tante varietà di raganelle ormai quasi scomparse». SPECIE ALIENE – Le specie aliene come vengono chiamati gli animali alloctoni che minacciano il nostro ecosistema è lunga: si va dal pesce siluro allo scoiattolo grigio americano, dalla tartaruga azzannatrice a quella dalle guance rosse, dai gamberi killer della Louisiana ai pappagalli, dalle cozze zebrate ai visoni, dalle nutrie ai procioni. Nell’ambiente europeo sono state rilevate oltre 11 mila specie esotiche (vegetali e animali). Janez Potočnik, commissario Ue per l’Ambiente, ha dichiarato: «Il costo dei danni causati da specie invasive al nostro patrimonio naturale è valutato a 12 miliardi di euro ogni anno». COMMISSIONE UE – La Commissione sta cercando di arginare il problema lavorando in tre direzioni: prevenzione, rilevamento precoce e reazione rapida e, infine, eradicazione di specie invasive al fine di ridurne gli effetti negativi. In quest’ultimo step rientra l’azione rivolta allo scoiattolo grigio. Ma come arrivano in Italia gli animali esotici o alloctoni? Il trasporto globale può aver prodotto l’involontario import di insetti e larve: il punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus) è arrivato così. COMMERCIO – Ma è l’uomo che rilascia nell’ambiente gli animali. «Molte specie sono state introdotte dai commercianti, che dovrebbero farsi carico delle vendite sconsiderate di animali esotici nei loro negozi: non spiegano che una tartaruga in poco tempo diventerà grande come un foglio A4 e tu dovrai condividere con lei la vasca da bagno. Non dicono quale sofferenza l’animaletto che compri al bambino patirà nel monolocale cittadino, prima che lo rilasci in un bosco o in mare», spiega Marchesini. Che aggiunge: «Le nutrie da dove arrivano se non da quegli allevamenti per fare pellicce di castorino così in voga negli anni Settanta? Le pratiche venatorie sono un altro problema: vengono immesse specie nell’ambiente su richiesta dei cacciatori, e quando quella specie si è ambientata e riprodotta fuori misura, si chiamano i cacciatori, che sono l’origine del problema, per risolvere il problema: è successo per i cinghiali in molte zone d’Italia. I pesci siluro? Li hanno voluti i pescatori. Tutto ruota attorno all’uomo, ma chi ne fa le spese sono sempre gli animali». MINACCE – Cosa succede quando una specie aliena, tartaruga o scoiattolo che sia, è introdotta nell’ambiente di fianco a una specie autoctona? «La nostra tartaruga (Testudo hermanni) si è trovata in difficoltà perché quelle dalle orecchie rosse, più voraci, hanno sottratto cibo: la catena alimentare è la stessa. Un altro rischio è che accoppiandosi con la Testudo graeca, ad esempio, generi ibridi sterili. Le minacce sono di vario tipo: possono arrivare soggetti con maggiori capacità di acquisizione delle risorse e che si riproducono». Il responsabile è sempre l’uomo. Lo scoiattolo grigio fu portato in Italia da un diplomatico americano nel 1948, e rilasciato in un parco di Torino. La cozza zebrata pare sia arrivata attaccata alle chiglie delle imbarcazioni. I pappagalli sono scappati o sono stati liberati da qualche gabbia. Le tartarughe davano fastidio nella vasca da bagno. E ora 1.930.000 euro verranno investiti in nome della salvaguardia della biodiversità per gasare gli scoiattoli grigi. È la logica umana. Anna Tagliacarne fonte: corrieredellasera.it

Cesar Millan dog Whisperer

Cesar Millan, noto esperto di comportamento canino oltre che autore di diversi best-seller, è uno degli specialisti più ricercati nel campo della riabilitazione dei cani[1]. Sfruttando il suo grande talento per la comunicazione con gli animali, Cesar lavora per recuperare, e riportare a una vita normale e serena cani problematici di ogni razza e dimensione. La metodologia applicata da Cesar si basa su una profonda comprensione del comportamento del branco. Lui stesso possiede una muta di circa 50 cani, in cui rottweiler, pitbull e pastori tedeschi riescono a vivere insieme in totale armonia. Diversamente dalla maggior parte degli addestratori, che tendono a relazionarsi con un animale alla volta, Cesar spesso usa il suo stesso branco come cellula sociale contaminante per rieducare i cani recalcitranti: cosi facendo i cani che hanno bisogno di correzione possono migliorare apprendendo dai membri più equilibrati del branco, proprio come succede in natura. Per questo nel 2002 fondò un centro di educazione canina e recupero di casi pericolosi, il “Cesar Millan Dog Psychology Center”, a sud di Los Angeles[1], trasferendosi successivamente nel 2009 nella metropoli californiana. È in questa struttura che vengono tenuti tutti i cani di Cesar Millan, ed è qui che vengono accuditi dallo staff e dal veterinario e naturalmente da Cesar stesso che quotidianamente fa svariate ore di esercizio fisico insieme a loro sulle colline di Santa Monica. Infanzia Cesar Millan è nato a Culiacán, in Messico[1] Trascorse gran parte della sua gioventù nel ranch di suo nonno, dove i suoi migliori amici e compagni di giochi furono i cani della fattoria. Fu qui, nei fine settimana e nei giorni di vacanza, a contatto con gli animali, che Cesar acquisì una profonda conoscenza del comportamento canino potendo osservare i loro rituali e l’approccio che il padre e il nonno avevano verso questi animali. E fu proprio suo nonno ad insegnargli la lezione che ancora oggi considera la più importante: “non agire mai in contrasto con madre natura”. Nella dedica del suo libro “L’uomo che parla ai cani” Cesar Millan ringrazia il nonno Teodoro Millan Angulo e il padre Felipe Millan Guillen per “avergli insegnato ad apprezzare, rispettare e amare la natura”. Da bambino era appassionato dei serial tv “Rin Tin Tin” e “Lassie”, e l’abilità degli addestratori televisivi, che notava dalla bravura dei cani, lo impressionò al punto da fargli desiderare di diventare il miglior addestratore di Hollywood. Trasferimento in U.S.A. e le prime esperienze lavorative All’età di 21 anni Cesar Millan tentò di attraversare la frontiera degli Stati Uniti come clandestino[1], con soli 100 dollari in tasca, per cercare di realizzare il suo sogno: sarà con i pochi dollari rimasti, dopo il pagamento fatto a coloro che gli fecero attraversare la frontiera, che Cesar si ritrovò nella città di San Diego. Dopo circa un mese di permanenza negli U.S.A. trovò il suo primissimo lavoro come addetto alla toelettatura; grazie ai buoni profitti di questo lavoro poté trasferirsi, dopo non molto, ad Hollywood per lavorare in uno dei più importanti centri di addestramento per cani degli Stati Uniti. Qui, contro il parere dei colleghi, Cesar usava condurre contemporaneamente più cani delle razze comunemente considerate pericolose (rottweiler, pitbull, mastini, etc) e cosi facendo comprese che i cani più recalcitranti si calmavano influenzati dall’atteggiamento calmo e remissivo di quelli più equilibrati e fu grazie a questo che nacque una delle linee guida del metodo Dog Whisperer – Uno psicologo da cani, “il potere del branco”. Fu durante il periodo di lavoro presso questa importante scuola di addestramento che Cesar venne avvicinato da un ricco ed importante uomo d’affari che gli propose di lavorare non come educatore di cani, bensì come addetto alla pulizia del suo parco auto: oltre ad offrigli uno stipendio gli promise un’automobile, una Chevy Astrovan dell’88. Grazie alla nuova mobilità acquisita Cesar Millan decise di fondare la Pacific Point Canine Academy, la prima attività di lavoro di sua proprietà: partì con una giacca, il logo della ditta, dei biglietti da visita, ma soprattutto un’idea ben chiara di ciò che voleva diventare; ora guadagna 100 milioni di dollari all’anno. La svolta del Dog Whisperer È grazie al passaparola generatosi dalle conoscenze del suo importante datore di lavoro, che nutriva una grande stima nei confronti di Cesar, che iniziò a farsi conoscere in tutta Los Angeles. Grazie al suo nuovo datore di lavoro iniziò anche a farsi una certa pubblicità e le sue capacità giunsero all’orecchio di Jada Pinkett Smith, moglie del famoso attore Will Smith. I due gli chiesero di far lavorare i loro tre cani, cioè portarli a correre con sé tutti i giorni insieme al suo gruppo di cani che allora comprendeva sette dobermann e due rottweiler. Dopo circa quattro anni dal suo arrivo negli Stati Uniti Cesar Millan entrò in contatto con l’élite di Hollywood, e grazie alle raccomandazioni della sua ultima cliente riuscì a lavorare per Ridley Scott, Vin Diesel, Michael Bay, Barry Josephson[1], e da qui partì un effetto a catena. Ma Jada Pinkett Smith, che ora è una delle sue più grandi amiche, fece per lui molto più di questo: gli pagò un insegnante che gli insegnasse a parlare inglese alla perfezione. A questo punto sempre più entusiasta della sua nuova missione e dei sui nuovi mezzi didattici cominciò a studiare e leggere tutto ciò che trovava sulla psicologia canina, due libri in particolare saranno molto significativi per lui, “La mente del cane” di Bruce Fogle e “Dog psychology: The Basics of dog training” di Leon F. Whitney. Nel frattempo Cesar Millan incontrò e sposò sua moglie Illusion e grazie al suo aiuto, di lì a poco, fondò il suo primo Dog Psychology Center su un terreno preso in affitto a Los Angeles. Impegno sociale Nel 2007 Millan ha fondato una associazione no-profit, la Millan Foundation, che ha come missione la riabilitazione e il soccorso di cani abbandonati e maltrattati e favorire le relazioni tra cani e persone. In più finanzia programmi di castrazione e sterilizzazione di cani per ridurne o eliminarne la sovrappopolazione. Progetto “Shelter Stars”: si prefigge di aiutare i canili sottoscritti ad insegnare l’educazione base e i rudimenti di psicologia canina a chi adotta: regalando un libro e una serie di dvd istruttivi di Cesar Millan. Progetto “Spay And Neuter”: nato per diffondere la cultura della sterilizzazione e della castrazione per evitare che tanti cani e gatti, 5 milioni ogni anno, finiscano per essere eliminati. Per far questo vengono distribuiti volantini, affissi poster a colori, mandati spot televisivi e vengono fatte campagne di informazione presso le scuole. Progetto “Mutt-i-grees Curriculum” in collaborazione con North Shore Animal League e Yale University’s “School of the 21st Century.”: Permette un approccio innovativo alla formazione umana degli studenti nelle aree di “Intelligenza emotiva e abilità di socializzazione”. La fondazione Millan insegna come prendersi cura degli altri, mostrando empatia e rispetto, costruire relazioni e agire eticamente e responsabilmente – nelle loro interazioni con i pari, gli adulti e con gli animali. Inoltre pone l’attenzione del pubblico e dei media sulla situazione dei cani e dei gatti nei rifugi per le adozioni. Riconoscimenti 2005 – La Humane Society of the United States Premio speciale per la riabilitazione degli animali 2006 – International Association of Canine Professionals Nominato membro onorario della International Association of Canine Professionals 2006 – Premio Emmy Nomination Outstanding Reality Program (per Dog Whisperer) 2007 – Premio Emmy Nomination Outstanding Reality Program (per Dog Whisperer) 2007 – Premio Michael Landon Per aver ispirato i giovani attraverso la televisione 2008 – Annual Image Awards Miglior programma di varietà o reality show (per Dog Whisperer) 2008 – Treasure of Los Angeles Nominato “Treasure of Los Angeles” per il suo contributo alla città di Los Angeles 2009 – Premio Emmy Nomination Outstanding Reality Program (per Dog Whisperer) 2010 – People’s Choice Award Programma sugli animali preferito dagli spettatori (per Dog Whisperer) Filmografia Cinema Beethoven – A caccia di Oss… car!, regia di Mike Elliot (2008) – Se stesso Piacere, sono un po’ incinta, regia di Alan Poul (2010) Televisione Ghost Whisperer – Presenze – serie TV, episodio 2×18 (2007) – Se stesso South Park – serie TV cartone, episodio 10×7 (2007) Bones – serie TV, episodio 4×04 (2010) – Se stesso The Apprentice – Sei stato licenziato! – Reality show (2010) – Giudice Critiche I metodi utilizzati e proposti da Cesar Millan sono stati contestati da alcuni Ordini dei Veterinari, educatori e associazioni cinofile, associazioni protezionistiche in quanto considerati superati e pericolosi. Questo perché, come le Associazione Animaliste e quelle veterinarie Italiane sostengono, l’uso dei collari a strozzo vengono oramai ritenute delle coercizioni al cane. (EN) Beyond Cesar Millan (EN) The Dominance Controversy, Dr. Sophia Yin, The Art and Science of Animal Behaviour (EN) Dog Whisperer Training Approach More Harmful Than Helpful, Blauvelt, R (2006) (pdf) (EN) VIN News Service – Veterinary Behaviorists Question Dominance Theory in Dogs, 5 febbraio 2009 (EN) Science Daily – If You’re Aggressive, Your Dog Will Be Too, Says Veterinary Study, 18 febbraio 2009 (EN) Huffington Post – Experts Say Dominance-Based Dog Training Techniques Made Popular by Television Shows Can Contribute to Dog Bites, 18 maggio 2009 ANMVI Oggi – La veterinaria disapprova il metodo Millan, 12 ottobre 2009 Comunicato stampa ANMVI – I Veterinari italiani disapprovano i metodi di Dog Whisperer, 13 ottobre 2009 Comunicato ASETRA – The Dog Whisperer, 29 ottobre 2009 ANVI Oggi – Cesar Millan utilizza collari elettrici?, 21 gennaio 2010 Comunicato ENPA – Stockdale è la nostra risposta a Millan, 20 aprile 2011 Nel 2006, la “American Humane Association” (AHA) ha richiesto che National Geographic Channel interrompesse la messa in onda di Dog Whisperer[2], sostenendo che le tecniche di addestramento mostrate nel programma fossero disumane, superate e improprie[3]. Nel Novembre 2009, Millan ha invitato la AHA sul set di Dog Whisperer dove, secondo Millan, “hanno cambiato la loro concezione di cosa è crudele[4]”. L’associazione ha dichiarato a Febbraio 2010 che “nonostante le notevoli differenze di visione presenti in passato e alcune persistenti aree di disaccordo, condividono molte aree di interesse con Millan[5]”. Tramite il sito di National Geographic Channel Cesar Millan e lo stesso National Geographic Channel hanno risposto a tutte le critiche che gli sono state fatte nel corso delle varie stagioni di Dog Whisperer. Opere L’uomo che parla ai cani (con Melissia Jo Peltier) (Cesar’s Way: The Natural, Everyday Guide to Understanding and Correcting Common Dog Problems, 2007) (Salani editore, 2008) (ISBN 978-8884519757) Il capobranco sei tu (con Melissia Jo Peltier) (Be the Pack Leader: Use Cesar’s Way to Transform Your Dog . . . and Your Life, 2007) (Salani editore, 2010) (ISBN 978-8862561846) Uno di famiglia (con Melissia Jo Peltier) (A Member of the Family: Cesar Millan’s Guide to a Lifetime of Fulfillment with Your Dog, 2008) (Salani editore, 2011) (ISBN 978-8862562676) Come allevare il cane perfetto (con Melissia Jo Peltier) (How to Raise the Perfect Dog: Through Puppyhood and Beyond, 2009) (Salani editore, 2012) Cesar’s Rules: Your Way to Train a Well-Behaved Dog, 2010 (con Melissa Jo Peltier) (Inedito in Italia)

Asino

STORIA e preistoria

(lo abbiamo bastonato e sfruttato per secoli, ora lo facciamo estinguere…)

Le prime tracce di domesticazione dell’asino risalgono al 4000 a.C., nel basso Egitto, mentre in Europa i primi ritrovamenti appartengono all’epoca tra quella del bronzo e quella del ferro. Oltre che lungo le coste dell’Africa orientale-settentrionale, vive ed ha vissuto nella Siria, in Mesopotamia, nell’Afghanistan, nella Persia, nella Russia asiatica meridionale, nel Tibet, nella Mongolia, ecc. Dagli asini selvatici africani deriverebbero i ciuchi armati di pazienza destinati a fare la parte più dura dei lavori di una volta, in cambio di un magro pasto; senza mai dar peso al fatto di esser eletto simbolo dell’ignoranza e della testardaggine.

E’ sempre stato allevato da contadini che non avevano i mezzi per selezionarne razze, quindi è rimasto molto simile, anche nelle abitudini, al suo antenato selvatico che viveva in branco in ambienti desertici; è in grado di nutrirsi anche mangiando anche rovi secchi e spinosi e di sopportare molto bene la sete. Le striature caratteristiche che l’asino ha sul dorso, da una spalla all’altra, sono il segno della stretta parentela con la zebra. Bassorilievi assiri mostrano le prime figure di muli, quindi l’asino ha da sempre alleviato le fatiche di molti, ricchi e poveri girando la mola, portando pesi, trainando carri e aratri… (img: mulino.jpg) ma anche fornendo carne, cuoio e latte (che tra l’altro è ottimo come composizione nutritiva, meglio di quello vaccino).prime tracce storiche di orecchie lunghe addomesticate Va considerato che la sua ben nota testardaggine è data da una cattiva interpretazione del fatto che è difficile forzare chiunque a fare qualcosa che contraddica i suoi istinti di conservazione; date le bastonate e i lavori che comunque svolgeva merita un plagio alla pazienza che dimostrava: solo quando crollava a terra ci si rendeva conto di averlo caricato troppo. Dopo millenni di servizio, alcune razze rischiano ora l’estinzione, persino le poste italiane nel 2007 hanno pubblicato un francobollo che rappresenta le razze italiane a rischio di estinzione.

ETOLOGIA (son guidati dall’asina più saggia, prima di scalciare avvertono più volte…)

branco bradoNel 1936 grazie a K. Lorenz, K. Von Fish e N. Tinberg naque l’etologia, disciplina che si dedica allo studio dei comportamenti degli animali, soprattutto alle differenze tra comportamenti istintivi e appresi, la possibile derivazione genetica dei comportamenti e il comportamento comparato con altre specie. Le condizioni precarie che l’asino ha dovuto sopportare nei secoli gli hanno conferito il carattere che ha oggi: – è paziente. – è pacifico. – è attento (perchè se non badava lui a se stesso e a dove metteva i piedi, nessun’altro se ne preoccupava di sicuro). – è intelligente (riflessivo più di un cavallo). Basta fare un piccolo sforzo di immaginazione per capire che tante delle esperienze dell’asino nei secoli erano vissute a bastonate e morsi alle orecchie, quindi come può reagire ad un bambino che vuole solo giocarci insieme, con rispetto? E’ interessante scoprire, frequentando un somaro per qualche tempo, che prima di scalciare lo anticipa con colpi di coda, poi picchia in terra i piedi e solo se a questo punto si insiste magari il calcio arriva, ma piuttosto che scalciare preferisce solitamente allontanarsi di qualche passo. Per capire l’asino bisogna fare uno sforzo e accettare il principio fondamentale secondo cui se l’uomo è più intelligente, toccherà a lui scendere al livello dell’asino per comunicare: già lo facciamo coi bambini piccoli, imitando il loro modo di parlare li agevoliamo per essergli più vicini e permettergli di comunicare meglio con noi. Se avrete la fortuna di conoscere un asino vi accorgerete che sarà sempre meno cosciente l’intervento per pensare come lui. Somaro attento.Gli asini comunicano attraverso il linguaggio del corpo: la mimica, la posizione della coda, i versi, i movimenti del corpo, delle zampe e delle orecchie (orecchie abbasssate all’indietro sono cattivo segno, alte e ritte sono segno di attenzione e curiosità)…

Allo stato selvatico gli asini vivono in famiglie non troppo numerose composte dalle madri coi rispettivi piccoli (nascono più spesso femmine). Lo stallone tollera i giovani maschi nel branco, ma, quando ai primi calori iniziano a interessarsi alle femmine e a lottare tra loro o a sfidarlo, li caccia; spesso gli allontanati formano branchi separati. Sono dotati di un ampio repertorio di comportamenti sociali, e il branco non è guidato dallo stallone come tra i cavalli, ma dall’asina più saggia, spesso la più anziana.

L’asino selvatico vive in luoghi pietrosi e desertici con scarsa vegetazione (per questo mangia anche i rovi, anche con le spine) spesso son costretti dal clima anche a periodiche migrazioni. In alcuni esemplari si può notare una riserva di grasso che va dalla nuca alla coda che come le gobbe dei cammelli serve per fare scorte d’acqua per le traversate di zone aride. Se l’appellativo “ASINO” si riferisce ad una personalità libera, indipendente, non influenzabile, ad una natura che non si lascia sottomettere e dominare, se “ASINO” è il nomignolo che si attribuisce a chi manifesta un comportamento che non si lascia addomesticare, beh allora dare dell’ASINO a qualcuno dovrebbe essere un complimento.

VETERINARIAL'arte della mascalcia si applica anche al piede nudo degli asini. (se fosse ferrato non sarebbe somaro…)

Le uniche cure di cui necessita sono quelle del maniscalco per la pareggiatura degli zoccoli e quelle del veterinario per le vaccinazioni e per la svermatura. Magari una limata ai denti ogni tanto per pareggiarli, dato che sono in crescita continua. Animale robusto, difficilmente dimostra sofferenza, bisogna osservarlo attentamente, magari quando mangia, per capire se ha problemi.

http://www.asinofenice.it

Capre Tibetane

Nome comune: Capretta tibetana Nome scientifico: Capra hircus domestica Paese d’origine: Ande peruviane e cilene Morfologia: Piccolo ruminante alto circa quaranta centimetri al garrese, mantello folto e duro di vari colori. I maschi presentano corna robuste, pizzo ed odore caratteristico intenso. Alimentazione: Fieno, erba, cereali, come tutte le capre ama il sale Riproduzione: Le femmine raggiungono la maturità sessuale a sei mesi, partoriscono dopo 21 settimane circa due, raramente tre capretti subito attivi Allevamento: In recinto con piccola stalla per la notte e l’inverno. Le femmine sono decisamente più facili da gestire, i maschi sono talvolta un po’ aggressivi Consigli: Evitate i maschi a meno che non vogliate vedere l’accoppiamento ed i capretti. Per risolvere il problema dell’odore intenso l’unica possibilità è la sterilizzazione Se potessimo disporre della macchina del tempo e viaggiare sulle montagne dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa settentrionale di qualche migliaio d’anni fa vedremmo che erano popolate da branchi di piccoli ruminanti, agilissimi e capaci di arrampicarsi senza difficoltà sui dirupi più scoscesi. I nostri antenati diedero a questi mammiferi, progenitori di tutte le capre domestiche, il nome di Egagri o Capre del bezoar a causa della concrezione presente nel loro stomaco, per lungo tempo considerata medicamentosa, detta appunto bezoar o belzoar. Dall’Egagro o da una specie selvatica simile detta Capra prisca, si pensa siano derivate tutte le razze di capre domestiche grandi e piccole oggi allevate dall’uomo. Si tratta di animali che, pur nella domesticità, hanno conservato alcuni caratteri peculiari dei loro antenati come la combattività, l’agilità e l’adattabilità a condizioni alimentari estreme e, comunque, improponibili per tutti gli altri ruminanti. Particolarmente docili, simpatiche e robustissime sono le caprette nane del Tibet, oggi presenti in tutti gli zooparchi come attrazione per i piccoli ed i meno piccoli, che difficilmente ne possono ignorare la sfacciata invadenza. Le piccole capre tibetane, fatte salve le dimensioni, si presentano con la tipica struttura morfologica di una capra tradizionale, pelame più lungo e folto, corna possenti e un pizzo arrogante nel maschio. Come tutte la capre si affezionano morbosamente a chi le accudisce e, le femmine soprattutto, diventano particolarmente ossessive nel loro attaccamento fino a piangere e disperarsi se vengono lasciate sole. Allevare in un giardino le caprette tibetane è facilissimo, occorre solo ricordarsi che, per la capra gli arbusti ornamentali sono cibo e nulla più. Si deve quindi disporre di un piccolo appezzamento di terra recintato con una stalla-casetta in legno ben coibentata per l’inverno, si deve anche prevedere un mini fienile nel quale conservare all’asciutto il fieno che rappresenta, insieme ad altri prodotti di natura vegetale, la base dell’alimentazione della capra. Trovare sul mercato i capretti di un paio di mesi è facilissimo, sono reperibili sia nelle fiere del bestiame che si svolgono un po’ dovunque nelle nostre campagne, sia su ordinazione in qualsiasi negozio specializzato. Si tratta sempre di animali bellissimi e dolcissimi che si presentano come miniature dell’adulto di cui possiedono già l’agilità e la simpatia. In pochi mesi raggiungono le dimensioni definitive che, in ogni caso, non superano quasi mai i quaranta-cinquanta centimetri al garrese, cioè alla spalla. Come tutte le capre sono curiose e addentano un po’ tutto, chi pensasse quindi di lasciare che vaghino libere in giardino si troverà presto le aiuole ridotte a dune sahariane. Maschio o femmina? Sicuramente femmina, il maschio, una volta raggiunta la maturità sessuale, manifesta una inevitabile e devastante caratteristica negativa: il classico puzzo di caprone che è veramente intenso ed insostenibile anche per i più tolleranti. Chi volesse nonostante tutto tenere un maschietto farà bene a ricorrere all’intervento del veterinario che, chirurgicamente, rimuoverà la causa prima del cattivo odore rendendo però l’animale inidoneo alla riproduzione. Chi a tutti i costi desiderasse allevare un maschio intero, ovvero sessualmente attivo per farlo riprodurre, dovrà rassegnarsi all’ammorbante olezzo o, in alternativa, volendo far coprire la propria femmina, potrà ricorrere ad un maschietto in prestito lasciando ad altri il tormento olfattivo. Le caprette tibetane raggiungono la maturità sessuale sui sei %u2013 sette mesi e presentano una serie di cicli da settembre a gennaio, partoriscono dopo ventuno-ventidue settimane uno o due capretti vivacissimi, mobilissimi e subito in grado di attaccarsi ai capezzoli. Robustissime e frugali le piccole tibetane resistono bene agli inverni anche rigidi, sono facili da alimentare e raramente si ammalano, ovviamente richiedono un minimo di attenzione per quanto riguarda soprattutto l’alimentazione che deve essere limitata a foraggio di buona qualità integrato con poca frutta o verdure. di: Dr. Michele Venneri Per Approfondimenti è disponibile un libro on-line visionabile QUI

Greyound levriero inglese

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Greyound levriero inglese, nati per correre… Greyound, il nome: due sono le ipotesi che possono spiegare questo nome: la prima fa riferimento alle origini greche di questo levriero (grec > grey); la seconda al Chien Gris de Saint Louis antenato di numerosi segugi francesi e britannici. Nazionalità: Gran Bretagna Impieghi tradizionali: caccia e corse (coursing e racing) Possibili utilizzi: compagnia, pet therapy, agility Classificazione: cane dolicomorfo di tipo graiode (secondo la classificazione di Paul Mègnin). Classificazione F.C.I. Gruppo 10 (Levrieri), sezione 3 (Levrieri a pelo raso). Origine: Le origini del Greyhound si perdono nella notte dei tempi. Si pensa derivi dai levrieri orientali: è raffigurato in alcuni graffiti della regione sahariana risalenti all’età neolitica e ricorda il Tesem egizio, il cane longilineo sovente rappresentato su manufatti e bassorilievi dell’antico Egitto. Alcuni pensano che sia giunto in Europa nell’antichità, ad opera dei Fenici, secondo altri il suo arrivo in continente risale al medioevo delle crociate (XII/ XIII sec.) portato dai cavalieri di ritorno dall’oriente. Quel che è certo è che abbiamo numerose immagini (soprattutto arazzi e dipinti) risalenti all’Europa del XVI secolo. Numerosi artisti, tra cui il celebre Brügel il Vecchio (1525.1569) ritrassero questi nobili segugi chiamati “Levrieri di Bretagna”. Proprio agli inglesi si deve la selezione del Greyhound moderno Dapprima lo utilizzarono per la caccia a lepri e conigli selvatici abbondanti che devastavano I raccolti, poi nel XVI , sotto il regno della regina Elisabetta I (che amava molto questi cani) la generica “caccia alla lepre” fu trasformata in sport . Il duca di Norfolk, infatti, stabilì le regole del coursing ovvero l’inseguimento di una lepre viva da parte di una coppia di levrieri. Le corse dei levrieri rimasero appannaggio esclusivo della nobiltà fino agli anni ’20 quando un americano, Charles Munn perfezionò la “lepre meccanica”. Con la lepre meccanica nacque il racing, il tipo di corsa a cui ancora oggi possiamo assistere nei cinodromi. I levrieri non gareggiano più in coppia, bensì in batteria e il pubblico può scommettere sul vincitore. Si tratta di un passatempo molto popolare nei paesi anglosassoni, meno nell’Europa continentale. Standard: (FCI n. 158/b- 24 giugno 1987) Aspetto Generale: Costruzione forte, imponente, con proporzioni generose, buona potenza muscolare e struttura simmetrica, con testa e collo lunghi, spalle proporzionate e ben inclinate, torace profondo, tronco spazioso, lombi arcuati, posteriore e anteriore possenti, arti e piedi solidi, l’elasticità degli arti mette in rilievo le doti distintive della razza. Caratteristiche: Notevole vigore e resistenza. Temperamento: Intelligente dolce, affettuoso, ed equilibrato. Testa e cranio: Lunga di moderata larghezza, cranio piatto, stop poco marcato. Mascelle potenti e ben cesellate. Orecchie: Piccole, fini, ed a “rosa”. Bocca: Mascelle robuste. Dentatura perfetta, regolare, completa chiusura a forbice, cioè non incisivi superiori del tutto sovrapposti a quelli inferiori e perpendicolari alle mascelle stesse. Collo: Lungo e muscoloso, elegantemente arcuato, ben inserito nelle spalle. Anteriore: Spalle oblique, ben inclinate all’indietro, muscolose senza essere pesanti, con scapole strette e ben definite. Braccia lunghe e diritte, con buona ossatura sia per consistenza che compattezza. Gomiti sciolti e ben posizionati sotto le spalle. Metacarpi di lunghezza moderata, leggermente inclinati. Gomiti, metacarpi e piedi in appiombo. Tronco: Torace disceso e profondo, di buona capacità per dare adeguato spazio al cuore. Coste lunghe, ben cerchiate e inclinate. Fianchi scavati. Dorso piuttosto lungo, largo, squadrato. Lombi possenti, leggermente convessi. Posteriore: Cosce e gambe larghe e muscolose, capaci di grande potenza propulsiva. Articolazione femoro-tibiale ben angolata. Garretti bassi e in appiombo. Il disegno del tronco e degli arti posteriori è di ampie proporzioni e ben compatto, con ampia base d’appoggio. Piedi: Di lunghezza moderata, con dita compatte e ben arcuate, cuscinetti plantari spessi. Coda: Lunga, inserita piuttosto bassa, grossa alla radice, si assottiglia verso l’estremità. E’ portata bassa e leggermente ricurva. Andatura: Falcata sciolta, diritta, radente, allungata, che consente di coprire molto terreno a grande velocità. Gli arti posteriori sono portati ben sotto il tronco ed hanno una grande capacitò di propulsione. Mantello: Pelo fine e compatto. Colore: Nero, bianco, rosso, blu, fulvo, daino, tigrato; ognuno di questi con o senza bianco. Altezza: Altezza ideale: cm 71-76 per I maschi, cm 68-71 per le femmine. Difetti: Ogni deviazione dello standard è da considerarsi un difetto che va penalizzato secondo la gravità. Nota: I maschi devono avere due testicoli di aspetto normale, ben discesi nello scroto. Carattere Calmo,dolce, riservato con gli estranei, equilibrato, discreto nelle sue manifestazioni di affetto dimostra il suo attaccamento al padrone, con sguardi, colpetti dati con la zampa o appoggiando il muso sulle ginocchia del suo amico umano. Amichevole con gli altri cani è però da tener d’occhio in presenza di animali di piccola taglia (conigli, gatti, piccoli cani) in cui potrebbe identificare delle prede. Ciò non toglie che in molti casi, è possibile abituarli alla convivenza con il gatto di casa . Il levriero inglese a pelo raso abbaia pochissimo e adora viaggiare in auto. Il Greyhound, pulito e quasi inodore, è un ottimo cane d’appartamento ( a patto che gli si assicuri un adeguato movimento), apprezza le comodità ed è molto pigro tra le mura domestiche rimanendo però pronto a scattare alla vista di una possibile preda. E’ consigliabile tenerlo sempre al guinzaglio in prossimità di strade in quanto preso dalla foga dell’inseguimento (non dimentichiamo che può raggiungere una velocità compresa tra I 60 e gli 80 Km/h !) potrebbe non accorgersi delle automobili in arrivo, sganciatelo solo in parchi e spazi sufficientemente aperti. E’ adatto a chi: vuole un amico discreto e desidera instaurare un rapporto paritario con il proprio cane. Il Greyhound non è adatto a chi desidera l’obbedienza cieca dal proprio cane, vi obbedirà solo se lo riterrà giusto. Note: nei paesi anglosassoni, dove il racing è molto diffuso, è pratica comune dare in adozione a privati I cani che hanno terminato la loro carriera agonistica, dando loro la possibiltà di ricevere l’affetto e le coccole che non hanno potuto ricevere in precedenza. Questi Greyhound, dalla morfologia leggermente diversa dal tipo da esposizione, si adattano rapidamente alle loro nuove vite. In Italia è possibile adottare I cani del cinodromo di Roma. Salute I Greyhound sono cani fondamentalmente sani e non soffrono di molti delle malattie ereditarie comuni in altre razze (per esempio displasia dell’anca è molto rara negli individui di questa razza). Ciò detto bisogna ricordare che I Greyhound (e I levrieri in genere) sono particolarmente sensibili agli anestetici e all’ipertermia. Per maggiori informazioni sulla salute del Greyhound visitate la sezione veterinaria del sito www.adopt-a-greyhound.org Hanno scritto: “A molti il levriero provoca un senso di disagio perché non sembra il buon vecchio Fido del focolare domestico ma un cane aristocratico, distante. In effetti lo è. L’aristocrazia è nel blasone. Però il suo darsi arie non è debolezza umana, o se volete, debolezza canina, ma prerogativa genetica. Macchina superspecializzata nella caccia alla corsa, è difficile da confondere con le altre razze di cani. […] E’ un cane, ma con sue proprie peculiarità. Non c’è un pezzettino in lui, che non sia in funzione di ciò per cui è stato realizzato. Nessun altro cane ha I suoi occhi, fatti per vedere la preda anche da chilometri di distanza. Nessun altro cane ha le sue gambe, fatte per correre a una velocità che oscilla fra I 60 e gli 80 chilometri all’ora. Nessun altro cane ha il suo tronco, che è ridotto all’essenziale come si conviene a una macchina da corsa. […].E’ un cane, e come tutti I cani ha con l’uomo rapporti di infinita disponibilità. Ma chi gli rimprovera di non essere il buon vecchio Fido che scodinzolando porta il giornale fra I denti deve solo incolpare se stesso. E’ nella corsa che il levriero esprime la propria intelligenza di lupo. E’ sapienza delle gambe, è ansia di predazione, e’ determinazione nell’affondare I denti nel corpo della preda. Perché il levriero, come il lupo, non fa prigionieri, la sua pulsione è uccidere. A vederlo, con quel corpo di vetro, proprio non sembra un lupo. Eppure, per altri aspetti, ne è l’esaltazione. In Leonardi, R. “Contropelo”, ed. Frontiera. ADOTTARE UN LEVRIERO PERCHÉ ADOTTARE PROPRIO UN LEVERIERO?
Perchè scegliere un levriero?E’ difficile far capire che cosa si prova ad avere in casa un levriero, è difficile spiegare le senzazioni che ti fa provare, e soprattutto è difficile che la gente ti creda. Siamo “di parte” è inevitabile, ma la cosa più bella è che quando “provano” un levriero ti dicono: “avevi ragione, siamo letteralmente conquistati la lui/lei, è come se fosse cresciuto in casa nostra, come se fosse stato con noi da sempre”. Per noi è routine, splendida routine, che non tutti capiscono, anzi spesso ci prendono come dei mitomani, invasati che raccontano “favole”, eppure, quando toccano con mano un’adozione di un levriero, ci danno ragione, e divulgano il nostro progetto di Adozioni Levrieri GACI, con naturalità.

Il levriero, purezza di forme, plasticità, perfezione di linee, pulizia ed eleganza, un mondo silenzioso, cauto, riservato ed estremamente affascinante. Sono creature diverse, sembrano quasi “alieni”, perchè al di fuori dal loro aspetto molto diverso dai cani comuni, i levrieri si differenziano anche per il loro carattere, per le loro caratteristiche fisiche e metaboliche…per il loro modo di vivere con noi.

Opportunisti per eccellenza, pigri, ladri scaltri e silenziosi, nati “liberi di cuore”, con sempre una vena malinconica nei loro occhi, come se stessero aspettando un qualcosa che nessuno è in grado vedere, forse una libertà “vecchia, passata” fatta di gloria e potenza….ormai dimenticata dalla cattiveria ed egoismo umano.

“Sorprendenti levrieri”….. Pensare che li prendiamo tutti da ambienti dove per un verso, o per l’altro, li hanno sfruttati come atleti, o cacciatori, dove non li hanno mai scoperti del tutto, mai capiti, ma solo demoliti fisicamente e psicologicamente. Il bello del levriero non è solo estetica, ma quello che hanno da offrirti, il loro cuore, sono la sintesi di una moltitudine di sfumature che ti rapiscono per sempre. Sensibili, miti, devoti, silenziosi, puliti e tanto intelligenti….sì. perchè l’intelligenza non si misura a prendere una pallina lanciata da noi…l’intelligenza sta nell’adattarsi ad un ambiente nuovo, capire gli umori le regole di una famiglia, captare i momenti i tempi, le emozioni. Il mondo dei levrieri è un mondo “diverso”, sono quasi l’incrocio meraviglioso tra il cane e il gatto e quello che ne viene fuori è l’esseza pura…il levriero, un’animale che nei secoli si è adattato a noi in climi e ambienti diversi, e noi l’abbiamo “dimenticato” Il levriero compagno dell’uomo da millenni, è forse la creatura che ci conosce meglio nelle nostre debolezze e cattiverie, per questo continua a subire da noi senza mai, purtroppo essere aggressivo o ribelle.

Adottare un levriero, non è da tutti, sono cani che spesso vengono scambiati come cani tristi, apatici, poco intelligenti….snob… Non vogliamo che sia un cane “di moda”, il levriero si deve amare, scoprire così com’è…tanto da non riuscirne più a fare a meno.

Noi del GACI li recuperiamo da vite in gabbia, dove l’unico contatto umano è per cacciare o correre…poi improvvisamente, gli apriamo un box su un furgone e ve li consegniamo, diamo il via alla loro nuova vita, …..queste spaesate creature vengono letteralmente avvolti dalle vostre braccia, per la prima volta….e qui scatta la magia. Magia levriera, cani che sbocciano nelle vostre case, tra i vostri famigliari che conquistano anche i più duri e scettici. I levrieri, in particolare quelli recuperati, ci studiano, ci spogliano, perchè loro devono capire se si devono fidarsi per poi finalmente vivere.

Creature con una sensibilità incredibile, custodi di bambini o anziani senza che mai nessuno gli l’ha mai insegnato nulla, e questo da subito, dal momento che sentono di essere finalmente al sicuro. Recuperati in discariche con ancora sul corpo i segni di un passato terribile, ma pronti a dare un’altra occasione, perchè loro sono diversi, loro non sono umani. Un levriero te lo devi meritare, lo devi amare, capire e non solo lodare esteticamente, un levriero si concede solo a chi ha saputo farsi leggere il cuore.

La nostra missione che da anni promoviamo qui in Italia, è quella di far conoscere questo magico mondo, centinaia di famiglie ci hanno dato fiducia, hanno visto le testimonianze sul nostro sito, hanno provato questa esperienza, e adesso sono felici, ma per coronare questa esperienza si sono fatti consigliare e non solo hanno “scelto quello che più era più bello o più colorato”.

Il nostro compito, il nostro lavoro lo sappiamo fare molto bene, e abbiamo da ANNI testato centinaia di levrieri, e di famiglie. Fatevi consigliere anche su quale levriero è meglio per casa vostra, in base alle vostre abitudini, ai vostri ambienti, ai vostri componenti di casa….noi non abbiamo una vetrina dove scegliere come in un supermercato, noi diamo creature con cuore ed emozioni, e soprattutto siamo molto seri , scrupolosi e severi in quello che facciamo, perchè li conosciamo bene e non vogliamo ancora deluderli, non se lo meritano!

Se non siete pronti o avete dubbi, non siete fatti per stare con un levriero, lui ha bisogno di voi e senza limitazioni, non siete pronti a far parte del mondo del GACI. Se volete un levriero per “abbandonarlo” in giardino, o per lasciarlo spesso solo e senza attenzioni….allora, mai scoprirete veramente cosa vi può offrire questa creatura, ma vi mostrerà solo il peggio di lei diventando impossibile la convivenza.

Adotta un levriero, ma solo se sei pronto ad entrare in questo strano mondo silenzioso, e soprattutto pensaci, 1000 volte +1

GACI- Greyhound Adopt Center Italy ADOZIONI LEVRIERI ITALIA La nostra forza e serietà la vedi nelle nostre TESTIMONIANZE di ADOZIONI

www.adozionilevrieri.it

Il cavallo della giara

Il cavallo della giara

cavallo giara
Il Cavallo della Giara deve il suo nome al toponimo che designa in Sardegna un altopiano dove vive allo stato brado. L’Altopiano della Giara è di origine vulcanica dai ripidi versanti che rendono difficili i collegamenti con i terreni vallivi, che si estende per 4.500 ettari ad una altitudine tra 1.500 e 1.600 metri nel comprensorio dei Comuni di Genoni, Gesturi, Tuili e Setzu, nella Sardegna centro meridionale. Il clima di tipo mediterraneo presenta precipitazioni prevalenti nelle stagioni autunnale e invernale ed aridità estiva e inizio autunnale unita ad un’alta ventosità. Cavallo di tipo mesodolicomorfo di dimensioni ridotte, con testa solitamente gentile ed espressiva, con occhi tipicamente a mandorla, collo forte e ricco di crini, groppa tendente al corto, coda con folti crini, cosce muscolose ed arti sottili con appiombo regolare. Il mantello è prevalentemente baio, con presenza di soggetti baio scuri e, con frequenza minore, morelli e sauri. Rarissime le balzane e le macchie a sede fissa della testa. La prima testimonianza storica della presenza di cavalli allo stato brado in Sardegna risale al 1540 e documenti successivi raccontano la esistenza nel 1700 di numerose mandrie selvatiche. È lecito ipotizzare che l’eterogeneità allora presente nelle mandrie brade dell’isola abbia caratterizzato la popolazione fondatrice dell’attuale cavallino della Giara, eterogeneità morfologica che si e mantenuta fino ad oggi. L’ambiente in cui vivono i cavalli è caratterizzato da pascoli naturali e copertura boschiva con presenza di sughere, lecci, roverelle ed arbustive tipiche della macchia mediterranea. Negli ultimi 25 anni la popolazione sembra essere oscillata tra 1.500 e 1.900 capi. Fino agli anni 1950 pressoché l’intera popolazione veniva annualmente condotta a valle per la marchiatura e il prelievo di alcuni soggetti che venivano utilizzati nei lavori agricoli. Definitivamente soppiantati dalle macchine agricole, negli anni ’60 venivano invece macellati e impiegati per la sella. Nel 1976 si costituita l’Associazione del Cavallo Sardo della Giara che si propone di salvaguardare il Cavallo nel suo ambiente naturale e di valorizzarne l’utilizzo come cavalcatura pony.    

RISCHIO ESTINZIONE

I circa 600 cavallini che vivono nella Giara del Gesturi sono a rischio denutrizione. Le foto scattate in queste ultime settimane ci mostrano la gravità della situazione: sul dorso dei cavallini si intravedono le costole. Sono piccoli e fragili, cercano invano un po’ d’erba che non c’è perché ormai da mesi sulla Giara di Gesturi, nella Sardegna del Sud, provincia del Medio Campidano, non piove. I cavallini stanno vagando senza energie sui circa 4 mila ettari dell’altipiano contendendosi quel po’ di cibo che è rimasto con mucche brade, apparentemente senza padroni.

FACEBOOK SI MOBILITA

Le immagini che ritraggono le condizioni degli animali denutriti pubblicate su Facebook e corredate da un appello: non una raccolta di denaro, difficile da gestire, piuttosto offerte di fieno, avena e foraggio. In questi giorni le prime balle donate dagli allevatori del posto sono state distribuite grazie al lavoro di volontari e una cooperativa che vigila sulla Giara. Una catena che ha coinvolto centinaia di persone accomunate dal desiderio di aiutare i cavallini, con interventi anche da oltre Tirreno. Sarebbe bello che dalla Fieracavalli di Verona, che si apre giovedì e che dà sempre tanto spazio alle razze italiane, venisse un contributo reale per salvare questi cavallini sardi.  

IL PASCOLO CONTESO

La sopravvivenza dei cavallini è legata alla coabitazione forzata con i bovini che sono allevati allo stato brado. La Regione segue con attenzione la vicenda legata allo stato di salute dei Cavallini della Giara e, dopo avere già gettato le basi per un progetto di salvaguardia (già dallo scorso agosto con un’ordinanza il comune di Gesturi ha sancito la necessità della cattura delle muccheanche per «fronteggiare lo stato di emergenza sanitaria e di igiene pubblica, a preservare il mantenimento di un livello elevato di tutela della salute animale e umana, e a salvaguardare lo stato di salute e di benessere dei cavallini della Giara».) che coinvolgerà anche altri enti e amministrazioni locali, aggiunge al programma un sopralluogo per verificarne direttamente sul posto le effettive condizioni.

COME AIUTARE

Chiunque fosse interessato ad offrire del fieno o del foraggio, può farlo telefonando al seguente numero:  388 16 42 358  (lun/ven dalle 8 alle 20).

Canarini

Il Canarino (Serinus canaria) è un piccolo uccello da canto che è membro della famiglia dei fringuelli. Questo uccello è originario dell’isola di Madeira e delle Canarie, dalle quali prende il nome, anche se il nome di queste isole deriva a sua volta dal termine latino “cannariae” (cane), datogli dagli antichi romani per via dei numerosi cani selvatici che le abitavano. Il suo habitat è costituito da aree semi-aperte come frutteti o sottobosco, dove nidifica nei caespugli o sugli alberi. La varietà selvatica è di colore giallo-verde, con striature sul dorso. Con circa 13 cm di lunghezza, è più grosso e meno contrastato del Verzellino (Serinus serinus), ed ha più grigio e marrone nel suo piumaggio. Il suo canto è un cinguettare argenteo, come quello del Cardellino (Carduelis Carduelis). I canarini sono popolari uccelli da gabbia, e ne sono state prodotte razze di diverse tonalità. I moderni canarini domestici variano in colore dal praticamente bianco, passando per ilcrema chiaro, oro, giallo acceso, arancio fino al rosa-arancio. Tenere dei canarini, per il loro aspetto e il loro canto, è una tradizione vecchia di secoli. I canarini erano un tempo regolarmente usati nelle miniere di carbone, come primitivo sistema di allarme. La presenza di gas tossici nelle miniere, come il monossido di carbonio, avrebbe ucciso i canarini prima ancora di avere effetto sui minatori. Poiché i canarini tendono a cantare per gran parte del tempo, fornivano a questo scopo un segnale visibile e udibile. L’uso dei canarini nelle miniere britanniche non venne abbandonato prima del 1986. I canarini sono spesso ritratti nei cartoni animati, dove vengono molestati dai gatti domestici; il più famoso canarino dei cartoni animati è Titti. Con il nome canarino comprendiamo tutte le razze che l’uomo con secoli di allevamento ha derivato dall’originario canarino selvatico. Sembra che la storia del canarino domestico inizi nel 1402 con la conquista dell’arcipelago delle Canarie ad opera degli Spagnoli i quali conobbero e apprezzarono subito questo grazioso uccellino sia per il suo canto notevole sia per la facilità con cui si abituava alla vita captiva. Il minuscolo alato, denominato “canario” dagli iberici (canarino in italiano),divenne in breve tempo oggetto di un florido commercio e si diffuse pian piano in tutta Europa. I primi canarini si trovavano solo presso i ricchi a causa del loro costo elevato in seguito, la canaricoltura si estese anche alle classi meno agiate. Dalla Spagna il canarino si diffuse ben presto in Olanda, Italia e Inghilterra. Nel secolo passato la maggiore diffusione del canarino si ebbe in Germania specialmente in Sassonia (da cui la denominazione “canarino sassone”). Oggi come tutti sanno il canarino, con le sue numerosissime razze, è il volatile da gabbia più diffuso al mondo. L’ALIMENTAZIONE I canarini vanno nutriti con una miscela di semi, regolarmente integrata con sostanze vegetali come la verdura e la frutta, con minerali e con un alimento di particolare valore proteico. Nei canarini da canto la tecnica di alimentazione e’ strettamente connessa con la produzione di valenti cantori. La formula d’una miscela idonea dei canarini da canto e’ la seguente: Ravizzone……..60% Scagliola……..20% Canapa…………5% Niger………….5% Avena………….5% Papavero……….3% Lino…………..1% Lattuga………..1% Durante il periodo di addestramento al canto dei giovani maschi bisogna pero’ somministrare per circa un mese esclusivamente del Ravizzone, con dell’aggiunta, un paio di volte la settimana, d’una miscela di altri semi che puo’ essere la seguente: Scagliola……..50% Canapa………..10% Niger…………10% Avena…………10% Papavero……….8% Lino…………..6% Lattuga………..6% Per tutti gli altri canarini potra’ essere usata la seguente: Scagliola……..35% Niger…………20% Panico………..10% Ravizzone……..10% Avena…………10% Canapa…………5% Lino…………..5% Cardo………….5% Due o tre volte la settimana sara’ opportuno somministrare in separata mangiatoia una piccola dose di un’altra miscela composta in parti uguali di grani di lattuga, cicoria e papavero. Questi semi sono considerati condizionatori, servono cioe’ a mantenere i canarini nella fomra migliore durante tutto l’anno e soprattutto nel periodo della riproduzione. E’ anche bene appendere nella gabbia una spiga di panico dalla quale gli uccelletti spiccheranno i semi con particolare piacere. I semi sono l’alimento base dei canarini ma non deve essere considerato l’unico. Tutti gli uccelli granivori hanno bisogno regolarmente di sostanze vegetali fresche. Le verdure piu’ gradite dai canarini sono: lattuga, cicoria, scarola, cavolo, broccolo, spinaci, indivia, radicchio. Esistono pero’ degli altri ortaggi molto graditi da questi uccelli, come: fave e piselli freschi e dolci, cetriolo freso, pomodoro maturo, carota. E’ bene somministrare ai canarini anche dei pezzetti di aglio e di cipolla, che avendo notevoli proprieta’ anti fermentative e acaricide, giovano molto alla salute. Le verdure vanno somministrate ben lavate e accuratamente asciugate, perche’ i vegetali intrinsi d’acqua possono causare disturbi intestinali. Per quanto riguarda la frutta, la mela e’ la piu’ indicata e gradita da tutti i canarini, ma ugualmente accetti possono risultare gli altri frutti di stagione. Ogni tipo di frutta va somministarto in piccole porzioni tali da essere consumate prima che vadino a deteriorarsi. E’ consigliabile somministrare ai canarini una o due volte la settimana una fettina di rosso d’uovo sodo oppure fornire loro giornalmente del biscotto all’uovo. I canarini nel periodo della riproduzione, necessitano di maggiori sostanze proteiche sia per essi sia per la prole che devono imbeccare. A questi soggetti bisogna fornire un pastone apposito, il cosidetto pastoncino all’uovo, che molti allevatori preferiscono confezionare in casa. La ricetta e’ la seguente: mescolare amalgamando bene parti uguali di rosso d’uovo sodo e biscotto polverizzato con l’aggiunta di carota grattuggiata, bagnare il tutto con qualche goccia di succo di mela. Il pastone deve risultare soffice e moderatamente umido; per le razze molto selezionate e’ opportuno arricchirlo con l’aggiunta di un pizzico di sali minerali ed eventualmente con un po’ di omogeneizzato carneo vitaminizzato del tipo in uso per lo svezzamento dei bambini. La preparazione deve essere giornaliera perche’ il composto si deteriora facilmente. Tutti i canarini, durante l’anno, dovranno disporre di integrativi minerali, tra cui l’osso di seppia. Ma importanti sono pure i sali minerali e ancora piu’ importante e’ il grit, costituito da un insieme di piccoli corpi duri insolubili che gli uccelli ingoiano per facilitare la triturazione del cibo. Nelle localita’ dove l’acqua potabile non e’ ottima, sara’ bene fare uso di un filtro oppure sostituirla con acqua minerale non gassata. E’ buona abitudine aggiungere all’acqua da bere delle sostanze che giovano alla salute degli uccelli, cioe’ succo di limone, aglio e bicarbonato di sodio. Una volta la settimana si aggiunga all’acqua, nella dose di 5 gr per litro, del bicarbonato di sodio che e’ un regolatore delle funzioni digestive, e gli altri sei giorni si ponga nell’acqua alternativamente alcune goccie di succo di limone che fungono da disinfettante, facilitando la digestione e un pezzo di spicchio d’aglio dal buon potere disinfettante soprattutto delle vie respiratorie LA RIPRODUZIONE : Per la nidificazione dei canarini bisogna osservare certe regole e adottare determinati accorgimenti. Occorre, anzitutto, assortire la coppia. Per quanto riguarda la natura del piumaggio, ricordare che bisogna unire soggetti a piumaggio intenso e soggetti a piumaggio brinato. In linea generale e’ preferito che sia la femmina ad avere piumaggio brinato. Una volta accoppiati i due volatili bisogna favorire il processo di familiarizzazione, ed e’ buon metodo farli svernare da soli nella medesima gabbia, in modo che abbiano modo di abituarsi uno a l’altro prima degli accoppiamenti. L’inizio delle cove deve avvenire alla fine di Marzo meglio ancora entro Aprile o Maggio. Vi sono allevatori che utilizzano un mashio per piu’ femmine. Si puo’ dire che di norma conviene lasciare uniti maschio e femmina in modo che portino insieme a conclusione il ciclo riproduttivo, cosi’ come si verifica in natura. Alla gabbia da cova si puo’ applicare il porta nido esterno a gabbietta fin dall’immissione della coppia, ma non si deve fornire il materiale destinato all’imbottitura del nido fino a quando la canarina non mostri per chiari segni di volerne iniziare la preparazione. Vi sono canarine che dimostrano di non essere all’altezza di costruire il nido in tal caso l’allevatore deve aiutarla. Puo’ succeder che la femmina inetta distrugga l’opera dell’allevatore disperdendo il materiale; in tal caso si deve ripeter l’operazione fino a quando non avra’ inizio la deposizione delle uova, perche’ a partire da questo momento la canarina pensera’ soltanto a covare e non danneggera’ piu’ il nido. Il numero delle uova depositate varia di regola da 3 a 5, piu’ raramente 2 o 6 o 7; in casi eccezzionali possono venir deposte 8 o 9 uova. L’uovo espulso per primo ha una colorazione piu’ chiara degli altri e viene chiamato “uovo azzurro”. Le femmine tendono a dare inizio alla cova dopo aver deposto il secondo o il terzo uovo, il che rende opportuno, togliere le uova a mano a mano che vengano deposte, sostituendole con uova finte onde evitare una schiusa sfalsata con il rischio che gli ultimi nati vengano sopraffatti dai fratelli al momento dell’imbeccata. Le vere uova devono essere conservate entro una scatoletta imbottita di ovatta e rivoltate ogni giorno per evitare che il tuorlo si decentri rendendo piu’ difficile la futura schiusa. L’incubazione dura tredici giorni, ma puo’ prolungarsi fino a quattorddici quindici giorni se la femmina non e’ stata covatrice assidua o se la temperatura ambientale e’ stata particolarmente bassa. Durante la cova deve essere consentito alla canarina di effettuare il bagno perche’ cio’ serve a mantenere nel nido il grado di umidita’ che e’ necessario per la schiusa. Se la canarina rifiuta il bagno e’ opportuno, un paio di giorni prima della schiusa delle uova, spruzzare lievemente le uova con acqua tiepida. Si tenga presente che le canarine sentono il bisogno d’ una certa penombra; il portanido va quindi schermato mediante un panno verde che ricordi il protettivo schermo della vegetazione. Verso il sesto settimo giorno di icubazione, ponendo le uova contro luce e’ possibile accertare se l’embrione e’ in fase di sviluppo perche’ l’uovo fecondato appare in trasparenza scuro mentre quello infecondo e’ chiaro. I canarini nascono pressocche’ nudi, con gli occhi chiusi. La loro alimentazione sara’ costituita dal pastoncino all’uovo con cui verranno imbaccati i genitori. Per evitare che i genitori non accettino il nuovo alimento, piccole dosi di pastoncino devono essere somministrate ai riproduttori due o tre volte la settimana fin da un mese prima dell’accoppiamento. Il pastoncino all’uovo serve anche a mantenere i rirpoduttori in buone condizioni fisiche e in perfetta forma. Verso il diciottesimo giorno di vita il giovane canarino e’ completamente formato, pur distinguendosi chiaramente dagli adulti. Anche dopo usciti dal nido i piccoli continuano ad ever bisogno dell’imbeccata dei genitori, di regola fino ai venticinque giorni di eta’, con una certa differenza in piu’ o in meno per le razze tardive o precoci. Quasi sempre possono venir separati dai genitori verso il ventiseiesimo – ventottesimo giorno di vita. La femmina raramente completa lo svezzamento della nidiata prima di essere presa dallo stimolo di una nuova nidificazione che insorge verso il diciottesimo – ventesimo giorno dalla schiusa della prima covata. La prole continuera’ ad essere svezzata dal maschio fin quando non sara’ indipendente. Qualora accada che la madre spiumi la prole, e’ necessario dividere in due la gabbia da cova mediante un divisorio a sbarre che tenga i figli da una parte e i genitori dall’altra. Davanti al divisorio si porranno due posatoi sistemati in modo da consenstire i genitori di continuare a imbeccare la prole attraverso le sbarre. Una volta svezzati i nidiacei dovranno essere spostati in una gabbia molto spaziosa che permetta agli stessi di esercitarsi nel volo. E’ saggia norma non permettere alla canarina di effettuare piu’ di due covate l’anno. Per fronteggiare all’inconveniente di un abbandono di una cova, e’ norma precauzionale fare in modo che due o piu’ canarine inizino a covare lo stesso giorno. CANARINO GLOSTER Descrizione generale Il Gloster si può annoverare tra i canarini inglesi di forma e posizione lisci più simpatici e aggraziati. La razza è di origine inglese, di taglia minuta (intorno ai 12 cm) e di corporatura tondeggiante, caratteristiche principali nella razza, alle quali vanno accomunate altre peculiarità che sono sagoma graziosamente arrotondata, piumaggio serico e composto e aderente al corpo, portamento gaio e vivace, ali corte ben aderenti al corpo con punte che s’incontrano, senza incrociarsi appena sopra la base della coda, gambe di media lunghezza, coda corta e ben stretta per tutto il suo sviluppo. Il ciuffo non deve essere troppo piccolo ma nemmeno tanto grande da coprire gli occhi raggiungendo la punta del becco. L’ampiezza ideale dovrebbe stare a metà occhio. Esistono due tipi di gloster, il corona che presenta il ciuffo (netto, regolare, non spezzato, di forma rotonda, che lascia vedere l’occhio) e il consort, senza ciuffo, ma con testa larga e rotonda in ogni punto con vertice bombeggiante. Il piumaggio di questo canarino deve essere folto e ben aderente al corpo. Le tinte preferite sono quelle unite: giallo, bianco, isabella, verde e blu; particolarmente apprezzati i soggetti chiari con il ciuffo e la parte superiore del capo di color scuro. Un buon ciuffo oltre ad essere ben formato deve avere giuste dimensioni. I Gloster hanno canto dolce e melodioso che ricorda quello del Malinois e sono molto prolifici. Alloggio Il gloster può essere alloggiato nelle classiche gabbie per canarini, il più possibile spaziose (55/60 cmdi lunghezza), ottime le gabbie in ferro zincato con fondo estraibile in lamiera o in plastica. La gabbia deve avere la forma di parallelepipedo, assolutamente sconsigliate le gabbie che si sviluppano in altezza e le gabbie circolari. Il fondo deve essere dotato di una griglia in modo da evitare che il canarino venga a contatto con gli escrementi e le muffe che talvolta si possono formare. Il gloster non va mai esposto a sbalzi di temperatura: è un canarino che sopporta molto bene le basse temperature (comunque mai sotto i 5°C) ma rischia di ammalarsi se la gabbia viene spostata repentinamente dal caldo al freddo. Alimentazione La dieta di un Gloster deve comprendere, oltre al misto di semi per canarini, spighe di panico, osso di seppia, mattonella di sali minerali, frutta e verdura da offrire giornalmente, soprattutto mele, carote, pomodori maturi, zucchine, cetrioli, centocchio e tarassaco. L’acqua deve essere offerta fresca ogni giorno. Il pastoncino all’uovo, particolarmente appetito dal Gloster, non deve essere somministrato più di due volete alla settimana, essendo un prodotto molto grasso e proteico. Si deve offrire invece a volontà durante la stagione riproduttiva, insieme ai semi germinati e qualche camola della farina, e nel periodo invernale se i canarini sono alloggiati all’esterno. Riproduzione La stagione riproduttiva inizia verso la fine dell’inverno, generalmente nel mese di marzo. Nell’assortire la coppia è assai importante che solo uno dei due canarini sia corona, perché il gene del ciuffo è di tipo letale e se portato da entrambi i genitori non consente la nascita di soggetti sani e vitali. L’accoppiamento giusto è quindi “corona” x “consort”. Alla coppia va fornito un normale nido per canarini con il materiale per foderarlo (rametti di legno, striscette di stoffa, filamenti di iuta…); la canarina depone in media quattro uova che cova per circa 14 giorni. In genere i Gloster sono ottimi genitori e imbeccano i novelli fino al loro completo svezzamento, che avviene verso i 25-30 giorni di età. FONTI : www.synapsis.it www.inseparabile.com/Uccelli/canarino.htm Da Wikipedia, l’enciclopedia libera http://www.animalinelmondo.com www.best-gloster.com