Pappagallo Ara
Pappagallo Cenerino
- annegamento (bacinelle o pentole piene d’acqua)
- ustioni (caminetti, stufe, fornelli, candele o piastre elettriche accesi)
- folgorazione (fili elettrici)
- avvelenamento (sigarette, farmaci, cioccolata, prodotti per la casa, piccoli oggetti di zinco o piombo)
Pappagallo Amazzone
- Amazzone collaria con gola rosa,
- Amazzone leucocephala di Cuba,
- Amazzone ventralis di Hispaniola,
- Amazzone albifrons con la fronte bianca,
- Amazzone Xantholora con redini gialle,
- Amazzone agilis col becco nero,
- Amazzone vittata di Portorico,
- Amazzone tucumana di Tucuman,
- Amazzone pretrei con gli occhiali rossi,
- Amazzone viridigenanis con redini rosse, di esso vi sono tre specie;
- Amazzone brasiliensis del Brasile,
- Amazzone dufresniana,
- Amazzone rhodocorytha con corona rossa,
- Amazzone festiva,
- Amazzone xanthops con faccia gialla,
- Amazzone barbadensis delle Barbados,
- Amazzone aestiva con fronte azzurra,
- Amazzone auropalliata con la nuca gialla,
- Amazzone ochrocephala con fronte gialla,
- Amazzone oratrix con testa gialla,
- Amazzone amazonica dell’ Amazzonia,
- Amazzone mercenaria coricata,
- Amazzone kawalli, Amazzone farinosa,
- Amazzone vinacea,
- Amazzone versicolor di Santa Lucia,
- Amazzone arausiaca con collo rosso,
- Amazzone guildingii di St. Vincent,
- Amazzone imperialis imperiale.
Allevare il Tacchino
Cennti storici
Il primo a parlare del tacchino, nel 1525, fu lo spagnolo Gonzalèz Fernando de Oviedo, governatore di Hispaniola, nel suo “Summario de la Historia Natural de las Indias Occidentales”: lo descrive qui come una varietà del Pavone, con una coda meno grande del Pavone comune e con una carne ancora più saporita. Proveniente dal Messico, fu introdotto in Spagna intorno al 1520; da qui raggiunse la Francia – dove fu chiamato Pollo d’India (Coq d’Inde, da cui deriva l’attuale Dindon e Dinde) – e poi, in seguito, in tutto il Continente, divenendo sempre più comune. In Inghilterra comparve per la prima volta sotto il regno di Enrico VIII nel 1524; gli storici di quel tempo, credendo che provenisse dai possedimenti turchi dell’Asia Minore, lo chiamarono Gallo Turco (Turkey-cocks) e, per abbreviazione, Turkey, mantenuto fino ad oggi. Fernandez, nel suo “Tesoro di cose nella Nuova Spagna” del 1576, già distingue il tacchino domestico da quello selvatico, ed aggiunge che gli spagnoli ed i portoghesi lo chiamavano “Pavones de las Indias”. Già intorno al 1565, in Francia, in un convento vicino a Bourges i monaci avevano impiantato un allevamento, con soggetti direttamente importati dall’America: si dice anche che il primo tacchino servito a tavola fosse quello delle nozze di Carlo XI con Elisabetta d’Austria il 20 novembre 1570. La prima descrizione scientifica del tacchino è dovuta al naturalista viaggiatore francese Pierre Gilles, edita a Lione nel 1553; a lui seguirono Pierre Belon, sempre francese, che fornì nella sua “Histoire Naturelles des Oiseaux” (Lione, 1555) il primo disegno del tacchino; indi Gesner da Zurigo ed il nostro grande Ulisse Aldrovandi.
I Tacchini che noi oggi conosciamo derivano tutti dai tacchini selvatici del genere “Meleagris”. Si contano sette sottospecie con caratteristiche più o meno simili che vivevano in un’area molto vasta, dal Canada al Messico. Ecco cosa diceva Brehm del tacchino selvatico nel suo lavoro “La Vita Degli Animali” (Torino, 1869):
«Il tacchino vive allo stato selvatico anche al giorno d’oggi, è di una grande bellezza e prolifico assai. Era sparso nei piani dell’America del Nord, particolarmente nell’Arkansas, nell’Illinois, l’Alabama, l’Ohio, Kentucky, l’Indiana, il Missouri e il MissisSipi. I grandi branchi condotti da vecchi maschi i quali sono di una meravigliosa vigilanza che temono del continuo l’insidia, che non cercano il cibo se non quando si vedono rimpiazzati da altri vecchi di ugual tempra. Fanno lunghissimi giri di strada a piedi e possono in un giorno fare tanto cammino quanto ne può fare un robusto cane; in caso di bisogno fanno anche forti voli per oltrepassare corsi di acque. Si nutrono di semi, frutti di alberi, ghiande, bacche, insetti, verdure ed ogni sorta di tuberi che trovano. Sono ghiotti specialmente di lumache e di insalate tenere, e sovente fanno indigestioni pel troppo mangiare. Certi scrittori a torto prendono questo animale come prototipo della collera stupida ed inconscia; ma molti altri lo difendono, ed alcuni americani, come Beniamino Franklin, ebbero a proporre agli Stati Uniti che si mettesse nello stemma nazionale l’emblema del Tacchino in luogo della superba e antisociale aquila; mentre il tacchino è di origine essenzialmente americana”.»
Riporto anche integralmente quello che il grande naturalista G. Buffon (1707 – 1788) scriveva, sia per la sua importanza storica che per la sua pittoresca e scrupolosa descrizione:
«E’ rimarchevole per la grandezza della sua statura come per certe naturali inclinazioni che non gli sono comuni con un piccol numero di altre specie. La sua testa che è molto piccola a proporzione del corpo, è quasi interamente spogliata di piume e solamente coperta, del pari che una parte del collo, di una pelle turchina carica di capezzoli rossi nella parte anteriore del collo e di capezzoli biancastri sulla parte posteriore della testa con alcuni piccioli peli neri sparsi raramente tra i capezzoli e con piume più rare all’alto del collo. Dalla base del collo gli scende sul collo fino ad un terzo circa della sua lunghezza una specie di barba carnosa rossa ondeggiante, composta di una doppia membrana. Sulla base del becco superiore gli si innalza una caruncola carnosa di figura conica e solcata di grinze traversali assai profonde: questa allo stato naturale ha poco più di un pollice, cioè quando il gallo d’India passeggia tranquillamente senza oggetti intorno a lui che lo tormentino; ma se qualche straniero oggetto gli si presenta inaspettatamente, massimo nella stagione degli amori, lascia questo uccello il suo portamento semplice ed umile, si ingalluzza immediatamente con fierezza, la sua testa e il suo collo si gonfiano, la caruncola si spiega, s’allunga e discende due o tre pollici più basso coprendosi il becco interamente; tutte le dette parti carnose si colorano di rosso vivo, nel tempo stesso le piume del collo e del dorso si arruffano, e la coda si alza a guisa di ventaglio, mentre le ali spiegandosi si abbassano fino a trascinarsi a terra. In tale attitudine or va camminando fieramente intorno alle sue femmine, accompagnando la sua azione con un sordo rumore, prodotta dall’aria del petto che esce pel becco, e che è seguito da un lungo sussurro; ora abbandona la sua femmina come per minacciare quelli che lo turbano; e in tal caso la sua andatura è grave, e soltanto si accelera nel momento in cui fa sentire il rumore suddetto; di tempo in tempo egli interrompe siffatto esercizio per gettare un altro grido più forte, e che gli si può, tante volte, far ripetere quanto si vuole o fischiando o facendogli sentire qualsiasi altro tono acuto; egli ricomincia in seguito a far la ruota, la quale esprima ora il suo amore per la femmina, ed ora la sua collera contro quel che non conosce. Ventotto penne si contano in ciascuna delle ali, e diciotto nella coda; egli ha peraltro due code, l’una superiore e l’altra inferiore, la prima formata come sopra di penne grandi piantate intorno al groppone, è quella che l’animale rialza facendo la ruota, la seconda poi consiste in altre penne men grandi e non l’alza dalla sua situazione orizzontale. Due attributi sensibili distinguono il maschio dalla femmina; un mazzetto cioè di crini duri e neri, lungo da 5 a 6 pollici, che gli esce quando è adulto dalla parte inferiore del collo, e l’altro che è uno sperone cha ha a ciascun piede, che è più o meno lungo, ma più corto e spuntato che quel del gallo ordinario. La gallina d’India è diversa dal maschio non solo per gli attributi suddetti, per la caruncola del becco superiore più corta ed incapace di allungarsi e pel rosso più pallido della barba carnosa e della barba glandulosa che le copre la testa, ma eziandio per gli attributi propri del sesso, essendo più piccola, avendo una fisionomia meno caratteristica, con men di forza nell’interno, e men d’azione all’esterno: di più il suo grido non è che un accento lamentevole, i suoi movimenti non sono che per cercare il nutrimento o per fuggire il pericolo; finalmente è priva della facoltà di far la ruota, non già perché non abbia la coda doppia, ma perché manca dei muscoli atti a levare e raddrizzare le penne più grandi (in questo devo purtroppo smentire il Buffon in quanto, come abbiamo detto, anche la femmina saltuariamente fa la ruota, ndr). Un maschio può avere cinque o sei femmina, ove sianvi più maschi, si fanno fra loro la guerra battendosi, non però col furore dei galli ordinari. La femmina non è così feconda coma la gallina ordinaria, non fa essa le uova che una volta all’anno per quindici giorni circa, il suo accoppiamento col maschio non è così breve come quello del gallo, appena ha terminato di far l’uovo che si mette tosto a covare; cova pure le uova di ogni sorta di uccello, basta che abbia il nido in luogo asciutto e nascosto, vi si abbandona ella a questa occupazione con tanto ardore ed assiduità che morrebbe di inazione sulle sue uova se non si avesse la cura di levarla una volta al giorno per darle da bere e da mangiare. Quando il maschio vede a covare la sua femmina cerca di rompervi le uova, riguardandole forse come un ostacolo ai suoi piaceri, il perché essa si nasconde allora con tanta cura. Finito il tempo in cui debbono schiudersi tali uova, i pulcino battono col becco il guscio dell’uovo che li chiude; talvolta ancora per essere il guscio troppo duro, vengono aiutati a romperlo, il che si fa con molta circospezione. Appena schiusi dal guscio, hanno questi pulcini la testa coperta di una specie di lanugine, e non hanno ancora né carne glandulosa, né barba carnosa, parti che si sviluppano in capo a sei settimane o due mesi. La madre li guida con la stessa sollecitudine onde la gallina conduce i suoi; essa li riscalda sotto le proprie ali col medesimo affetto e li difende collo stesso coraggio. Quando questi sono divenuti forti, lasciano la loro madre, o piuttosto ne sono abbandonati, amano andare a pollaio in aria libera, e passano così le notti più fredde dell’inverno or sostenendosi sopra un sol piede, ritirando l’altro nelle piume del loro ventre come per riscaldarlo, ora al contrario annicchiandosi in equilibrio sul lor bastone, per dormire, mettendosi la lor testa sotto l’ala, e durante il loro sonno hanno il moto della respirazione sensibile e notabilissimo. Essi hanno diversi toni e differenti inflessioni di voce secondo l’età e il sesso e secondo le passioni che vogliono esprimere. La loro andatura è lenta e il loro volo pesante, bevono, mangiano ed inghiottiscono dei piccoli sassolini digerendo presso a poco come i galli. Se credesi ai viaggiatori, sono essi originari dell’America e delle isole adiacenti e prima della scoperta di quel nuovo continente essi pure non esistevano nell’antico. I galli d’India selvaggi non sono differenti dai domestici se non perché sono molto più grossi e più neri, del resto essi hanno gli stessi costumi, le stesse naturali inclinazioni, e la medesima stupidità; vanno a pollaio nei boschi sui rami secchi e quando se ne fa cadere qualcuno a colpi di fucile, gli altri se ne restano al lor sito, e non ne vola via neppure uno. Ha questi la carne più dura, e se ne allevano facilmente dovunque trovansi nei parchi e nei boschetti.»
Oggi il Tacchino allo stato selvatico, a causa della caccia di cui è stato oggetto, è diventato molto più raro, anche se si sono tentate reintroduzioni, alcune delle quali andate a buon fine. I Meleagridi sono i più grandi galliformi oggi esistenti.
Molteplici sono le denominazioni volgari con cui esso è stato ed è chiamato; eccone alcune, tratte da una lista ben più lunga riportata nel libro di Savorelli: – Piemonte: Pitu/Pita, ma anche Biru e Bira come pure Dindi e Dinda o Bibin e Bibina. – Veneto: Dindio/Dindia – Brianza: Polin e Pola – Crema: Pulù/Pola – Ravenna: Tachèn e Tachena – Toscana: Lucio o Tacco – Arezzo: Billo/Billa – Roma: Gallinaccio – Cagliari: Dindu e Piocce – Messina: Ciurro e Gaddu d’India
Allevamento
Oca romagnola
Origine, diffusione e caratteristiche economiche
Razza italiana originaria dell’Emilia-Romagna (province Ravenna, Forlì, Bologna e Ferrara). L’attuale Standard Italiano Razze Avicole (1996) propone come nuova denominazione il termine di “Oca Italiana“. L’ oca di Romagna o romagnola, è meglio conosciuta in tutto il mondo col nome di oca di Roma affibiatole dagli avicoltori spagnoli di Barcellona, quando la nostra razza venne presentata in quella città ad una esposizione mondiale nel maggio del 1924. In quell’occasione i visitatori si domandarono se la romagnola appartenesse alla razza che salvò il Campidoglio dalle truppe galliche di Brenno nel lontano 382 a.C. La questione probabilmente non sarà mai chiarita perché Lucrezio sostiene che quelle oche erano bianche, mentre Virgilio le definì argentate… Ma con lo scorrere dei secoli il piumaggio potrebbe aver subito variazioni. Certo è che le oche romagnole possiedono una voce assai acuta e stridula, diversamente dal tono borbottante delle Tolosa, per esempio… Comunque sia, le nostre candide oche romagnole sono sicuramente tra le razze più antiche al mondo… Tra l’altro è la razza più feconda e ovaiola tra le oche (110/115 uova l’anno, dal peso minimo di 150 grammi). Inoltre il suo piumino è tra i più apprezzati e la sua carne è ottima! In Italia vi sono tre razze tra cui la pezzata veneta che non possiede però ancora uno standard preciso. C’è la grigia padovana, di media taglia, molto apprezzata anch’essa! Ma è la romagnola che detiene il primato tra le tre e soprattutto nel mondo per la sua numerosa deposizione di uova! L’oca di Roma ha una variante col ciuffo sul capo (tuffed roman goose) che viene meticolosamente selezionata negli Stati Uniti d’America. Peccato si allevi poco qui in Italia e che la selezione in questo campo, non sia ancora così curata come negli altri Stati altrimenti la fama della romagnola potrebbe ritrovare il plauso che le fu riservato lo scorso secolo in tutta Europa e in Inghilterra.Caratteristiche morfologiche
Taglia: piccola. Peso medio: – maschio a. 5-6 kg – femmina a. 4-5 kg Mantello bianco. Becco largo, forte, attaccato alto, arancione con unghia carne. Zampe mediamente lunghe, color arancio intenso. Occhi azzurri con caruncola oculare rossa. Non possiede alcun sacco ventrale. L’oca Romagnola di pura razza ha la particolarità, alla pari dell’oca di Embden, di essere autosessabile alla nascita: i paperi nascono con macchie brune sulla testa e sul dorso e queste macchie sono decisamente più scure nelle femmine. fonte: agraria.itAllevare le oche
Origini
L’allevamento dell’oca è antichissimo, molto anteriore a quello dell’anatra. Se ne trova traccia 4000 anni a.C. nella tomba del faraone Tè (V° dinastia), nella metropoli di Menfi. In essa è dimostrata l’avvenuta domesticazione, in quanto sono raffigurate, oche in un cortile insieme a gru e colombi, con sotto l’iscrizione: «La riunione dei colombi e delle oche dopo che essi hanno mangiato.» Omero ne parla nell’Odissea, allo XV° canto, in cui è citata Elena che alleva oche nella corte del palazzo di Menelao ed al canto XIX°, quando Penelope, raccontando un sogno, parla del suo allevamento di oche. I poeti greci si ispirarono al candore dell’oca e la paragonarono alla grazia e alla bellezza delle giovani fanciulle. Ha oltretutto innumerevoli antenati famosi: L’oca sacra di Augusto: abbandonata fra le braccia di sua moglie Livia dall’aquila cara a Giove, fu ritenuta un dono degli dei e pertanto consacrata. Le consorelle del Campidoglio, allevate nel tempio di Giunone, che col loro sberciare avvertirono dell’arrivo dei barbari di Brenno. L’oca di Friburgo, immortalata con un monumento, che, con la sua sensibilità, durante la seconda guerra mondiale funzionava da radar, avvertendo gli abitanti dell’arrivo degli aerei nemici. Viene da pensare che mai più ingiuste furono espressioni come: “Stupido come un’oca” o “Essere un’oca giuliva”. Il secondo può andare, se non viene inteso in senso dispregiativo, in quanto l’oca è gaia e festosa e saprebbe godersi la vita se l’uomo gliene desse l’opportunità. La capostipite dell’oca domestica la troviamo nella famiglia degli Anatidi nell’ordine Anseriformi: l’Oca Selvatica Grigia (anser cinereus). È una delle oche selvatiche più grandi, pur mantenendo una forma molto aerodinamica, ha un peso di circa kg. 3,5 ed un’apertura alare di 180 cm.Il becco è grosso e robusto, alla base è più alto che largo, di colore arancio intenso con unghiata rosea; esso è provvisto, ai margini, di lamine cornee che servono a strappare, triturare e spesso filtrare gli alimenti che l’oca trova sondando il fondo degli stagni. Ha comunque un menu esclusivamente vegetale: erbe, semi, tuberi, bacche e frutta. La testa è piccola, in proporzione al corpo. Il collo è lungo e fine. Le lunghe ali stanno aderenti e, quando sono chiuse, raggiungono l’estremità della coda senza però incrociarsi o sorpassarla. I tarsi sono rosei e robusti. Come tutte le oche selvatiche porta a termine una sola covata l’anno, covando, per 28/29 giorni, 5/6 uova al massimo. Ha una colorazione particolare, che ritroviamo in molte razze di oche domestiche. Il colore di fondo è un grigio brunastro uniforme ed il margine delle penne è orlato di bianco. Bianco nella parte bassa del petto, ventre castano con macchie di tonalità più intensa. La coda è come il resto del piumaggio.Allevamento
In Romagna l’oca era altamente considerata, si diceva che, quando venne sparso nel Mondo il sale del giudizio, tre parti di questo furono assorbite dalle oche; il resto venne assimilato dagli uomini. Definita il “maiale dei poveri”, in tempi in cui era difficile vivere, lei dava uova, piumino e ottima carne con pochissima spesa; anche la pelle veniva usata e, dopo essere stata sapientemente conciata, serviva per confezionare candide pellicce. Le nostre oche domestiche assomigliano molto all’Oca selvatica grigia, anche se hanno un aspetto più pesante; la distinzione del sesso non è facile, perché nei due sessi la colorazione è identica; solo in età adulta, in alcune razze, il maschio è riconoscibile perché più grosso. Nel recente passato il suo allevamento era molto sviluppato, specialmente nell’Emilia Romagna e Veneto. Allevare oche non richiede molto, è sufficiente un prato per il pascolo, più o meno ampio a seconda del numero dei soggetti che si vogliono tenere, e acqua, anche poca, perché l’oca non è come l’anatra, ama soprattutto pascolare. I tarsi, situati al centro del corpo, sono molto più lunghi di quelli delle anatre, questa particolarità conferisce loro un passo più sicuro. Se dispongono di sufficiente alimento verde sarà sufficiente, ogni tanto, un pastone di pane, cruschello di frumento e farina di granoturco oltre ad un po’ di grani, niente di più. Ho letto, in un vecchio libro, che in Pomerania Occidentale – Regione a nord est della Germania da cui proviene l’omonima razza e dove fino alla metà del secolo scorso l’allevamento era particolarmente sviluppato – un ragazzo, al mattino, passando nei pressi dei villaggi suonava a distesa un corno e, da ogni casolare, uscivano branchi di oche che il ragazzo stesso conduceva al pascolo, come un gregge di pecore. Alla sera le oche rientravano al Paese e ciascun gruppo ritrovava la propria casa.Un agricoltore, mio vicino, ha un bellissimo gruppo di oche bianche, sempre immacolate nonostante stiano tutto il giorno nei campi; molto indipendenti, le trovo addirittura sulla strada a più di un chilometro di distanza dai loro prati, sempre tranquille e con aria indolente, senza fretta e senza paura, si spostano, quando passo in macchina, quando sono a piedi allungano il collo e sembra mi redarguiscano con il loro verso per averle disturbate. Quando non le vedo le cerco con lo sguardo e spesso le intravedo in fondo al prato nel ruscello e mi viene da pensare: che bella vita fanno!Intorno all’età di sei mesi, a seconda della razza, le femmine iniziano a deporre, ma è bene per la riproduzione usare soggetti di almeno un anno compiuto. Un’oca può dare buoni risultati fino ai 4/5 anni; dopo, la fertilità ed il numero di uova calano. Il gruppo ideale è formato da un maschio e tre femmine ed è bene che siano soggetti della stessa età, specialmente le femmine, altrimenti il maschio tende a preferire la più giovane (però!!) snobbando le altre. Mai il gruppo deve avere due maschi, si disturberebbero a vicenda. La scelta dei riproduttori va fatta standard alla mano e non si deve incorrere nell’errore: più grosse più belle. A parte la fecondità, che non è compatibile con la grossezza, lo Standard va anche seguito per la mole.Le nostre oche un tempo erano riconosciute come eccezionali produttrici di uova e carne prelibata, ma erano anche apprezzate per la loro robustezza e facilità di allevamento; per queste loro doti furono esportate in tutta Europa. Sono sicuro che molte razze oggi esistenti in altri Paesi hanno il sangue delle oche italiane. Sul libro Standard inglese, con prima edizione datata 1956, si legge: «Non ci sono dubbi che, in Germania ed Olanda del nord, fu usata l’oca bianca italiana per creare la Embden, incrociandola con le loro indigene bianche.» Oggi l’Oca non è più allevata come una volta e quei pochi soggetti che si vedono provengono dai tanti mercati di provincia, dove parole come morfologia, colorazione, disegno o produzione hanno poca importanza, ma agli inizi del secolo scorso, fino ad oltre la metà, l’oca faceva parte di quel patrimonio avicolo da conservare gelosamente nelle sue caratteristiche morfologiche di colorazione e di produzione. La selezione, volta nel tempo a migliorare la produzione o l’aspetto, ha fatto sì che si creassero varietà con caratteri stabili dovuti anche al rapporto con l’ambiente e, quindi, al clima ed alla nutrizione. fonte: www.fiav.infoBergamo. Il corpo del padrone morto divorato dal suo cane
Il padrone è morto, ma il cane va a messa tutti i giorni
La storia del pastore tedesco “Ciccio”, sta commuovendo il web…
Una vicenda che ha commosso il web, arriva in queste ore da Brindisi, e vede protagonista “Ciccio”, un pastore tedesco di 12 anni, che in queste ore, grazie alla sua fedeltà e amicizia nei confronti del suo padrone, ha letteralmente commosso il popolo del web. Ciccio, da qualche mese è rimasto orfano della sua padrona, morta alla giovane età di 57 anni, ma il pastore tedesco in questo lasso di tempo non ha mai dimenticato la sua padrone e ogni mattina, per “renderle omaggio”, si reca in Chiesa, e si mette nel posto dove era solita sedersi la signora Maria, ascoltando la Messa al posto suo. La storia di Ciccio, sta commuovendo il web: non è il primo caso di totale “devozione” da parte di un animale nei confronti del suo padrone. Così, il parroco, intenerito, dal gesto del cane, gli permette ogni mattina di prendere parte alla funzione.Scoiattolo grigio: 2 milioni di euro per sterminare il «clandestino»
Per salvare quello rosso europeo. Gli esperti: «Così restano i più forti: combattere importazione e commercio»
MILANO – Gli converrebbe tingersi il manto di rosso. In caso contrario, lo scoiattolo grigio farà una brutta fine. È stato approvato pochi giorni fa un piano che prevede lo sterminio dello Sciurus carolinensis, lo scoiattolo grigio. I metodi previsti per l’eliminazione sono da film horror: avvelenamento con topicidi, inalazione di gas, rottura del collo. Piano contro lo scoiattolo grigio DIFESA – Gli animalisti sono insorti a difesa di Cip: «L’eradicazione dello scoiattolo grigio com’è prospettata da Unione europea, ministero dell’Ambiente e dalle Regioni Lombardia, Piemonte e Liguria è mortificante dal punto di vista etico e clamorosamente errata dal punto di vista scientifico. Si spendono quasi 2 milioni di euro per lo sterminio ma non si vieta la commercializzazione di una delle tante specie arrivata in Europa perché qualcuno l’ha comprata in negozio e rilasciata sul territorio», tuona il presidente di Gaia Animali & Ambiente, Edgar Meyer. Mettiamo che l’opinione di un animalista puro penda dalla parte degli animali. Ecco allora il parere dell’etologo Roberto Marchesini, autore di un’infinità di libri sulla relazione tra l’uomo e le altre specie: «Ho già visto la gassificazione di nutrie e colombi: sono state campagne fallimentari. Fatte per ridurre il numero di soggetti, hanno ottenuto il risultato opposto perché si è operata una selezione della specie: sono sopravvissuti i soggetti più forti, che si sono moltiplicati. Più si seleziona una specie, più aumenta di numero. Sarebbe molto più interessante investire in un piano per il controllo demografico e in uno studio utile per capire se il declino dello scoiattolo rosso, attribuito alla presenza di quello grigio, sia da attribuire davvero a quest’ultimo. Non si conosce la causa della decimazione di molte specie, penso agli anfibi, in particolare a tante varietà di raganelle ormai quasi scomparse». SPECIE ALIENE – Le specie aliene come vengono chiamati gli animali alloctoni che minacciano il nostro ecosistema è lunga: si va dal pesce siluro allo scoiattolo grigio americano, dalla tartaruga azzannatrice a quella dalle guance rosse, dai gamberi killer della Louisiana ai pappagalli, dalle cozze zebrate ai visoni, dalle nutrie ai procioni. Nell’ambiente europeo sono state rilevate oltre 11 mila specie esotiche (vegetali e animali). Janez Potočnik, commissario Ue per l’Ambiente, ha dichiarato: «Il costo dei danni causati da specie invasive al nostro patrimonio naturale è valutato a 12 miliardi di euro ogni anno». COMMISSIONE UE – La Commissione sta cercando di arginare il problema lavorando in tre direzioni: prevenzione, rilevamento precoce e reazione rapida e, infine, eradicazione di specie invasive al fine di ridurne gli effetti negativi. In quest’ultimo step rientra l’azione rivolta allo scoiattolo grigio. Ma come arrivano in Italia gli animali esotici o alloctoni? Il trasporto globale può aver prodotto l’involontario import di insetti e larve: il punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus) è arrivato così. COMMERCIO – Ma è l’uomo che rilascia nell’ambiente gli animali. «Molte specie sono state introdotte dai commercianti, che dovrebbero farsi carico delle vendite sconsiderate di animali esotici nei loro negozi: non spiegano che una tartaruga in poco tempo diventerà grande come un foglio A4 e tu dovrai condividere con lei la vasca da bagno. Non dicono quale sofferenza l’animaletto che compri al bambino patirà nel monolocale cittadino, prima che lo rilasci in un bosco o in mare», spiega Marchesini. Che aggiunge: «Le nutrie da dove arrivano se non da quegli allevamenti per fare pellicce di castorino così in voga negli anni Settanta? Le pratiche venatorie sono un altro problema: vengono immesse specie nell’ambiente su richiesta dei cacciatori, e quando quella specie si è ambientata e riprodotta fuori misura, si chiamano i cacciatori, che sono l’origine del problema, per risolvere il problema: è successo per i cinghiali in molte zone d’Italia. I pesci siluro? Li hanno voluti i pescatori. Tutto ruota attorno all’uomo, ma chi ne fa le spese sono sempre gli animali». MINACCE – Cosa succede quando una specie aliena, tartaruga o scoiattolo che sia, è introdotta nell’ambiente di fianco a una specie autoctona? «La nostra tartaruga (Testudo hermanni) si è trovata in difficoltà perché quelle dalle orecchie rosse, più voraci, hanno sottratto cibo: la catena alimentare è la stessa. Un altro rischio è che accoppiandosi con la Testudo graeca, ad esempio, generi ibridi sterili. Le minacce sono di vario tipo: possono arrivare soggetti con maggiori capacità di acquisizione delle risorse e che si riproducono». Il responsabile è sempre l’uomo. Lo scoiattolo grigio fu portato in Italia da un diplomatico americano nel 1948, e rilasciato in un parco di Torino. La cozza zebrata pare sia arrivata attaccata alle chiglie delle imbarcazioni. I pappagalli sono scappati o sono stati liberati da qualche gabbia. Le tartarughe davano fastidio nella vasca da bagno. E ora 1.930.000 euro verranno investiti in nome della salvaguardia della biodiversità per gasare gli scoiattoli grigi. È la logica umana. Anna Tagliacarne fonte: corrieredellasera.itCesar Millan dog Whisperer
Asino
(lo abbiamo bastonato e sfruttato per secoli, ora lo facciamo estinguere…)
Le prime tracce di domesticazione dell’asino risalgono al 4000 a.C., nel basso Egitto, mentre in Europa i primi ritrovamenti appartengono all’epoca tra quella del bronzo e quella del ferro. Oltre che lungo le coste dell’Africa orientale-settentrionale, vive ed ha vissuto nella Siria, in Mesopotamia, nell’Afghanistan, nella Persia, nella Russia asiatica meridionale, nel Tibet, nella Mongolia, ecc. Dagli asini selvatici africani deriverebbero i ciuchi armati di pazienza destinati a fare la parte più dura dei lavori di una volta, in cambio di un magro pasto; senza mai dar peso al fatto di esser eletto simbolo dell’ignoranza e della testardaggine.
E’ sempre stato allevato da contadini che non avevano i mezzi per selezionarne razze, quindi è rimasto molto simile, anche nelle abitudini, al suo antenato selvatico che viveva in branco in ambienti desertici; è in grado di nutrirsi anche mangiando anche rovi secchi e spinosi e di sopportare molto bene la sete. Le striature caratteristiche che l’asino ha sul dorso, da una spalla all’altra, sono il segno della stretta parentela con la zebra. Bassorilievi assiri mostrano le prime figure di muli, quindi l’asino ha da sempre alleviato le fatiche di molti, ricchi e poveri girando la mola, portando pesi, trainando carri e aratri… (img: mulino.jpg) ma anche fornendo carne, cuoio e latte (che tra l’altro è ottimo come composizione nutritiva, meglio di quello vaccino). Va considerato che la sua ben nota testardaggine è data da una cattiva interpretazione del fatto che è difficile forzare chiunque a fare qualcosa che contraddica i suoi istinti di conservazione; date le bastonate e i lavori che comunque svolgeva merita un plagio alla pazienza che dimostrava: solo quando crollava a terra ci si rendeva conto di averlo caricato troppo. Dopo millenni di servizio, alcune razze rischiano ora l’estinzione, persino le poste italiane nel 2007 hanno pubblicato un francobollo che rappresenta le razze italiane a rischio di estinzione.
ETOLOGIA (son guidati dall’asina più saggia, prima di scalciare avvertono più volte…)
Nel 1936 grazie a K. Lorenz, K. Von Fish e N. Tinberg naque l’etologia, disciplina che si dedica allo studio dei comportamenti degli animali, soprattutto alle differenze tra comportamenti istintivi e appresi, la possibile derivazione genetica dei comportamenti e il comportamento comparato con altre specie. Le condizioni precarie che l’asino ha dovuto sopportare nei secoli gli hanno conferito il carattere che ha oggi: – è paziente. – è pacifico. – è attento (perchè se non badava lui a se stesso e a dove metteva i piedi, nessun’altro se ne preoccupava di sicuro). – è intelligente (riflessivo più di un cavallo). Basta fare un piccolo sforzo di immaginazione per capire che tante delle esperienze dell’asino nei secoli erano vissute a bastonate e morsi alle orecchie, quindi come può reagire ad un bambino che vuole solo giocarci insieme, con rispetto? E’ interessante scoprire, frequentando un somaro per qualche tempo, che prima di scalciare lo anticipa con colpi di coda, poi picchia in terra i piedi e solo se a questo punto si insiste magari il calcio arriva, ma piuttosto che scalciare preferisce solitamente allontanarsi di qualche passo. Per capire l’asino bisogna fare uno sforzo e accettare il principio fondamentale secondo cui se l’uomo è più intelligente, toccherà a lui scendere al livello dell’asino per comunicare: già lo facciamo coi bambini piccoli, imitando il loro modo di parlare li agevoliamo per essergli più vicini e permettergli di comunicare meglio con noi. Se avrete la fortuna di conoscere un asino vi accorgerete che sarà sempre meno cosciente l’intervento per pensare come lui. Gli asini comunicano attraverso il linguaggio del corpo: la mimica, la posizione della coda, i versi, i movimenti del corpo, delle zampe e delle orecchie (orecchie abbasssate all’indietro sono cattivo segno, alte e ritte sono segno di attenzione e curiosità)…
Allo stato selvatico gli asini vivono in famiglie non troppo numerose composte dalle madri coi rispettivi piccoli (nascono più spesso femmine). Lo stallone tollera i giovani maschi nel branco, ma, quando ai primi calori iniziano a interessarsi alle femmine e a lottare tra loro o a sfidarlo, li caccia; spesso gli allontanati formano branchi separati. Sono dotati di un ampio repertorio di comportamenti sociali, e il branco non è guidato dallo stallone come tra i cavalli, ma dall’asina più saggia, spesso la più anziana.
L’asino selvatico vive in luoghi pietrosi e desertici con scarsa vegetazione (per questo mangia anche i rovi, anche con le spine) spesso son costretti dal clima anche a periodiche migrazioni. In alcuni esemplari si può notare una riserva di grasso che va dalla nuca alla coda che come le gobbe dei cammelli serve per fare scorte d’acqua per le traversate di zone aride. Se l’appellativo “ASINO” si riferisce ad una personalità libera, indipendente, non influenzabile, ad una natura che non si lascia sottomettere e dominare, se “ASINO” è il nomignolo che si attribuisce a chi manifesta un comportamento che non si lascia addomesticare, beh allora dare dell’ASINO a qualcuno dovrebbe essere un complimento.
VETERINARIA (se fosse ferrato non sarebbe somaro…)
Le uniche cure di cui necessita sono quelle del maniscalco per la pareggiatura degli zoccoli e quelle del veterinario per le vaccinazioni e per la svermatura. Magari una limata ai denti ogni tanto per pareggiarli, dato che sono in crescita continua. Animale robusto, difficilmente dimostra sofferenza, bisogna osservarlo attentamente, magari quando mangia, per capire se ha problemi.
http://www.asinofenice.it
Capre Tibetane
Greyound levriero inglese
Il levriero, purezza di forme, plasticità, perfezione di linee, pulizia ed eleganza, un mondo silenzioso, cauto, riservato ed estremamente affascinante. Sono creature diverse, sembrano quasi “alieni”, perchè al di fuori dal loro aspetto molto diverso dai cani comuni, i levrieri si differenziano anche per il loro carattere, per le loro caratteristiche fisiche e metaboliche…per il loro modo di vivere con noi.
Opportunisti per eccellenza, pigri, ladri scaltri e silenziosi, nati “liberi di cuore”, con sempre una vena malinconica nei loro occhi, come se stessero aspettando un qualcosa che nessuno è in grado vedere, forse una libertà “vecchia, passata” fatta di gloria e potenza….ormai dimenticata dalla cattiveria ed egoismo umano.
“Sorprendenti levrieri”….. Pensare che li prendiamo tutti da ambienti dove per un verso, o per l’altro, li hanno sfruttati come atleti, o cacciatori, dove non li hanno mai scoperti del tutto, mai capiti, ma solo demoliti fisicamente e psicologicamente. Il bello del levriero non è solo estetica, ma quello che hanno da offrirti, il loro cuore, sono la sintesi di una moltitudine di sfumature che ti rapiscono per sempre. Sensibili, miti, devoti, silenziosi, puliti e tanto intelligenti….sì. perchè l’intelligenza non si misura a prendere una pallina lanciata da noi…l’intelligenza sta nell’adattarsi ad un ambiente nuovo, capire gli umori le regole di una famiglia, captare i momenti i tempi, le emozioni. Il mondo dei levrieri è un mondo “diverso”, sono quasi l’incrocio meraviglioso tra il cane e il gatto e quello che ne viene fuori è l’esseza pura…il levriero, un’animale che nei secoli si è adattato a noi in climi e ambienti diversi, e noi l’abbiamo “dimenticato” Il levriero compagno dell’uomo da millenni, è forse la creatura che ci conosce meglio nelle nostre debolezze e cattiverie, per questo continua a subire da noi senza mai, purtroppo essere aggressivo o ribelle.Adottare un levriero, non è da tutti, sono cani che spesso vengono scambiati come cani tristi, apatici, poco intelligenti….snob… Non vogliamo che sia un cane “di moda”, il levriero si deve amare, scoprire così com’è…tanto da non riuscirne più a fare a meno.
Noi del GACI li recuperiamo da vite in gabbia, dove l’unico contatto umano è per cacciare o correre…poi improvvisamente, gli apriamo un box su un furgone e ve li consegniamo, diamo il via alla loro nuova vita, …..queste spaesate creature vengono letteralmente avvolti dalle vostre braccia, per la prima volta….e qui scatta la magia. Magia levriera, cani che sbocciano nelle vostre case, tra i vostri famigliari che conquistano anche i più duri e scettici. I levrieri, in particolare quelli recuperati, ci studiano, ci spogliano, perchè loro devono capire se si devono fidarsi per poi finalmente vivere.
Creature con una sensibilità incredibile, custodi di bambini o anziani senza che mai nessuno gli l’ha mai insegnato nulla, e questo da subito, dal momento che sentono di essere finalmente al sicuro. Recuperati in discariche con ancora sul corpo i segni di un passato terribile, ma pronti a dare un’altra occasione, perchè loro sono diversi, loro non sono umani. Un levriero te lo devi meritare, lo devi amare, capire e non solo lodare esteticamente, un levriero si concede solo a chi ha saputo farsi leggere il cuore.
La nostra missione che da anni promoviamo qui in Italia, è quella di far conoscere questo magico mondo, centinaia di famiglie ci hanno dato fiducia, hanno visto le testimonianze sul nostro sito, hanno provato questa esperienza, e adesso sono felici, ma per coronare questa esperienza si sono fatti consigliare e non solo hanno “scelto quello che più era più bello o più colorato”.
Il nostro compito, il nostro lavoro lo sappiamo fare molto bene, e abbiamo da ANNI testato centinaia di levrieri, e di famiglie. Fatevi consigliere anche su quale levriero è meglio per casa vostra, in base alle vostre abitudini, ai vostri ambienti, ai vostri componenti di casa….noi non abbiamo una vetrina dove scegliere come in un supermercato, noi diamo creature con cuore ed emozioni, e soprattutto siamo molto seri , scrupolosi e severi in quello che facciamo, perchè li conosciamo bene e non vogliamo ancora deluderli, non se lo meritano!
Se non siete pronti o avete dubbi, non siete fatti per stare con un levriero, lui ha bisogno di voi e senza limitazioni, non siete pronti a far parte del mondo del GACI. Se volete un levriero per “abbandonarlo” in giardino, o per lasciarlo spesso solo e senza attenzioni….allora, mai scoprirete veramente cosa vi può offrire questa creatura, ma vi mostrerà solo il peggio di lei diventando impossibile la convivenza.
Adotta un levriero, ma solo se sei pronto ad entrare in questo strano mondo silenzioso, e soprattutto pensaci, 1000 volte +1
GACI- Greyhound Adopt Center Italy ADOZIONI LEVRIERI ITALIA La nostra forza e serietà la vedi nelle nostre TESTIMONIANZE di ADOZIONI
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