Quale futuro per l’orso bruno (Ursus arctos)? Malgrado sia una specie protetta fin dal 1939, il rapporto tra uomini e orsi non sempre è stato corretto, tanto che alla fine del secolo scorso se ne paventava addirittura l’estinzione. Con l’intervento dell’Unione europea, ha preso avvio nel 1996 un progetto, rifinanziato nel 2000, per la salvaguardia del celebrato planti-grado. Il progetto è stato promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e con-dotto in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il fu-turo degli orsi sembra oggi meno precario, anche se sarà necessario che gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado trovino le opportune sinergie e collaborazioni. L’orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente rilevante a livello europeo, come sancito dalle direttive comunitarie preposte alla salvaguardia della biodiversità. Nella direttiva “Habitat” (92/43 CEE), il plantigrado è indicato come “specie prioritaria” (con asterisco), ovvero come specie «per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare» (Art. 1), «per cui gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione» (Art. 11) e infine elencato tra le specie «di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa» (allegato IV). Inoltre, in Europa l’orso bruno è una specie inclusa nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”) della Convenzione di Berna del 1979, in cui le nazioni aderenti vengono stimolate a trovare opportune misure di salvaguardia della specie e di conservazione degli habitat.
A dispetto del supporto legale (l’orso bruno è una specie protetta fin dal 1939 in base all’art. 38 del Testo Unico della Caccia, secondo il qua-le veniva considerato raro e meritevole di protezione), il rapporto tra uomini e orsi è sempre stato ambivalente. Se, per un verso, l’orso ha condiviso il suo territorio con l’uomo fin dall’antichità, entrando a pie-no titolo nella cultura delle genti alpine, alcuni fattori conflittuali hanno condannato la specie ad una caccia spietata che, intorno al XIX-XX se-colo, ne ha decretato l’estinzione quasi totale dall’arco alpino. Già dopo la seconda guerra mondiale, il plantigrado è dunque rimasto confinato in una ristretta area del Trentino occidentale che nel 1988, anche per questo scopo, è divenuta area protetta con il nome di Parco Naturale Adamello Brenta. Alla fine del secolo scorso, tuttavia, anche il nucleo di orsi del Brenta, ridotto a non più di 2-3 individui, aveva superato la so-glia dell’estinzione: una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile. In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti “Life” dell’Unione Europea il Progetto “Ursus – Tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, rifinanziato nel 2000 (sempre dall’Unione Europea) con il titolo “Ursus – Seconda fase di tutela del-l’orso bruno del Brenta”. Il progetto “Life-Ursus” L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promos-so dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) – si è basato su una attenta fase preparatoria. In base ad un apposito “Studio di fattibilità”, la reintroduzione è stata individuata come l’unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui. Lo “Studio di fattibilità” ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1.700 km2 le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale. Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità, numerosi sono stati i partner che han-no collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con quella di Trento, anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi immessi, con il WWF di Trento e con numero-si altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria. Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto Doxa di Milano): più di 1500 abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70percento dei residenti interpellati si sono dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80per-cento di fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza. Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e dettagliata-mente pianificati dal Parco nell’ambito delle “Linee Guida” che, oltre a definire l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per favorire una positiva realizzazione della reintroduzione. La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il 2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina). Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti. Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo successivo al ri-lascio, confermando le previsioni dello “Studio di fattibilità” e l’ottimo adattamento degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita. Presente e futuro degli orsi sulle Alpi Il successo dell’operazione di reintroduzione è stato sancito soprattutto dal rapido accrescimento della popolazione. A seguito degli otto eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e i primi mesi del 2006 (per un totale di 20 cuccioli nati in 5 anni) dopo più di un decennio di inattività riproduttiva, il nucleo di orsi che ha il Parco come sua core area è oggi stimato in più di 20 esemplari. Parallelamente all’incremento numerico, la popolazione di orsi si sta espandendo anche dal punto di vista territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al Trentino occidentale ma comprende aree distanti qualche decina di chilometri dal Parco. L’esplorazione del territorio, sintomo del raggiungimento della capacità portante dell’area pro-tetta e dell’idoneità ambientale dei territori confinanti, lascia ben spera-re per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato. Desta infatti particolare preoccupazione la consanguineità tra gli individui derivante dal fatto che la maggior parte dei cuccioli nati in Trentino negli ultimi anni sono figli di un unico maschio (Joze, 11 anni di età), con un conseguente elevato rischio di depressione da inbreeding per le prossime generazioni se non si interverrà preventivamente. Proprio per questo motivo, nonostante la fine dei finanziamenti europei, il Parco prosegue le sue attività di tutela nei confronti del plantigrado, in stretta collaborazione con gli altri enti coinvolti (in primis la Provincia Autonoma di Trento, ente legalmente preposto alla gestione della specie). Nel dettaglio, per favorire il raggiungimento di una popolazione minima vitale sulle Alpi Centrali, l’impegno del Parco si è concretizzato mediante l’istituzione, al suo interno, di un “Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno” composto da biologi, naturalisti ed un eterinario che coordinano le attività di ricerca scientifica e divulga-zione nei confronti della specie. Conoscere il numero di individui, la distribuzione sul territorio e la ripartizione per sesso ed età, ma anche le abitudini alimentari, le caratteristiche dell’ibernazione e i potenziali fattori di disturbo della popolazione di orsi è infatti indispensabile per controllarne l’evoluzione nel tempo e prendere conseguentemente le decisioni gestionali più idonee. Considerando inoltre che a tutt’oggi l’immagine dell’orso bruno nell’opinione pubblica rimane basata più su miti e leggende che su assunzioni di ordine biologico ed ecologico, il progetto di conservazione del Parco prevede, oltre alle attività di monitoraggio e ricerca scientifica cui si è appena accennato, un’ampia opera di divulgazione e comunicazione rivolta a tutte le categorie sociali. Proprio per ottimizzare la realizzazione di tali interventi di informazione, e per rendere altresì disponibile la propria esperienza anche al di fuori dei propri confini territoriali, il Parco, insieme ad alcuni tra gli enti storicamente impegnati per la salvaguardia del plantigrado sul-l’arco alpino (Servizio Foreste sloveno, WWF Austria e Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Udine), ha delineato alcune azio-ni di comunicazione utili per favorire la convivenza con il plantigrado, con particolare riferimento alle azioni urgenti necessarie nelle zone di nuova colonizzazione. Tali principi sono stati redatti – insieme ad un modello predittivo di dinamica di popolazione tendente ad individua-re le aree di possibile espansione futura degli orsi sulle Alpi – nell’ambito di un apposito progetto ancora una volta promosso dall’Unione Europea (LIFE Co-op Natura “Criteri per la creazione di una metapopolazione alpina di orso bruno”). Il futuro degli orsi sembra dunque oggi meno incerto, anche se il ri-torno definitivo della specie sulle Alpi è tuttora strettamente dipenden-te dalla possibilità di ricongiungimento tra l’unica popolazione stabile di orsi sull’arco alpino, quella slovena, e i nuclei presenti in Austria e in Italia. Tale possibilità potrà divenire realtà solo se tutti gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado sapranno trovare le più opportune sinergie e forme di cooperazione. Purtroppo le collaborazioni in tal senso, attual-mente, rappresentano più un’eccezione che non la regola. di Filippo Zibordi Bibliografia AA.VV. 2005 – Criteri di comunicazione per la conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi. Rapporto redatto nell’ambito dell’Azione A3 del progetto LIFE Co-op Natura LIFE2003NAT/CP/IT/000003 (Criteri per la creazione di una me-tapopolazione alpina di orso bruno). http://www.pnab.it/Lifecoop/azione_a3.htm DUPRÉ, E. – GENOVESI, P. – PEDROTTI, L. 1998 – Studio di fattibilità per la rein-troduzione dell’orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi centrali. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e Parco Naturale Adamello-Brenta. Rapporto Tecnico: pagg. 1-96. GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein- troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea. Documenti Parco n. 15. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 254. GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein- troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea – seconda parte. Documenti Parco n. 16. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 144. MUSTONI, A. 2004 – L’Orso Bruno sulle Alpi, Nitida Immagine Editrice, Cles, pp. 236. PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA 1998 – Linee guida per l’organizzazione e la realizzazione dell’intervento di immissione di orsi nel Parco Naturale Adamello Brenta, pp. 1-25. SWENSON, J. – GERSTL, N. – DAHLE, B. – ZEDROSSER, A. 2000 – Action plan for the conservation of the brown bear in Europe (Ursus arctos), Council of Europe, Nature and Environment, 114: pp. 1-69.Sperimentazione animale: superflua o necessità?
Bulldog
Morfologia:
Testa: cranio largo, fronte ampia, piatta con pelle cascante, canna nasale molto corta; tartufo largo, di colore nero, con narici ben aperte e definite; mascella larga, massiccia, quadrata, la mascella inferiore deve sopravanzare su quella superiore; Occhi: di forma tonda, di medie dimensioni, né prominenti né infossati; di colore molto scuro; Orecchie: di piccole dimensioni, sottili, inserite alte sulla testa, Zampe anteriori: molto vigorose, solide, muscolatura ben sviluppata; più corte di quelle posteriori, in perfetto appiombo; piedi corti e diritti; Zampe posteriori: forti e muscolose, proporzionalmente più lunghe di quelle anteriori; garretti ben discesi, leggermente inclinati; Coda: inserita bassa, diritta, piuttosto corta, spessa alla base si assottiglia all’estremità; Mantello: sottile, corto, liscio, non ispido, compatto; Colori: tigrato, bianco, bianco pezzato, marrone, fulvo.Note:
Le femmine hanno spesso problemi durante il parto a causa delle dimensioni della testa dei cuccioli: in quei casi si deve ricorrere al taglio cesareo. Molte femmine sono inoltre infeconde e per questa ragione il prezzo di un esemplare di questa razza può essere alto. La vita media si aggira intorno agli 8-9 anni. Il problema principale di questa razza è il caldo: viene sottoposto a innumerevoli sforzi respiratori per sopportarlo. Bisogna evitare di farlo muovere eccessivamente in condizioni climatiche calde ed evitare di farlo entrare in luoghi troppo afosi. I maggiori danni che il caldo gli arreca possono essere fatali. Difetti: orecchie non portate “a rosa”, tartufo sporgente, andatura irregolare, denti irregolari, misure e colori differenti da quelle sopra descritte, occhi chiari.Vendere Cani e Gatti di razza ma senza pedigree è illegale
Cervello da Animalisti
Teramo, imputati animalisti: cani trattenuti nel rifugio solo per lucrare.
In gravidanza con animale domestico
Durata gravidanza animali
30 GG CONIGLIO
35 GG LEPRE,MARMOTTA
38 GG CANGURO
42 GG CASTORO
51 GG VOLPE
58 GG GATTO
63 GG CANE,LUPO
90 GG LEOPARDO
105 GG LEONE,TIGRE
112 GG MAIALE
150 GG PECORA
210 GG ORSO.SCIMPANZE
230 GG IPPOPOTAMO
240 GG CERVO
275 GG DELFINO
280 GG BOVINI
305 GG BALENA
336 GG CAVALLO
362 GG ASINO
435 GG GIRAFFA
600 GG ELEFANTE
Come Prendersi Cura di un Riccio
- Provenienza – E’ fondamentale fare ricerca per trovare un buon allevatore dal quale acquistare il riccio altrimenti potresti ritrovarti con un animale di cattivo umore che molto probabilmente non vivrà a lungo. Evita gli annunci sui forum online, come pure i negozi che vendono animali. Assicurati che l’allevatore abbia una buona reputazione e non dimenticare di controllare che il riccio sia in buona salute prima di acquistarlo.
- Ricordati che i ricci selvatici non si possono detenere legalmente in quanto sono patrimonio dello Stato. Se trovi un riccio, lascialo li dove si trova a meno che non si trovi in imminente pericolo: vicinanza strade, centro abitato, molestato da altri animali o ferito. I questo caso, raccoglilo e chiama il Corpo Forestale dello Stato.
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- Prima di portarlo a casa – Prima dell’acquisto, assicurati di avere tutto l’occorrente necessario ad accogliere e allevare il tuo riccio. Non cambiare il cibo che mangia all’improvviso. Informati sul tipo di cibo che l’allevatore gli sta dando e continua a seguire la stessa dieta. Quando porti il riccio a casa per la prima volta, lascialo tranquillo durante le prime 24 ore per dargli il tempo e la tranquillità di esplorare la sua nuova casa e di familiarizzarsi con il nuovo ambiente. Occorrerà circa un mese prima che si abitui alla tua presenza e ai nuovi odori. Dovrai avere pazienza.
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3Un luogo appropriato. I ricci hanno bisogno di una gabbia molto grande in cui stare comodi. Quindi la loro gabbia dovrebbe essere:
- Spaziosa: come minimo 45 cm x 60 cm e con una base solida, o meglio ancora se più grande visto che questo gli garantirà abbastanza spazio per sgranchirsi le gambe e per giocare. Le gabbie non devono avere più di un livello dato che i ricci non hanno una buona vista e le loro zampe sono delicate e si possono fratturare facilmente. Altrettanto pericolose sono quelle gabbie a grata sulle quali possono arrampicarsi. Dovrà anche avere abbastanza spazio per la ciotola del cibo, alcuni giochi e la lettiera.
- Ben ventilata: l’aria dovrebbe circolare liberamente, trane quando la temperatura nella stanza scende rapidamente (per esempio durante un black out elettrico). In quel caso dovrai coprire la gabbia con una coperta.
- Sicura: i ricci sono particolarmente bravi a scappare e amano arrampicarsi. Assicurati che la gabbia sia ben chiusa e che il tuo riccio non possa arrampicarsi per uscire dalla gabbia.
- Fornire un posto in cui nascondersi: dato che il riccio è principalmente un animale da preda, avrà bisogno di un’area nascosta e buia dove possa riposare lontano da occhi indiscreti e rumori fastidiosi. Una cuccia a igloo o un mini sacco a pelo sono l’ideale.
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4Avere una temperatura adatta: la temperatura ideale per un riccio va dai 21 ai 29 gradi. Se la temperatura nel tuo appartamento è troppo bassa (sotto i 21 gradi) il riccio andrà probabilmente in letargo il che potrebbe rivelarsi LETALE; se è troppo alta potrebbe soffrire di un colpo di caldo. Se sembra assonnato e si sdraia a zampe larghe come se avesse caldo, o se la sua temperatura corporea è piu fredda del solito, dovrai regolare di conseguenza la temperatura del tuo ambiente.
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5Scegli un materiale da giaciglio di qualità. I ricci amano i trucioli di legno (leggi la sezione Avvertenze per maggiori informazioni) e il tessuto come la felpa. Scegli una marca di trucioli di qualità.
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6Evita i trucioli che tendono a rimanere incastrati tra gli aculei. Puoi anche usare strisce di giornale ma attenzione al contenuto di polvere che si creerebbe in questo modo nella gabbia.
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7Fai attenzione ai bisogni del riccio e al suo comportamento.
- Evita i rumori. Non mettere la gabbia del riccio sotto le casse dello stereo o vicino alla televisione. Come animale da preda allo stato selvaggio, il riccio si affida principalmente al senso dell’udito: troppo rumore o trambusto saranno molto stressanti per lui.
- La possibilità di muoversi. I ricci tendono ad ingrassare facilmente, quindi la possibilità di fare attivita fisica è fondamentale. Avranno bisogno di molti giochi inclusa una ruota con una base solida. Quelle con grate o barre sono pericolose perchè il riccio potrebbe rimanere incastrato, spezzarsi le unghie e perfino fratturarsi le zampe. Qualunque oggetto che può masticare, spingere e muovere, e perfino rivoltare può diventare un giocattolo dato che questi comportamenti ripetono il loro istinto naturale nel cercare cibo. Ma fai attenzione che non sia troppo piccolo da essere ingoiato.
- Osserva attentamente il loro comportamento e quanto bevono e mangiano. I ricci sono notoriamente “bravi” a nascondere i loro malanni, percio è estremamente necessario essere attenti.
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8Dai cibo appropriato al tuo riccio. I ricci sono principalmente insettivori, ma assaggiano con piacere frutta, vegetali, uova e carne. Dato che tendono a mettere su peso facilmente, fai attenzione a quanto mangiano per evitare che ingrassino troppo. Un riccio sovrappeso non riesce ad arrotolarsi ed eventuali rotoli di grasso possono impedirgli di camminare adeguatamente. I ricci possono mangiare:
- Principalmente cibo di qualità. Le precise necessità alimentari dei ricci sono alquanto misteriose. Generalmente gli si può dare cibo per gatti secco di qualità o cibo specifico per ricci. I croccantini che scegli dovrebbero contenere meno del 12% di grasso e circa il 30% di proteine, essere organici. Evita quelli che indicano sottoprodotti tra gli ingredienti. La giusta dose è 1 o 2 cucchiai ogni sera alla stessa ora, regolando questa quantità a seconda del peso del singolo riccio. Cerca di variare la loro dieta per evitare deficienze alimentari, ad esempio con frutta, vegetali, pollo cotto e scondito, e uova strapazzate. Tra gli alimenti importanti per la dieta del riccio ci sono i vermi della farina, i bachi da seta. Grilli e farfalle notturne possono essere serviti 1 – 4 volte alla settimana.
- MAI dare ai ricci: noci o semi, frutta secca, carne cruda, verdure crude, cibo duro appiccicoso o filamentoso, avocado, uva o uvetta, Vitakraft per ricci, latte, insetti catturati da te, alcool, pane, finocchio, cipolle crude o in polvere, carote crude, pomodori, snack come patatine, caramelle, qualsiasi piena di zucchero o sale oppure miele.
- Un riccio ha bisogno di 70 – 100 calorie al giorno ma la maggior parte non dirà di no ad uno snack in più.
- La ciotola del cibo deve essere abbastanza larga e abbastanza pesante in modo che non possa rovesciarla (e cominciare a giocarci).
- Utilizza una bottiglia di acqua con un tubo nella gabbia per una qualità migliore. Inoltre in questo modo i trucioli finiscano nella ciotola dell’acqua e che questa venga accidentalmente rovesciata. Soprattutto, sarai in grado di vedere quanta acqua viene consumata.
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9Sistema una lettiera delle giuste dimensioni per il tuo riccio. Fai in modo di usare SOLTANTO sabbietta da lettiera per gatti non-agglomerante e puliscila tutti i giorni. Fai attenzione a qualsiasi irregolarità del tuo riccio nell’andare al bagno che potrebbe indicare malattia o stress.
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10La gabbia del riccio va pulita regolarmente e completamente ogni 2 -3 settimane. La ciotola e il tubo della bottiglia dell’acqua vanno lavati ogni giorno con acqua calda.
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11Prendi spesso in mano il riccio con delicatezza. L’unico modo per fare in modo che si abitui alla tua presenza è quello di interagire spesso con lui. Sii sempre delicato, fai movimenti lenti e parla a bassa voce. Per avere un riccio ben socializzato la regola generale è di trascorre almeno 30 minuti al giorno con lui. Quando esce per la prima volta dal letargo dagli alcuni minuti per riprendersi dal lungo sonno mentre lo tieni nel palmo della mano. Quando è complementamente sveglio e attivo, allora puoi cominciare ad interagire con lui.
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12Preparati alla perdita degli aculei, un processo simile a quello della perdita dei denti per i bambini che avviene per la prima volta tra le 6 e le 8 settimane di vita e poi ancora attorno ai 4 mesi quando gli aculei immaturi vengono sostituiti da quelli maturi. Questo processo è del tutto normale e non bisogna preoccuparsi a meno che non ci siano altri segni di malattia o fastidi, oppure se gli aculei non crescono bene. Durante questo periodo è possibile che il riccio sia irritabile e non gradisca essere toccato. Non preoccuparti, è una fase passeggera.
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13Dedicare tempo al gioco. Non esitare a giocare con il tuo riccio. Accetterà la tua partecipazione al gioco se interagisci con lui regolarmente.
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14I ricci in cattività non devono andare il letargo perchè per loro E’ LETALE. Questo si può evitare mantenendo una temperatura ottimale.
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15Pulizia. Almeno una volta al mese dovresti fare il bagno al riccio e tagliargli le unghie (a seconda di quanto crescono in fretta).
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Consigli
- Se vuoi avere più di un riccio, è consigliabile tenerli separati. I ricci sono animali solitari e preferiscono stare soli. Se li tieni nella stessa gabbia, ti terranno sveglio tutta la notte quando combattono. A meno che tu non voglia comprare un maschio e una femmina. I maschi possono combattere fino alla morte.
- Secondo una strana legge della natura, sebbene non siano veramente in grado di partorire senza problemi fino a che non raggiungono i 6 mesi di vita, le femmine dei ricci possono avere cuccioli fin dalle 8 settimane. E’ soprattutto da evitare che si riproducano all’interno della stessa famiglia. Se la femmina è troppo giovane, non sopravviverà alla gravidanza; se entrambi i genitori sono presenti, i piccoli rischiano di venir mangiati.
- Come giocattoli per ricci si possono usare quelli per cani come le palline di gomma, le ossa in pelle bovina, giocattoli di gomma, massaggiagengive (come quello per i bambini), etc. Fai in modo che non ci sia niente che possano masticare e ingerire. I ricci NON SONO roditori e incoraggiarli a masticare gli rovinerà i denti causando severi problemi di salute che rimpiangerai più tardi. Fai in modo che non ingoino o si taglino con i giochi che gli fornisci.
- Se la temperatura della tua casa è troppo fredda, alzala tramite uno scaldino in ceramica o una stufa elettrica, e se questo non funziona una coperta elettrica regolata al minimo. Non usare lampadine perchè disturbano il ciclo notte/giorno per i ricci.
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Avvertenze
- Attenzione: NON usare trucioli di legno di cedro perchè mischiato con l’urina dei ricci può formare esalazioni tossiche. Anche i trucioli di legno di pino che non sono stati essiccati in modo inappropriato possono creare esalazioni se mischiati all’urina dei ricci. Se il pacco di trucioli ha un forte odore di pino può darsi che sia non stato essiccato in maniera adatta. Cerca una busta che odora piú di legno che di pino.
- Non confondere la perdita di aculei normale con quella causata dal danno di parassiti, infezione o dieta povera. Se hai dubbi, consulta un veterinario.
- Non permettere che i ricci vadano in “semi-letargo” – è letale per il riccio pigmeo. Il sintomo piu comune è una profonda letargia e se il riccio è freddo al tocco. Se questo accade, tira fuori il riccio immediatamente dalla gabbia e mettilo sotto i tuoi vestiti o a contatto con il calore del tuo corpo per riscaldarlo. Continua a riscaldarlo usando oggetti caldi ma non bollenti, come asciugamani riscaldati, una coperta elettrica ricoperta regolata al minimo, oppure una borsa dell’acqua calda. Se il riccio non si riprende o non sembra attivo, rivolgiti immediatamente ad un veterinario.
- Tratta il tuo riccio con delicatezza. Non farlo cadere, non rotolarlo quando si appallottola, non tirarlo, non dargli fastidio fino a farlo diventare irritabile e aggressivo.
- Se tratti il riccio bruscamente e non fai attenzione potrebbe morderti. E’ un animale, dopo tutto.
Cinghiali scatenati Due cacciatori ottantenni aggrediti nel Cuneese
1 – CHI
Il cinghiale (Sus scrofa Linnaeus, 1758) è un mammifero artiodattilo della famiglia dei Suidi. Per l’Italia sono state descritte le sottospecie Sus scrofa scrofa, Sus scrofa majori (Maremma), Sus scrofa meridionalis (Sardegna). Di fatto però, nell’Italia peninsulare l’identità genetica del cinghiale è compromessa dalle massicce e ripetute immissioni a scopo venatorio, effettuate, a partire dal secondo dopoguerra, con soggetti centro-europei (di taglia maggiore) o ibridati con il maiale (più prolifici).2 – DOVE
Originario dell’Eurasia e del Nordafrica, nel corso dei millenni il cinghiale è stato a più riprese decimato e reintrodotto in ampie porzioni del proprio areale.3 – QUANDO
La forma autoctona (nativa) delle regioni settentrionali italiane scomparve prima che potesse essere caratterizzata dal punto di vista sistematico.4 – COSA
Aumento numerico della popolazione di cinghiale sul Carso triestino e fenomeni di inurbamento (cinghiali in città): danni ad attività umane, problemi sociali, sicurezza pubblica.5 – PERCHE’
E’ stata attuata un’enorme attività di foraggiamento degli animali con lo scopo di fermarli nell’area peri-urbana e di farne crescere a dismisura il numero. L’attività di foraggiamento, finalizzata ad avere un’enorme quantità di selvaggina in aree facilmente accessibili, è stata eseguita dal mondo venatorio, anche con il supporto dell’ allora Comitato Provinciale della Caccia. Un’altra importante causa di inurbamento degli animali è il progressivo abbandono dei campi coltivati (con conseguente rimboschimento delle aree peri-urbane) e l’espandersi delle città a ridosso dell’Altipiano carsico, con frammentazione dell’habitat naturale.6 – COMPORTAMENTO – SICUREZZA
I cinghiali, se non molestati o feriti, sono animali tranquilli e non aggressivi nei confronti dell’uomo, ciò vale anche per le femmine con i cuccioli. Si avvicinano all’uomo in quanto animali semi-domestici (spesso ibridati coi maiali e molto simili a questi ultimi) ed abituati perciò alla nostra presenza. Sono animali sociali la cui unità base è costituita dalle femmine con i piccoli dell’anno ed eventualmente i giovani dell’anno precedente, mentre i maschi adulti conducono vita solitaria.7 – SITUAZIONE LEGISLATIVA
Legge nazionale: 157/92, norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Compete alla Provincia o agli organi gestori di Parchi e Riserve naturali, rilevare le esigenze sul territorio, verificare lo stato di attuazione delle misure preventive dei danni (metodi incruenti ed ecologici) adottate, nonché proporre alla Regione l’adozione di un provvedimento in deroga. Sentito il parere dell’ISPRA la Regione potrà quindi autorizzare le azioni necessarie. L’abbattimento in deroga può venir autorizzato solo in caso di provata inefficacia dei metodi dissuasivi (incruenti) e deve essere giustificato da documentato pericolo per l’incolumità pubblica o in caso si prevedano ingenti danni economici. La L.R. 6/3/ 2008, n. 6 prevede un indennizzo per le opere non cruente di prevenzione dei danni da fauna selvatica (fondo per il miglioramento ambientale e la copertura di rischi, assegnato in parte alle province).8 – SITUAZIONE ECOLOGICA
Al contrario di ciò che spesso si è portati a credere a causa di una scarsa e scorretta informazione, la presenza massiccia dei cinghiali nei boschi non è un problema ecologico (in natura non esiste il concetto di “troppi cinghiali”, il sistema infatti si autoregola) ma un problema sociale, di interazione tra questa specie ed alcuni esponenti della specie umana che lamentano danni a vigneti, orti e coltivazioni e/o sono colti da timori irrazionali ed infondati per gli animali.9 – GESTIONE E CONTENIMENTO
1 – Recinzioni meccaniche o elettriche
I danni causati dai cinghiali a vigneti, frutteti ed orti potrebbero essere evitati con apposite recinzioni (ad es. rete interrata, recinzioni elettriche).2 – Foraggiamento dissuasivo
Gli animali potrebbero essere allontanati dalle aree urbane allestendo delle stazioni di foraggio al di fuori dei centri abitati, o utilizzando delle coltivazioni esca, entrambi metodi validi e facilmente attuabili, già sperimentati con ottimi risultati in provincia di Pordenone. Questo metodo si è dimostrato valido anche per proteggere dai danni i campi coltivati.3 – Repellenti chimici/biologici
Utilizzo di sostanze repellenti specie-specifiche che agiscono sul sistema olfattivo e gustativo. Siano esse di sintesi o di origine naturale, si reperiscono di solito in forma liquida e vanno applicate su stracci, corde, spugne, ecc. distribuite lungo il perimetro della zona interessata, si sono dimostrati particolarmente efficaci. Alcuni prodotti garantiscono la durata di diversi mesi.4 – Gestione venatoria
Quando in un territorio viene abbattuto un certo numero di esemplari, il che avviene soprattutto in autunno ed in inverno, i sopravvissuti hanno un migliore apporto nutritivo. Gli animali così rinforzati si riproducono in primavera, prima e con un maggior numero di discendenti. Secondo recenti studi la caccia non rappresenta una soluzione valida per il contenimento dei cinghiali, tendendo anche a peggiorare la situazione a medio-lungo termine. Spaventando gli animali inoltre non si ottiene che soltanto un effetto temporaneo di allontanamento, presto compensato da altri individui.10 – PER ULTERIORI INFORMAZIONI
MI.F.A. – Missione Fauna & Ambiente – onlus, sezione TriesteRIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Amici A. Serrani F. 2004 Linee guida per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nella provincia di Viterbo, Università della Tuscia, Dipartimento di produzioni animali – Provincia di Viterbo, Assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca – Juan Herrero . Alicia García-Serrano , Sergio Couto ,Vicente M. Ortuño , Ricardo García-González 2006, Diet of wild boar Sus scrofa L. and crop damage in an intensive agroecosystemIl Cinghiale, la specie, la sua gestione e la prevenzione dei danni, 2006. Regione Autonoma F.V.G. direzione centralerisorse agricole, naturali, forestali e montagna. Servizio tutela ambienti naturali e fauna. Ufficio studi faunistici.
Oliver Keuling, Norman Stier, Mechthild Roth, 2008. Commuting, shifting or remaining? Different spatial utilisation patterns of wild boar Sus scrofa L. in forest and field crops during summer Checchi .A., Montroni C. Repellenti olfattivi e gustativi nella prevenzione dei danni in agricoltura (Poster). Dipartimento di Economia ed Ingegneria Agrarie (DEIAGra) – Sezione di Ingegneria del territorio, costruzioni e fisica – Università di BolognaScoiattoli grigi, perché è giusto eradicarli
La decisione di “deportare” gli scoiattoli grigi di Nervi continua a fare discutere. Questi simpatici animaletti, inseriti tra le 100 specie più pericolose del pianeta per la capacità di espandersi a danno delle altre e in particolare dei loro cugini rossi, minacciano la biodiversità e gli equilibri degli ecosistemi a cui sono estranei.
Tuttavia sono in molti a chiedersi che male possono fare quelli che da anni vivono nei giardini sul lungomare e che ormai per i cittadini del capoluogo ligure sono parte integrante delle passeggiate al sole. Chi è in grado di rispondere a questo interrogativo meglio di un genovese doc, prestato all’Australia per conseguire il Ph.D all’ARC Centre of Excellence for Environmental Decisions, presso la School of Botany, dell’università di Melbourne? Ecco l’articolo di Stefano Canessa, pubblicato sul suo blog, scritto sotto forma di domande e risposte per spiegare ai suoi concittadini e a tutti gli scettici che non esiste altra soluzione. Cos’hanno fatto di male gli scoiattoli di Nervi? Lo scoiattolo grigio e’ una specie americana, non presente naturalmente in Europa. In Europa e’ stato introdotto in Italia e in Inghilterra nel XX secolo: in Italia le introduzioni sono avvenute in Piemonte nel 1948 e 1994 e a Nervi (GE) nel 1966. In Inghilterra lo scoiattolo grigio si e’ diffuso nella maggior parte del paese e i tentativi di eradicarlo (eliminare le sue popolazioni) sono falliti. Da allora, sono stati osservati e documentati al di la’ di ogni possibile dubbio questi effetti: Lo scoiattolo grigio compete con quello rosso (la specie originaria dell’Europa) e poco a poco lo rimpiazza. Questo avviene perche’ si appropria delle risorse disponibili, è più aggressivo, ha meno predatori e anche perché lo scoiattolo grigio è portatore di un virus che uccide lo scoiattolo rosso. Nelle zone dove lo scoiattolo grigio non viene tenuto sotto controllo, caccia e uccide uova e nidiacei di molte specie di uccelli boschivi, causandone una drastica diminuzione. Quello rosso non causa questi problemi. Lo scoiattolo grigio scorteccia e danneggia molte specie di alberi (faggi, querce, abeti), danneggiando sia le specie che vivono nelle foreste sia la qualità e il valore del legname a scopo commerciale. In conclusione, lo scoiattolo grigio è chiaramente dannoso sia per molte altre specie animali, sia per interi ecosistemi, e puù causare anche danni puramente economici. E’ stato dimostrato che in Inghiltera i soli danni causati dallo scoiattolo grigio all’industria del legname ammontano a circa 10 milioni di sterline, senza neanche calcolare i danni alle altre specie e al valore estetico e culturale dei boschi danneggiati. Il problema fondamentale è che lo scoiattolo grigio è un animale con una “personalita’”, per cui diventa difficile vederlo come una minaccia. Eppure questo rappresenta: una malattia. Provate per un momento a vederlo come un batterio, un microbo: anche queste sono specie viventi, e proprio come lo scoiattolo grigio, hanno la capacità di diffondersi, passare da un “malato” a un altro (boschi) e causare danni fino ad uccidere il malato. Ma qualcuno sarebbe disposto a difendere il parassita che causa la malaria, perfino nelle sue zone d’origine? E pensate se qualcuno provasse di proposito a creare una zona malarica in Italia, non vorremmo forse liberarcene prima possibile? Alla fine, questo è quello che abbiamo fatto: creare un serbatoio di una malattia che puo’ creare danni certi. E’ logico cercare di riparare al danno fatto, soprattutto visto che chi ne risentirebbe non saremmo noi, almeno nel breve periodo, ma altre specie indifese. A Nervi gli scoiattoli sono isolati e non fanno male a nessuno. Come qualunque malattia (ciò che di fatto sono, anche se hanno un musetto simpatico) il pericolo sta nell’avere un serbatoio di infezione. Esistono studi molto accurati che mostrano come, se questi animali dovessero sfuggire dai parchi di Nervi e diffondersi altrove, si espanderebbero presto a grande velocita’, fino ad occupare nel giro di pochi anni gran parte del Nord Italia, dove causerebbero tutti i danni descritti sopra. L’esperienza inglese con gli scoiattoli, e quella nel resto del mondo con decine e decine di altri casi simili, dimostra che e’ impossibile escludere che questi animali si possano diffondere al di fuori dei parchi di Nervi. A quel punto qualunque azione diventerebbe impossibile: al contrario, agire mentre sono ancora circoscritti nel parco ha notevoli probabilita’ di riuscire completamente (come se il parco rappresentasse una specie di “quarantena” da cui eliminare l’infezione poco a poco). Non si possono usare altri sistemi? Non sono coinvolto in alcun modo nel programma di eradicazione e quindi posso solo fare delle ipotesi, che non riflettono necessariamente le argomentazioni dei responsabili ma solo il mio punto di vista professionale. Bisogna come minimo assicurarsi che non possano riprodursi: semplicemente spostarli non risolverebbe nulla e anzi creerebbe ancora piu’ rischi. Sterilizzarli e rimetterli dove sono renderebbe molto difficile capire quali sono stati gia’ sterilizzati (non e’ pensabile che vengano catturati tutti in una volta sola) e finirebbe per creare confusione e aumentare i costi riducendo l’efficienza del programma. Reintrodurli nelle loro zone d’origine: ovviamente questa sarebbe una soluzione estremamente costosa, visto che questi animali vengono dal Nord America e anche solo il traferimento richiederebbe una serie infinita di controlli, permessi, procedure, per non parlare del biglietto aereo. Inoltre questi animali sono nati e cresciuti a Nervi, a contatto con il nostro ambiente, che e’ molto diverso da quello americano. Riportandoli laggiu’, non c’e’ modo di sapere se porteranno con se’ malattie o parassiti potenzialmente dannosi: in concreto, dubito che in America li rivogliano indietro. Non e’ assurdo dire di voler fare “conservazione” e uccidere degli animali? Per capire le ragioni dei conservazionisti, bisogna allargare la propria visione. Lo scoiattolo grigio vive e prospera nel suo ambiente originario: eliminare gli esemplari in Italia non causerà alcun danno alla specie che non si estinguerà certo per questo. Viceversa, se non vengono eliminati c’e’ il concreto rischio che lo scoiattolo rosso vada incontro all’estinzione totale, mentre se si riuscisse almeno a tenere sotto controllo i grigi, potrebbe sopravvivere almeno in parte. Quindi: eliminando i grigi, 2 specie – non eliminando i grigi, 1 specie. Il vantaggio per l’ambiente nel suo complesso è evidente, se solo ci si sforza di considerare il quadro generale. E tutto questo senza considerare le specie di uccelli che potrebbero andare perdute in seguito all’espansione del grigio in Europa. In pratica, eliminare gli scoiattoli grigi rappresentebbe un “massacro” di pochi esemplari – non eliminarli rappresenterebbe un “massacro” di un’intera specie, piu’ notevoli quantita’ di altre. Il fatto che questo avverrebbe lontano dai nostri occhi, anzichè nei giardinetti sotto casa, non lo rende meno drammatico e cruento. Se lo scoiattolo grigio e’ piu’ resistente di quello rosso, non sarebbe piu’ giusto lasciare che la natura faccia il suo corso? Il problema è che il corso della natura è stato alterato all’origine. In condizioni naturali, lo scoiattolo grigio non sarebbe mai giunto in Europa, o vi sarebbe arrivato (chissà) nel corso di milioni di anni, dando la possibilita’ ad altre specie di adattarsi. Invece l’introduzione è stata effettuata dall’uomo e volontariamente, mettendo a rischio altre specie del tutto incolpevoli. Il valore della diversità è proprio questo, avere piu’ specie ciascuna nel contesto che le compete: uno scoiattolo in America e uno in Europa, ciascuno con la sua storia e il suo valore, il suo ruolo nell’ecosistema. Per consentire che la natura faccia il suo corso, è giusto riparare un danno che abbiamo fatto: il metodo scelto per la rimozione degli scoiattoli grigi è il piu’ efficace nel garantire che non vi siano effetti collaterali. Perchè questa ossessione con le specie “alloctone”? Non sono comunque animali? Un ecosistema è tanto più resistente e capace di adattarsi ai cambiamenti quanto più è “diverso” al suo interno, nel senso che ha più specie, alcune delle quali possono evolversi mentre altre spariranno. Nel “corso della natura”, i cambiamenti, le estinzioni e le evoluzioni di nuove specie sono processi che impiegano milioni di anni: quando l’uomo elimina aree naturali intatte, o introduce specie esotiche, il cambiamento è immediato. Molte specie non hanno la possibilità di reagire e spariscono rapidamente. Il risultato è una perdita netta: dove prima c’era una varietà di forme e colori, adesso ce n’è solo uno, o nessuno. Nel mondo, la sparizione di specie animali e vegetali ha raggiunto un ritmo senza precedenti: tutti gli studi compiuti fino ad oggi indicano come prima causa la distruzione degli habitat causata dall’uomo. Al secondo posto si trovano proprio le specie “alloctone”: in tutto il mondo i danni che queste causano sono spaventosi e solitamente irreparabili. In questo senso, introdurre specie che non dovrebbero trovarsi in un certo ambiente è proprio come versare dei liquami inquinanti o abbattere delle foreste. Quando vogliamo disfarci delle tartarughine che sono cresciute troppo e le rilasciamo nel laghetto dietro casa, stiamo volontariamente condannando altre specie al declino e all’estinzione. Nei paesi dove questo processo è chiaro, come l’Australia, non troverete nessuno disposto a difendere le specie alloctone: tutti sanno che permettere ad una volpe (animale che personalmente adoro) di sopravvivere significa condannare a morte migliaia di altri piccoli mammiferi, uccelli e altra fauna. I governi hanno ben chiari i danni che questi invasori possono arrecare, sia in termini di biodiversità che economici, esistono accurati programmi di controllo e se possibile di eradicazione, e le comunità sostengono e partecipano attivamente a tali programmi, perché sanno di aggiungere valore all’ambiente, e non toglierlo. E allora? Cosa puo’ insegnarci la storia dello scoiattolo grigio? Personalmente credo ci indichi come gli animali non sono a nostra disposizione per giocare, tenendoli in casa e poi rilasciarli dove ci pare quando ce ne stufiamo. Credo ci dica anche che abbiamo grosse responsabilità nei confronti dell’ambiente, perché possiamo creare danni mostruosi anche senza volere: fortunatamente abbiamo la capacita’ di imparare e correggere i nostri errori. Infine, che la difesa dell’ambiente non può essere egoistica (evitare sensi di colpa o voler a tutti i costi vedere gli scoiattoli nel parco di Nervi) ma deve necessariamente cercare di vedere il quadro generale delle cose, perché è quello in cui ci troviamo anche noi. Stefano Canessa