Il ritorno dell’orso sulle Alpi Centrali

Ursus arctos

Quale futuro per l’orso bruno (Ursus arctos)? Malgrado sia una specie protetta fin dal 1939, il rapporto tra uomini e orsi non sempre è stato corretto, tanto che alla fine del secolo scorso se ne paventava addirittura l’estinzione. Con l’intervento dell’Unione europea, ha preso avvio nel 1996 un progetto, rifinanziato nel 2000, per la salvaguardia del celebrato planti-grado. Il progetto è stato promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e con-dotto in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il fu-turo degli orsi sembra oggi meno precario, anche se sarà necessario che gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado trovino le opportune sinergie e collaborazioni.
L’orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente rilevante a livello europeo, come sancito dalle direttive comunitarie preposte alla salvaguardia della biodiversità. Nella direttiva “Habitat” (92/43 CEE), il plantigrado è indicato come “specie prioritaria” (con asterisco), ovvero come specie «per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare» (Art. 1), «per cui gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione» (Art. 11) e infine elencato tra le specie «di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa» (allegato IV). Inoltre, in Europa l’orso bruno è una specie inclusa nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”) della Convenzione di Berna del 1979, in cui le nazioni aderenti vengono stimolate a trovare opportune misure di salvaguardia della specie e di conservazione degli habitat.

A dispetto del supporto legale (l’orso bruno è una specie protetta fin dal 1939 in base all’art. 38 del Testo Unico della Caccia, secondo il qua-le veniva considerato raro e meritevole di protezione), il rapporto tra uomini e orsi è sempre stato ambivalente. Se, per un verso, l’orso ha condiviso il suo territorio con l’uomo fin dall’antichità, entrando a pie-no titolo nella cultura delle genti alpine, alcuni fattori conflittuali hanno condannato la specie ad una caccia spietata che, intorno al XIX-XX se-colo, ne ha decretato l’estinzione quasi totale dall’arco alpino. Già dopo la seconda guerra mondiale, il plantigrado è dunque rimasto confinato in una ristretta area del Trentino occidentale che nel 1988, anche per questo scopo, è divenuta area protetta con il nome di Parco Naturale Adamello Brenta. Alla fine del secolo scorso, tuttavia, anche il nucleo di orsi del Brenta, ridotto a non più di 2-3 individui, aveva superato la so-glia dell’estinzione: una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile.

In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti “Life” dell’Unione Europea il Progetto “Ursus – Tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, rifinanziato nel 2000 (sempre dall’Unione Europea) con il titolo “Ursus – Seconda fase di tutela del-l’orso bruno del Brenta”.

Il progetto “Life-Ursus”


Ursus arctos2L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promos-so dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) – si è basato su una attenta fase preparatoria. In base ad un apposito “Studio di fattibilità”, la reintroduzione è stata individuata come l’unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui. Lo “Studio di fattibilità” ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1.700 km2 le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale.

Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità, numerosi sono stati i partner che han-no collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con quella di Trento, anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi immessi, con il WWF di Trento e con numero-si altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria.
Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto Doxa di Milano): più di 1500 abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70percento dei residenti interpellati si sono dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80per-cento di fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza.

Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e dettagliata-mente pianificati dal Parco nell’ambito delle “Linee Guida” che, oltre a definire l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per favorire una positiva realizzazione della reintroduzione.
La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il 2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina).

Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti. Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo successivo al ri-lascio, confermando le previsioni dello “Studio di fattibilità” e l’ottimo adattamento degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita.

 

Presente e futuro degli orsi sulle Alpi


Ursus-arctos-horribilisIl successo dell’operazione di reintroduzione è stato sancito soprattutto dal rapido accrescimento della popolazione. A seguito degli otto eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e i primi mesi del 2006 (per un totale di 20 cuccioli nati in 5 anni) dopo più di un decennio di inattività riproduttiva, il nucleo di orsi che ha il Parco come sua core area è oggi stimato in più di 20 esemplari.

Parallelamente all’incremento numerico, la popolazione di orsi si sta espandendo anche dal punto di vista territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al Trentino occidentale ma comprende aree distanti qualche decina di chilometri dal Parco. L’esplorazione del territorio, sintomo del raggiungimento della capacità portante dell’area pro-tetta e dell’idoneità ambientale dei territori confinanti, lascia ben spera-re per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato. Desta infatti particolare preoccupazione la consanguineità tra gli individui derivante dal fatto che la maggior parte dei cuccioli nati in Trentino negli ultimi anni sono figli di un unico maschio (Joze, 11 anni di età), con un conseguente elevato rischio di depressione da inbreeding per le prossime generazioni se non si interverrà preventivamente.

ursus-arctos-tegnProprio per questo motivo, nonostante la fine dei finanziamenti europei, il Parco prosegue le sue attività di tutela nei confronti del plantigrado, in stretta collaborazione con gli altri enti coinvolti (in primis la Provincia Autonoma di Trento, ente legalmente preposto alla gestione della specie).
Nel dettaglio, per favorire il raggiungimento di una popolazione minima vitale sulle Alpi Centrali, l’impegno del Parco si è concretizzato mediante l’istituzione, al suo interno, di un “Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno” composto da biologi, naturalisti ed un eterinario che coordinano le attività di ricerca scientifica e divulga-zione nei confronti della specie. Conoscere il numero di individui, la distribuzione sul territorio e la ripartizione per sesso ed età, ma anche le abitudini alimentari, le caratteristiche dell’ibernazione e i potenziali fattori di disturbo della popolazione di orsi è infatti indispensabile per controllarne l’evoluzione nel tempo e prendere conseguentemente le decisioni gestionali più idonee. Considerando inoltre che a tutt’oggi l’immagine dell’orso bruno nell’opinione pubblica rimane basata più su miti e leggende che su assunzioni di ordine biologico ed ecologico, il progetto di conservazione del Parco prevede, oltre alle attività di monitoraggio e ricerca scientifica cui si è appena accennato, un’ampia opera di divulgazione e comunicazione rivolta a tutte le categorie sociali. Proprio per ottimizzare la realizzazione di tali interventi di informazione, e per rendere altresì disponibile la propria esperienza anche al di fuori dei propri confini territoriali, il Parco, insieme ad alcuni tra gli enti storicamente impegnati per la salvaguardia del plantigrado sul-l’arco alpino (Servizio Foreste sloveno, WWF Austria e Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Udine), ha delineato alcune azio-ni di comunicazione utili per favorire la convivenza con il plantigrado, con particolare riferimento alle azioni urgenti necessarie nelle zone di nuova colonizzazione. Tali principi sono stati redatti – insieme ad un modello predittivo di dinamica di popolazione tendente ad individua-re le aree di possibile espansione futura degli orsi sulle Alpi – nell’ambito di un apposito progetto ancora una volta promosso dall’Unione Europea (LIFE Co-op Natura “Criteri per la creazione di una metapopolazione alpina di orso bruno”).

Il futuro degli orsi sembra dunque oggi meno incerto, anche se il ri-torno definitivo della specie sulle Alpi è tuttora strettamente dipenden-te dalla possibilità di ricongiungimento tra l’unica popolazione stabile di orsi sull’arco alpino, quella slovena, e i nuclei presenti in Austria e in Italia. Tale possibilità potrà divenire realtà solo se tutti gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado sapranno trovare le più opportune sinergie e forme di cooperazione. Purtroppo le collaborazioni in tal senso, attual-mente, rappresentano più un’eccezione che non la regola.

di Filippo Zibordi

Bibliografia

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DUPRÉ, E. – GENOVESI, P. – PEDROTTI, L. 1998 – Studio di fattibilità per la rein-troduzione dell’orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi centrali. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e Parco Naturale Adamello-Brenta. Rapporto Tecnico: pagg. 1-96.

 

GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-

 

troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea. Documenti Parco n. 15. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 254.

 

GRUPPO DI RICERCA E CONS. DELL’ORSO BRUNO DEL PNAB 2002 – La rein-

 

troduzione dell’orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta. Attività di ricerca scien-tifica e tesi di laurea – seconda parte. Documenti Parco n. 16. Parco Naturale Adamello Brenta Ed. Strembo, pp. 144.

 

MUSTONI, A. 2004 – L’Orso Bruno sulle Alpi, Nitida Immagine Editrice, Cles, pp. 236.

 

PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA 1998 – Linee guida per l’organizzazione e la realizzazione dell’intervento di immissione di orsi nel Parco Naturale Adamello Brenta, pp. 1-25.

 

SWENSON, J. – GERSTL, N. – DAHLE, B. – ZEDROSSER, A. 2000 – Action plan for the conservation of the brown bear in Europe (Ursus arctos), Council of Europe, Nature and Environment, 114: pp. 1-69.

Sperimentazione animale: superflua o necessità?

ratto da laboratorio

L’argomento è interessante e dibattuto ed anche di attualità.
La sperimentazione sugli animali è l’effettuazione di test su esseri viventi a scopo di ricerca, qualcosa che serve non solo a provare l’efficacia di una molecola, ma anche a chiarirne la sua pericolosità, la tossicità, la dose utile e quella “inutile”, c’è un solo passaggio che precede l’uso sull’uomo, quello su esseri più vicini possibile all’essere umano, gli animali.
Per questo motivo i test su animali oggi sono obbligatori per testare l’efficacia e la tossicità di un prodotto, l’alternativa sarebbe quella (drammatica) di passare dalla teoria (le ipotesi scientifiche e le provette) direttamente all’uomo con tutto ciò che potrebbe conseguirne.
Beagle-9C’è però un limite, quello etico: molti animali hanno un valore “affettivo”, possono cioè rappresentare un affetto per tutti noi, i cani, i gatti ma anche altri animali, oggi sono stati addomesticati e sono spesso parte integrante delle nostre famiglie, nascono quindi diversi movimenti che protestano contro la “vivisezione” (ma è un termine corretto?) e che chiedono che si sospendano i test sugli animali a tutti i costi, a questo argomento si può ragionevolmente rispondere con il fatto che la stragrande maggioranza dei test animali a scopo scientifico sono realizzati su animali non “affettivi” quali i topi ed i moscerini. Per questo il dibattito corretto non dovrebbe essere posto solo sul piano etico ma dovrebbe considerare anche il buon senso e la logica: raggiungere un compromesso tra “etica” e “scienza”, obiettivo che già da tempo è discusso proprio negli ambienti scientifici, molto raramente nei movimenti cosiddetti “animalisti”.
Questi movimenti di pensiero hanno molte sfumature, da quelli più “ragionevoli” (che chiedono ad esempio di evitare i test su animali di tipo affettivo o per motivi “superflui”) a quelli più ideologici (che chiedono la sospensione di qualsiasi test su animale, una prospettiva praticamente inapplicabile) fino ad arrivare a movimenti violenti (che attaccano anche fisicamente chiunque sia anche solo teoricamente a favore della sperimentazione animale).
Il problema, come spesso accade, crea fazioni, divisioni, urla e confusione ed il cittadino (quello che alla fine usa ed è destinatario di ciò che si sperimenta sull’animale) è spesso confuso, non sa bene di cosa si parla, è inondato da informazioni di tutti i tipi, molte delle quali false e strumentali. Si tende infatti a far passare l’idea che i ricercatori che sperimentano anche su animali siano persone senza scrupoli né pietà e che gli esperimenti effettuati non servano a niente. In realtà, i movimenti “contro” la sperimentazione non oppongono molti argomenti a quelli di chi spiega l’importanza dell’uso di animali nella ricerca e così il dialogo, spesso animato, si basa quasi unicamente su posizioni etiche ed affettive.
Ci sono anche molte contraddizioni che nascono obbligatoriamente, ancora di più in questo momento, nel quale il parlamento italiano sta discutendo una nuova legge sulla sperimentazione animale che contiene molti punti piuttosto discutibili. Uno di questo è quello relativo agli “xenotrapianti”, ovvero il trapianto di tessuti da una specie animale all’altra. La norma è piuttosto strana, se approvata vi sarebbero conseguenze piuttosto singolari. Ad esempio continuerebbe ad essere permessa la macellazione e consumazione di suini ma sarebbe proibito usare le loro valvole cardiache per salvare la vita ad un essere umano o sarebbe permessa la derattizzazione ma proibito usare un ratto per sperimentare su problemi gravissimi come il cancro o le ustioni.

Proviamo allora a fare chiarezza e chiediamo cos’è ed a cosa serve la sperimentazione animale a chi si occupa di queste cose e lo fa per motivi di ricerca.
Propongo quindi un’intervista al dottor Giuliano Grignaschi, responsabile Animal Care Unit IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.

Ringraziandolo per aver concesso l’intervista credo che questa possa essere una buona occasione per chiarire qualche dubbio.

Dottor Grignaschi, iniziamo chiarendo un concetto: il termine “vivisezione” è corretto? C’è una differenza tra questa e la sperimentazione animale?

Il termine vivisezione indica, ovviamente, la sezione di un essere vivente e quindi potrebbe essere utilizzato per indicare qualsiasi intervento chirurgico, su un animale come su un uomo. Ad esempio, andando dal dentista potrei dire di essere “vivisezionato” e non sbaglierei dal punto di vista grammaticale ma sicuramente la definizione non sarebbe accettata. Il problema infatti è nel significato che comunemente si da a questo termine, utilizzato ad arte per evocare immagini di sofferenza e tortura. Per questo motivo il mondo della ricerca oggi non accetta più l’utilizzo strumentale di questo termine e vuole chiedere che si utilizzi la definizione più corretta di “sperimentazione animale”. Per quanto questa discussione possa apparire banale, va considerato il fatto che stiamo parlando di un argomento ad alto impatto emotivo quindi l’abuso di definizioni particolari, come appunto “vivisezione”, viene utilizzato per stimolare l’emotività della gente e sopraffare la razionalità. Un esempio evidente di questo è la domanda che frequentemente ci sentiamo rivolgere da attivisti di gruppi animalisti: “Perché la vivisezione non la fate sui cadaveri?”; ovviamente chi pronuncia una domanda di questo genere, sopraffatto dall’emotività, non si ferma nemmeno un attimo a ragionare sul significato di ciò che sta chiedendo. Possiamo quindi dire che la differenza tra “vivisezione” e “sperimentazione animale” è nel significato che comunemente si attribuisce ai due termini: nel primo caso una pratica rozza e crudele che è già vietata da tanto tempo mentre nel secondo caso una pratica bio-medica condotta in accordo con normative rigorose ed utilizzando le più moderne tecniche di anestesia ed analgesia.

Il punto più dibattuto e che molti non comprendono è relativo al fatto che l’uso di animali da esperimento sia così necessario. Vi sono alternative? La ricerca sulle malattie e sui farmaci ha la possibilità di affidarsi ad esperimenti senza animali?

La ricerca bio-medica ha numerosi stadi: si inizia dallo studio della biologia di base e del normale funzionamento degli organismi per poi passare alla analisi delle malattie (dell’uomo o degli animali) cercando di capire cosa sta funzionando non correttamente per poi individuare un possibile rimedio (farmaci ma anche dispositivi biomedici come pacemaker, arti meccanici etc.), da validare in test pre-clinici in cellule o con simulazioni a computer e, prima di passare nell’uomo, test pre-clinici in-vivo nell’animale da laboratorio. Dopo aver superato tutte queste fasi si può passare all’uomo, prima con volontari sani, poi piccoli gruppi di pazienti e se tutto va bene, l’ultima fase della sperimentazione è data dalla osservazione degli effetti del farmaco (o del dispositivo biomedico) quando immessi sul mercato e utilizzati da milioni di pazienti. Ognuno di questi passaggi è assolutamente necessario ed è fondamentale che venga svolto in stretta correlazione con il precedente e con il successivo allo scopo di evitare effetti disastrosi. Per essere chiaro provo ad utilizzare un esempio che conosco bene: la ricerca di terapie per la sclerosi laterale amiotrofica (quella che ha colpito molti calciatori recentemente, per intendersi). Si tratta di una patologia rara che colpisce i neuroni di moto (quelli che ci permettono di azionare la muscolatura volontaria) e li porta a morte (neurodegenerazione) nell’arco di pochi anni; la malattia purtroppo diventa evidente nell’uomo solo quando molti neuroni sono già morti e agli ammalati restano pochi anni di vita. La morte sopravviene generalmente a causa della totale paralisi della muscolatura volontaria e quindi anche di quei muscoli che ci permettono di respirare. Ad oggi purtroppo non si sa ancora per quale motivo i neuroni muoiano e quindi come fare a salvarli; inoltre è praticamente impossibile poter prelevare un neurone ammalato e poterlo studiare quindi generalmente si possono utilizzare solo tessuti provenienti da pazienti deceduti che non sono molto utili. Nello studio di questa patologia gli animali sono coinvolti in più stadi, dalla ricerca di base che cerca di individuare i meccanismi che causano la morte dei neuroni in animali ammalati, a quella farmacologica che testa tutte le possibili terapie proposte sulla base dei risultati della ricerca di base, prima di testarle nell’uomo. Senza l’aiuto del modello animale la ricerca su questa malattia sarebbe praticamente ferma poiché sarebbe difficilissimo studiarne le cause all’interno dei neuroni e sarebbe praticamente impossibile testare l’efficacia di possibili trattamenti, visto il relativamente basso numero di pazienti e la difficoltà nell’eseguire la diagnosi che, come detto, solitamente avviene quando ormai la patologia è in fase molto avanzata. In altri campi invece, quali ad esempio la tossicologia acuta, la ricerca ha individuato metodiche che non richiedono più l’utilizzo di animali da laboratorio e oggi tutto viene fatto in-vitro, con grande soddisfazione di tutti (anche delle aziende farmaceutiche che risparmiano enormi quantità di denaro). Purtroppo però questi casi sono assolutamente limitati (circa 40 metodiche alternative validate) e coprono una piccolissima parte della ricerca biomedica.

Cosa dobbiamo alla sperimentazione animale?

Come detto la sperimentazione animale è solo un anello di una lunga catena quindi la riflessione che vorrei fare è leggermente diversa da quella che forse si aspetta. Innanzitutto c’è da dire che nella ricerca di base praticamente tutte la attività degli organismi viventi sono state evidenziate e studiate per la prima volta in animali o piante, basti pensare a Gregor Mendel, padre della genetica, che utilizzò piante di pisello per i suoi studi anche perché non gli fu consentito di utilizzare topi, considerati all’epoca assolutamente indegni di essere ospitati in un laboratorio o ancor meno in un convento. Mi piace inoltre qui ricordare inoltre il premio nobel della prof. Montalcini meritato grazie a studi di base effettuati su ratti che hanno portato all’individuazione di importantissimi fattori di crescita presenti nel cervello. Analogamente al caso della prof. Montalcini, circa il 90% dei premi nobel per la medicina sono stati assegnati a ricercatori che utilizzavano modelli animali. E’ però molto importante un altro aspetto, quello che riguarda l’enorme contributo dato dal modello animale al controllo della tossicità e degli effetti negativi delle molecole in fase di sviluppo. Ad esempio, è stato calcolato che su 100 molecole proposte come possibili chemioterapici, circa 40 vengono scartate nelle fasi di studio in-vitro o in-silico; delle 60 rimaste, circa 50 vengono scartate nelle fasi in-vivo (cioè negli studi in animali) perché non si dimostrano efficaci o perché evidenziano effetti tossici troppo elevati che nelle fasi precedenti non si erano osservati. Dei 10 rimasti, in media, solo uno arriva con successo all’uomo mentre gli altri vengono scartati perché non sono più efficaci di quelli già in commercio (o hanno più effetti collaterali). La sperimentazione animale quindi ha evitato che tante molecole non efficaci o molto tossiche arrivassero direttamente ai nostri malati. Non mi sembra davvero poco! Oggi poi si parla di Avatar e di terapia personalizzata: tumori che vengono prelevati dal paziente e inoculati ai topi nei quali si testano farmaci diversi per trovare il migliore che, una volta individuato, viene somministrato al paziente aumentando le probabilità di successo immediato.

Esistono secondo lei laboratori o sperimentatori che “trattano male” gli animali?

Non posso assolutamente escludere che esistano centri che non rispettano le normative internazionali e che non fanno buona ricerca “trattando male” gli animali e, magari, falsificando i risultati; la comunità scientifica deve essere attenta e isolare immediatamente chi non rispetta né la legge né le buone pratiche di laboratorio. Ripeto: la legge esiste e chi la vìola deve essere denunciato.
Le norme che abbiamo in Italia sono un giusto compromesso tra esigenze della ricerca e rispetto degli animali?
Le norme che abbiamo in Italia sono ottime; il D.to L.vo 116/92 che regolamenta la sperimentazione animale può sicuramente essere migliorato con il recepimento della nuova direttiva ma il livello era già ottimo. Oltre a questo mi lasci dire che la serietà e la competenza degli organismi deputati a controllare le attività dei centri di ricerca (ASL, Ministero della Salute e ISS) hanno sempre garantito il pieno rispetto della normativa vigente.

Il mio cane Frank, sano (e…molto vivace, sigh) anche grazie alla sperimentazione animale

Quali sono le precauzioni e le misure che si adottano per ridurre al minimo lo stress negli animali da esperimento?

Quella delle scienze degli animali da laboratorio è una vera e propria disciplina che negli anni ha portato ad individuare metodiche in grado di ridurre al minimo lo stress e la sofferenza degli animali da laboratorio. Innanzitutto è importante sapere che ogni laboratorio che ospita animali deve avere una speciale autorizzazione ministeriale che viene rilasciata solo se è dimostrato:

• Di possedere una struttura adeguata al mantenimento in condizioni ottimali degli animali (temperatura, umidità, ventilazione, condizioni igieniche etc). Il commento di molti medici che visitano la nostra struttura è “questi animali sono tenuti in condizioni migliori di molti pazienti”.

• Di avere un veterinario responsabile del benessere e della salute degli animali ospitati, sempre disponibile.

• Di avere personale di servizio qualificato in grado di garantire il controllo giornaliero delle condizioni degli animali.

• Di registrare puntualmente tutti gli animali inseriti nelle sperimentazioni

• Di essere in grado di controllare che tutti gli esperimenti siano stati autorizzati dalle autorità competenti.

In strutture con le caratteristiche descritte, sono numerose le procedure attuate per ridurre lo stress degli animali e vanno da lunghi periodi di ambientamento, all’arricchimento ambientale, alla manipolazione quotidiana per finire con i programmi di recupero e di reinserimento a fine sperimentazione. Noi ad esempio collaboriamo con l’associazione “La collina dei conigli” a cui affidiamo molti animali (topi e ratti) a fine sperimentazione affinchè possano essere dati in adozione. Durante le fasi sperimentali invece si fa ricorso a tutte le migliori pratiche di analgesia e anestesia disponibili poichè un animale sofferente NON E’ MAI un buon modello sperimentale. A costo di essere ripetitivo vorrei anche qui sottolineare il fatto che fare sperimentazione su animali maltrattati è eticamente sbagliato per diversi motivi: per prima cosa perché infligge una sofferenza inutile all’animale ma anche perché genera risultati non affidabili (quindi danneggia la ricerca e i malati) e causa uno spreco enorme di risorse (che molte volte derivano dalle donazioni delle famiglie degli ammalati).

Che animali si usano negli esperimenti?

test_animali--400x300In esperimenti bio medici si usano tantissime specie animali ma quelle incluse nelle norme internazionali sono solo i vertebrati; la nuova direttiva europea estende le normative anche ai cefalopodi. Per quanto riguarda i vertebrati, il numero più importante è rappresentato dai roditori (topi e ratti principalmente) che rappresentano più del 90% del totale; grande sviluppo stanno avendo nuovi modelli nei pesci mentre l’utilizzo di conigli, cani gatti e primati non umani è bassissimo e sempre in diminuzione. Numerosi studi però vengono effettuati ad esempio nelle zanzare (per combattere la diffusione della malaria) o nei famosissimi moscerini della frutta o nei cefalopodi. Il principio infatti è che la specie animale viene scelta in base a quello che si deve studiare quindi se il meccanismo di interesse è presente solo nella zanzara, si studierà in quell’animale; se poi il meccanismo di interesse è presente sia, ad esempio, nel cane che nel topo si studierà nel topo. Il virus dell’HIV purtroppo può essere studiato solo nelle scimmie quindi non si hanno alternative al loro utilizzo

Immaginiamo che da domani fosse proibito qualsiasi esperimento sugli animali, cosa succederebbe?

Visto che ancora non disponiamo di valide metodiche alternative alla sperimentazione in-vivo, succederebbe più o meno quello che circa 60 anni fa avveniva nei campi di concentramento nazisti: uomini considerati inferiori (per ragioni economiche o di razza) verrebbero utilizzati come cavie esponendoli a tutti quei rischi che ho descritto prima.

Lei ama gli animali?

Io amo molto gli animali e ne ho sempre ospitati molti in casa mia, cercando di lasciarli vivere nel rispetto delle loro caratteristiche senza cioè mai cercare di “umanizzarli” e trasformarli in qualche cosa che non sono e probabilmente non vogliono essere.

Cosa può dire a chi, amando gli animali, vive con sofferenza l’idea degli stessi nel ruolo di cavie?

Quello che voglio dire (e che dico sempre) è molto semplice: affiancateci in questo percorso e aiutateci ad individuare al più presto delle autentiche metodiche alternative. Entrate con noi nelle università e nei laboratori (solo nel 20% circa si fa sperimentazione animale quindi c’è molto spazio anche per chi non la vuole utilizzare) e impegnatevi nella ricerca! Una sera un attivista di un gruppo animalista mi ha detto che anni fa iniziò a studiare medicina veterinaria ma dopo poco abbandonò gli studi per dedicarsi al volontariato in un canile; io rispetto totalmente la sua scelta ma sono convinto che se avesse continuato gli studi e si fosse laureato oggi potrebbe essere molto più utile agli animali che ama. Tutti vogliamo smettere di servirci del modello animale ma prima dobbiamo trovare un modello migliore, altrimenti ne faranno le conseguenze i nostri ammalati e questo non è accettabile, almeno per me.
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Un doveroso ringraziamento al dott. Grignaschi per la sua disponibilità e chiarezza. Se dovesse seguirne un dibattito spero che si mantenga nei binari della civiltà e del rispetto, anche perché temi come la malattia e la ricerca non meritano di essere trattati con volgarità.

fonte: medbunker.blogspot.it

Bulldog

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Il suo nome, tradotto dall’inglese, significa “cane toro” ma il bulldog è in realtà un cane pacifico e tranquillo.

Dolce, sensibile, intelligente e molto equilibrato il bulldog ha una predilezione per i bambini e per le persone anziane.

bulldog3Nonostante possieda una straordinaria forza fisica, difficilmente perde le staffe e risponde alle provocazioni ma non bisogna approfittare della sua pazienza: è pur sempre un diretto discendente dei molossi, e i suoi antenati, nella metà dell’Ottocento, combattevano con i tori.

Ma il bulldog ha davvero solo virtù? In realtà qualche piccolo difetto ce l’ha pure lui. Un esempio? La sua proverbiale cocciutaggine che talvolta fa perdere la pazienza anche al più devoto dei padroni.
Il muso del bulldog è formato da molte rughe che vanno quotidianamente pulite per evitare l’insorgere di infezioni, anche gli occhi vanno controllati e puliti con frequenza.

Saltuariamente ispezionare che tra le dita delle zampe non si sia formata la dermatite
interdigitale.

Durante i mesi caldi, soprattutto nelle ore centrali della giornata, evitate di farlo uscire: il bulldog soffre molto il caldo e data la conformazione del muso, molto corto e rincagnato, respira con fatica.

Anche se il suo mantello è molto corto, sono indispensabili spazzolate frequenti per evitare di ritrovare il pelo sparso ovunque.
Corpo: tronco compatto con petto ampio; dorso corto, forte, più largo nella parte anteriore; basso sugli arti; collo forte e muscoloso, ben arcuato.

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Morfologia:

Testa: cranio largo, fronte ampia, piatta con pelle cascante, canna nasale molto corta; tartufo largo, di colore nero, con narici ben aperte e definite; mascella larga, massiccia, quadrata, la mascella inferiore deve sopravanzare su quella superiore;

Occhi: di forma tonda, di medie dimensioni, né prominenti né infossati; di colore molto scuro;
Orecchie: di piccole dimensioni, sottili, inserite alte sulla testa,

Zampe anteriori: molto vigorose, solide, muscolatura ben sviluppata; più corte di quelle posteriori, in perfetto appiombo; piedi corti e diritti;

Zampe posteriori: forti e muscolose, proporzionalmente più lunghe di quelle anteriori; garretti ben discesi, leggermente inclinati;

Coda: inserita bassa, diritta, piuttosto corta, spessa alla base si assottiglia all’estremità;

Mantello: sottile, corto, liscio, non ispido, compatto;

Colori: tigrato, bianco, bianco pezzato, marrone, fulvo.

 

Note:

regalo-cuccioli-di-bulldog-inglese_98785122226105177Le femmine hanno spesso problemi durante il parto a causa delle dimensioni della testa dei cuccioli: in quei casi si deve ricorrere al taglio cesareo. Molte femmine sono inoltre infeconde e per questa ragione il prezzo di un esemplare di questa razza può essere alto. La vita media si aggira intorno agli 8-9 anni. Il problema principale di questa razza è il caldo: viene sottoposto a innumerevoli sforzi respiratori per sopportarlo. Bisogna evitare di farlo muovere eccessivamente in condizioni climatiche calde ed evitare di farlo entrare in luoghi troppo afosi. I maggiori danni che il caldo gli arreca possono essere fatali. Difetti: orecchie non portate “a rosa”, tartufo sporgente, andatura irregolare, denti irregolari, misure e colori differenti da quelle sopra descritte, occhi chiari.

Vendere Cani e Gatti di razza ma senza pedigree è illegale

cani-con-pedigreeChi ha mai sentito parlare del Decreto Legislativo n. 529, del 30 dicembre 1992?
Probabilmente nessuno: eppure esiste, è attualmente in vigore e vent’anni fa è andato a sostituire la legge n. 30 del 15 gennaio 1991, che era riferita solo agli animali da reddito.
Il D.Lgs 529/92 recepisce invece la direttiva europea 91/174/CEE relativa alle condizioni zootecniche e genealogiche che disciplinano la commercializzazione degli animali di razza, estendo l’applicazione anche a tutte le specie e razze che non erano contemplate nella legge n. 30, quindi anche a cani e gatti.
Ma di cosa parla, questo misconosciuto decreto?
pedigree_fronteParla del concetto di “animale di razza pura” e stabilisce le regole per la sua commercializzazione, determinando una volta per tutte – e senza possibilità di equivoci – la definizione giuridica di “cane o gatto di razza”… e VIETANDO, di fatto, la vendita di animali sprovvisti di certificato genealogico.
Insomma, non solo il cane (o il gatto) senza pedigree non possono in alcun modo essere definiti “di razza” (come già sapevamo): ma non possono neppure essere ceduti in cambio di denaro!
Infatti, all”art. 5, il decreto stabilisce che “è consentita la commercializzazione di animali di razza di origine nazionale e comunitaria, nonché dello sperma, degli ovuli e degli embrioni dei medesimi, esclusivamente con riferimento a soggetti iscritti ai libri genealogici o registri anagrafici, di cui al precedente art. 1, comma 1, lettere a) e b), e che risultino accompagnati da apposita certificazione genealogica, rilasciata dall’associazione degli allevatori che detiene il relativo libro genealogico o il registro anagrafico.
É ammessa, altresì, la commercializzazione di animali di razza originari dei Paesi terzi, per i quali il Ministro dell’agricoltura e delle foreste abbia con proprio provvedimento accertato l’esistenza di una normativa almeno equivalente a quella nazionale.
Alle stesse condizioni è ammessa la commercializzazione dello sperma, degli ovuli e degli embrioni provenienti dai detti animali originari dei Paesi terzi. Non sono ammesse condizioni più favorevoli di quelle riservate agli animali di razza originari dei Paesi comunitari.
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque commercializza gli animali indicati nei commi 1 e 2 in violazione delle prescrizioni ivi contenute è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 10.000.000 a L. 60.000.000 (essendo il decreto antecedente all’avvento dell’euro, le cifre sono ancora espresse in lire).

Insomma, la commercializzazione è riservata esclusivamente agli animali accompagnati da pedigree!
I  “senza pedigree” non dovrebbero neanche essere venduti, e sicuramente non venduti come cani o gatti “di razza”:  all’art. 3 dello stesso decreto risulta che non potrebbero neppure essere ammessi alla riproduzione!
Soprattutto nel mondo catofilo c’è grande subbuglio, in questi giorni: ora vedremo se anche il mondo cinofilo saprà muoversi e chiedere il rispetto di questo decreto che potrebbe mettere un definitivo freno alla vendita di cuccioli senza pedigree, ma spacciati per cani/gatti di razza pura.

A questo link (che è quello dell’ANFI, associazione nazionale felina italiana) potete trovare il testo integrale del decreto.

di VALERIA ROSSI

fonte: tipresentoilcane.com

Cervello da Animalisti

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Caro Maurizio Costanzo Show,
oggi non sopporto gli animalisti. Non ce l’ho con gli animali, sia bene inteso, che anzi gradisco vedere e riconoscere attorno a me nella più variegata gamma possibile. Chi non sopporto, poiché ragguardevolmente assurdi nella loro ossessione, sono gli animalisti convinti, gli estremisti animalisti. Ma ancor più fastidio mi danno gli animalisti moderati, che potremmo chiamare gli animalisti qualunquisti, che sottoposti a qualsiasi analisi logica palesano di essere ancor più assurdi, nella loro confusa posizione, degli animalisti estremisti. Tanto per iniziare, distinguiamo: Chi sono gli animalisti estremisti, e chi sono gli animalisti qualunquisti?
I perfetti animalisti estremisti si identificano visceralmente con tutti gli animali, dal visone al gatto, dalla foca monaca alla zanzara, dall’orso grizzly al totano. Cosa significa che si identificano con loro? Significa che attribuiscono a tutti gli animali i propri sentimenti. Non mi piace essere ucciso, dice l’animalista estremista, quindi non piace neanche all’animale. L’animalista estremista non si ciba mai di animali morti (né vivi), non uccide la zanzara che sta per pungerlo, ma si limita a scacciarla (se invece la uccide, è un animalista estremista imperfetto). latte_bambinoNon beve il latte di mucca, poiché così facendo lo sottrarrebbe al vitello, non mangia uova, cioè futuri pulcini (quando poi l’uovo, come spesso accade, è già fecondato, è a tutti gli effetti – tecnici e morali – un aborto di gallina), non indossa visoni, montoni, giacche scamosciate, calzature di cuoio, portafogli di pelle. L’animalista estremista si identifica con tutte le forme di vita animale, ma non con quelle vegetali, di cui si nutre senza rimorsi. Talvolta non s’identifica neanche con l’essere umano, soffrendo per la morte di un animale assai di più che per quella di un individuo umano.
L’animalista qualunquista, invece, si identifica visceralmente con tutti gli animali di aspetto conforme ai propri archetipi interiori. In altre parole: si identifica in un gatto, un visone, un coniglio, un cane, ma non in un ratto, una mosca, un serpente, un verme. Si identifica in quelle poche bestie che il caso e la selezione naturale hanno voluto morbide e di aspetto gradevole per l’occhio umano, ma non in tutti gli altri animali. L’animalista qualunquista è forse una delle massime espressioni d’ipocrisia che si possano descrivere, e completamente deliranti e contraddittorie sono tutte le sue argomentazioni. Una delle più tipiche manifestazioni è il suo avercela a morte con chi indossa pellicce di visone. “Animali vengono uccisi” recita il pio animalista “per poterne indossare la pelliccia! (Orrore!)”, e dice questo con il patetico fervore di chi ha appena scoperto che l’acqua calda è calda.
scarpe-cuoioSe volete punire un animalista qualunquista che abbia appena profferito tale sproloquio, cercate su di lui (o lei) i brandelli di cadavere d’animale che quasi certamente sta indossando senza neanche pensarci. Fategli notare come lui (o lei) cinicamente e senza verecondia calpesti con i propri piedi (puzzolenti?) il cuoio delle proprie scarpe, che fu la pellaccia di un animale che venne ammazzato affinché lui (o lei), adesso la usi per camminare sotto la pioggia, inciampare nei marciapiedi e calpestare le cacche di cane. Fategli notare quale fu l’identità del suo portafogli o borsetta di pelle, pelle che fu di un animale, ucciso affinché lui (o lei) mettesse i propri soldi in un involucro prestigioso che abbia odore di pelle anziché di plastica. Chiedetegli perché non s’infervora e non si scandalizza con uguale foga con chi indossi un giubbotto di pelle, un “chiodo”, un montone rovesciato. Chiedetegli se lui (o lei) possegga tali indumenti nel proprio armadio, e nel caso li abbia, se di ciò non si vergogni. E se non si vergogna, perché dovrebbe vergognarsi chi ha una pelliccia di visone? Ha certamente da vergognarsi chi abbia una pelliccia di leopardo, poiché il leopardo sta estinguendosi, e la cosiddetta “biodiversità” è un’innegabile ricchezza del mondo che andrebbe da noi salvaguardata anziché distrutta, come stiamo invece facendo. Ma il visone non rischia di estinguersi, viene allevato per farne pellicce, viene allevato come i buoi, i montoni, i polli vengono allevati per mangiarli e farne di tutto. Messo alle strette, l’animalista qualunquista, pur di non ammettere la propria ipocrisia, vi dirà: “Ma se gli animali cartellone_chi_mangi_oggi_cavengono allevati per mangiarli, non è immorale…” Siamo nella farneticazione totale. A parte il fatto che i vegetariani dimostrano che senza carni si può benissimo vivere, e che quindi chi mangia carne lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno (proprio come chi compra un visone lo fa perché gli piace, e non perché ne ha bisogno), non è quella di mangiarli, anziché un’attenuante, invece un’aggravante? Specialmente se si considera che mangiare carne è tutt’altro che obbligatorio, essendo l’essere umano onnivoro? Non è macabro assassinare un animale a sangue caldo, un animale che ha un cervello, una vita sessuale, allo scopo di cibarci dei suoi testicoli, della sua lingua, del suo cervello, del suo cuore, del suo fegato, dei suoi reni, del suo intestino, dei suoi muscoli, masticandoli lungamente in bocca per godere del sapore che quel cadavere ci da? Non è ciò anche più macabro di chi dell’animale morto ami indossare l’involucro, cioè la pelliccia? Non nego che indossare la pelle di mammifero morto possa essere un gesto di cattivo gusto, per uno spirito nobile. Ma divorarne lussuriosamente le interiora non lo può essere di meno.
Per demolire allora definitivamente l’incauto animalista qualunquista che della propria ipocrisia ha appena cercato di farne un vanto ai vostri e soprattutto ai propri occhi, trafiggetelo con una nozione banalissima che pochi sanno, perché a pochi interessa:
Dalle ginocchia dei buoi (morti e disossati) viene estratta una sostanza che viene utilizzata per fare l’emulsione delle pellicole fotografiche.
Il cappio della logica è ormai stretto al collo dell’animalista. Quante volte ha fotografato, quante volte ha consumato ossa di buoi assassinati anche per permettere a lui (o a lei) di fare delle fotografie? Quante fotografie ha sprecato, sbagliando la messa a fuoco? Quante ginocchia di buoi sacrificate invano, per il suo dilettantesco gratuito diletto?
Sembra ridicolo. E lo è, infatti. E’ ridicolo come è ridicolo che qualcuno si scandalizzi perché una fanciulla si abbellisca e riscaldi con una pelliccia. Se il vostro interlocutore animalista è intelligente, dopo quanto gli avrete fatto notare si renderà conto di quanto è ridicolo, e su di ciò mediterà. Se non è intelligente, farfuglierà incoerenti giaculatorie animaliste, che vi convinceranno, se voi siete intelligenti, di abbandonarlo al più presto al vacuo autoconforto dei suoi preconcetti.
Capisci, caro Maurizio Costanzo Show, qual è il nocciolo del problema dell’animalismo? Il nocciolo è che l’animalismo si fonda sulla discriminazione razzista. Gli animalisti si ergono a difesa delle razze “elette” tra le specie viventi, secondo criteri che assomigliano molto al credo razzista che fu dei nazisti.
donna-carotaUna delle discriminazioni: NON TUTTE LE SPECIE VIVENTI MERITANO LO STESSO RISPETTO. Gli animalisti estremisti “eleggono” le specie viventi appartenenti al solo mondo animale. I Vegetali vadano a farsi friggere, come infatti avviene nella cucina cinese. Solo perché gli animali sono più simili a noi dei vegetali, vanno salvaguardati a dispetto dei secondi. A tutti gli animalisti estremisti dico solo una cosa: fra 50 o 100 anni sulla terra non esisterà che qualche albero sparso, non più giungle, non più boschi. Sarà invece sempre più pieno di buoi, visoni, polli e montoni. Solo se mai vietassero, in tutto il mondo, la pelliccia di visone, il visone, non più allevato, si estinguerebbe in un battibaleno. Pensate al genocidio degli alberi, ogni volta che lacerate un foglio di carta, ogni volta che gettate via decine di chili di giornali appena sbirciati. Ma io so che mi illudo. Non ci penserete, perché siete animalisti.
Altra discriminazione: NON TUTTI GLI ANIMALI VANNO PRESERVATI: Gli insetti, per esempio, morissero tutti non sarebbe poi male. Nessuna emozione uccidendo una mosca. Grandissima pena per il gatto al quale il monello tira la coda. La discriminazione razzista è spietata. Gli animali sono “eletti” e meritano di vivere se per esempio casualmente presentano il maggior numero dei seguenti caratteri: Occhi grandi, testa grossa in rapporto al corpo, fronte arrotondata, morbida peluria, arti brevi, naso piccolo e all’insù, guance paffute, orecchie grandi, voce acuta.
Perché?
Perché tali caratteristiche, se ci pensate, sono quelle proprie di ogni bambino umano. Ci piacciono gli animali nei quali istintivamente riconosciamo i caratteri tipici dei bambini piccoli, nei quali ritroviamo tutte quelle caratteristiche che ci fanno piacere i bambini piccoli.
E quali sono gli animali che hanno il maggior numero di queste caratteristiche? Il gatto, il cane, l’orsacchiotto, il panda, ma anche il canarino e molti uccellini. Non il verme, non il serpente, non il pesce. In piena analogia ai criteri nazisti, gli animalisti approvano o tollerano la morte degli animali considerati di razza inferiore, ed eleggono a razza superiore e quindi degna di vivere gli animali che rispondono a determinati requisiti estetici.
rattoQualcuno obietta che si vuole tutelare gli animali dotati di maggior intelligenza, quindi più in grado di comprendere la morte che ad essi si infligge? Ipocriti! Uno dei più intelligenti tra tutti i mammiferi è il ratto, e cosa ha fatto l’animalista che per le mie parole s’indigna, contro gli umani stermini di ratti? Quale animalista ha chiesto pari diritti per ratti e visoni? Tra l’altro il ratto presenta tutte quelle caratteristiche estetiche che ne dovrebbero fare un beniamino di tutti. Si dice che è grosso, ma è più piccolo di un gatto. Si dice che è aggressivo, ma è una menzogna. I felini sono carnivori, aggressivi e crudeli, mentre topi e ratti sono onnivori e pacifici. Certo possono mordere se qualcuno cerca di ucciderli, ma come si può biasimarli? Il ratto ha tutte le caratteristiche per piacere, tanto è vero che cartoni animati e fumetti pullulano di eroi positivi a forma di topolini. Perché allora il ratto non piace?
Non piace perché non interpreta fino in fondo il ruolo del “bambino da coccolare”, perché non si assoggetta al dominio dell’Uomo. Tutti gli animali non domestici sono animali incapaci di assoggettarsi al dominio dell’Uomo, e per questo l’Uomo li stermina ed estingue. Il ratto è particolarmente odiato perché non si assoggetta e contemporaneamente non si lascia sterminare ed estinguere.
Chi s’è mai commosso per la morte di una formica? I formicai sono strutture misteriose ed organizzatissime, come potrebbero apparire le nostre città ad un gigantesco extraterrestre che ci osservasse dall’altro. Gli scienziati concordano che le società delle formiche e delle api sono organismi che funzionano in modo intelligente, ma sono così diverse da noi che non ci capiamo niente. E non assomigliano ad un piccolo bambino umano, e quindi non ce ne commuove la morte.
Caro Maurizio Costanzo Show, la vita è una manifestazione della materia che ci appare affascinantissima, poiché ne facciamo parte, ed al livello più alto, secondo quelle che sono le nostre conoscenze attuali. Ma tutti i valori che assegniamo sono proiezioni dei nostri archetipi, dei nostri preconcetti, del nostro pensare per categorie. E tutti i limiti della coscienza che abbiamo di ciò che esiste e di ciò che vive, sono proporzionali allo spazio mentale di cui disponiamo. I valori assoluti sono chimere, e chi li professa inganna sé e gli altri.
L’azione di proiettare i propri valori umani sul ciò che del mondo umano non è, ha un nome preciso: Antropomorfismo.
Gli animalisti sono i perfetti guerrieri dell’antropomorfismo. Non sono i soli, purtroppo. Oggi abbiamo parlato di loro. Chissà se si sono incazzati.

Roberto Quaglia

fonte: robertoquaglia.com

Teramo, imputati animalisti: cani trattenuti nel rifugio solo per lucrare.

LeggeTeramo, cani trattenuti nel rifugio solo per lucrare

Si è aperto il processo per quella che la procura ha definito la truffa dei cani. Imputati tre veterinari della Asl di Teramo e due esponenti di un’associazione animalista teramana.
Le accuse ipotizzate, che dovranno essere provate nel corso del dibattimento, vanno dalla truffa ai maltrattamenti agli animali, dall’omissione d’atti d’ufficio alla falsità ideologica. L’Asl, il Comune di Teramo e La lega difesa del cane di Chieti si sono costituite parte civile. Il processo è stato aggiornato al 28 novembre con l’audizione dei primi dei 24 testi citati dalla pubblica accusa. Secondo la procura 64 cani senza padrone raccolti in strada e portati in una struttura di Colleparco (successivamente smantellata) vi sarebbero stati trattenuti mesi e mesi indebitamente, oltre il periodo necessario a compiere le operazioni di microchippatura e sterilizzazione previste dalla legge prima della reimmissione sul territorio.

Questo, sempre secondo l’accusa, perchè tenere gli animali “parcheggiati” imponeva ai Comuni “proprietari” degli stessi un esborso per garantire loro vitto e alloggio (due euro e 50 centesimi al giorno per ciascun cane).Somme che, a quanto ritengono gli inquirenti, venivano incassate dai gestori della struttura attraverso i contributi che di volta in volta arrivavano dai Comuni per il mantenimento degli animali. Per far sì che i cani venissero trattenuti occorreva però una certificazione che attestasse il loro cattivo stato di salute e la loro potenziale pericolosità a livello igienico-sanitario. Per questo sotto accusa sono finiti anche i veterinari.

Il Comune più danneggiato è quello di Teramo, che avrebbe speso oltre 250mila euro per mantenere decine e decine di cani.

Le indagini sono state portate avanti dagli agenti della Forestale. A processo ci sono esponenti dell’associazione che gestiva la struttura di ricovero finita nelle indagini; il responsabile dell’unità di randagismo dell’Asl; il direttore del dipartimento di prevenzione e responsabile del servizio sanità animale dell’Asl; il responsabile del servizio igiene degli allevamenti e produzioni zootecniche. Un gestore del ricovero è indagato anche per esercizio abusivo della professione. Secondo il magistrato si sarebbe sostituito al medico nella gestione sanitaria degli animali, facendo esami diagnostici e somministrando trattamenti terapeutici di competenza del medico. Un’accusa comune a tutti è quella dei maltrattamenti ad animali: secondo il magistrato avrebbero sottoposto 64 cani e 70 gatti a sevizie e fatiche costringendoli a vivere ammassati in ambienti angusti.
Fonte (http://www.anmvioggi.it/)

In gravidanza con animale domestico

Donna-in-gravidanza-caneHai appena scoperto che diventerai mamma e un dubbio ti assale: dovrai rinunciare alle fusa del tuo amatissimo gatto o alle feste del tuo cane? In genere la risposta è no, però dovrai stare molto più attenta di prima all’igiene e all’educazione dei tuoi amici a quattro zampe e quando il bambino sarà nato non dovrai mai lasciarlo solo con l’animale (la sicurezza deve essere sempre al primo posto). Detto questo, ecco i nostri consigli per una convivenza senza problemi.

Le cinque regole per una convivenza felice

VISITA DAL VETERINARIO. Prima dell’arrivo del bambino porta il tuo cane o il tuo gatto dal veterinario per una visita completa. Il veterinario dovrà considerare le vaccinazioni, la disinfestazione da parassiti e la sverminazione. Quest’ultima deve essere fatta a intervalli regolari anche dopo la nascita del bambino. Si consiglia la vaccinazione anti-tetanica per tutta la famiglia (il bambino la farà alla nona settimana).

IGIENE PRIMA DI TUTTO. E’ normale che gli animali domestici portino con sé agenti patogeni e che il nostro sistema immunitario si difenda. Un meccanismo che scatta già nel bambino anche se è ancora nella pancia della mamma. E’ importante però che si presti attenzione all’igiene. Per esempio, non dimenticare di lavarti le mani dopo aver dato da mangiare al cane (o gatto che sia), dopo averlo accarezzato oppure dopo averlo pulito. Non farti leccare la faccia o le ferite.

OCCHIO ALLE ALLERGIE. Gli animali con pelo, soprattutto i gatti, possono causare raffreddori allergici o asma. Sono a rischio soprattutto i bambini che hanno genitori allergici. I bambini di genitori non allergici sembrano invece essere meglio protetti se crescono assieme agli animali. Il motivo? Il loro sistema immunitario è così occupato con gli agenti patogeni veri da non considerare gli agenti patogeni presunti (allergeni).

UN PO’ DI EDUCAZIONE. Già durante la gravidanza dovresti insegnare al tuo cane (o gatto) che la culla, la borsa porta bebè o il fasciatoio sono zone off-limit. Allo stesso modo però al cane (o al gatto) deve essere assicurato una cuccia in un luogo dove il bambino non potrà arrivare.

PIU’ COCCOLE. Il tuo cane (o gatto) va un po’ considerato come un bambino a cui nasce un fratellino o una sorellina. Fagli molte coccole per rassicurarlo e cerca di conivolgerlo nella vita quotidiana: non allontanarlo quando cambi il tuo bambino, portagli da mangiare prima di allattare e accarezzalo mentre il piccolo dorme fra le tue braccia.

Durata gravidanza animali

asina gravidaPuò essere consolante sapere che gli animali condividono con noi la percezione dolorosa nel parto, cito da un sito di veterinaria: “Il giorno precedente il parto l’animale inizia a cercare il luogo più adatto per partorire, e può presentare alcuni sintomi, come ansia, respiro affannoso, mangia poco e può vomitare. Inoltre potranno esserci perdite vulvari biancastre. Il travaglio può durare da 6 a 12 ore circa, anche se in alcuni casi non rispetta questa regola”.Il dolore è associato al parto animale con una funzione ben precisa: attirare in modo inequivocabile e imperativo l’attenzione della madre sul fatto che presto darà alla luce i cuccioli, e per questo si troverà in una situazione di grande vulnerabilità.Guidate dal dolore, le femmine animali cercano un rifugio sicuro, nascosto e protetto dai predatori. Anche per noi il dolore rappresenta spesso una spinta a rintanarci, assumere posizioni di auto-protezione, sottrarci agli sguardi. La produzione della prolattina e di altri ormoni coinvolti nel parto conosce il picco nelle ore serali, e questo può giustificare il perché gran parte dei parti nel mondo animale avviene durante la notte, lontano dalle attività diurne. Ciononostante, è accettato che i parti degli animali selvatici siano incomparabilmente più semplici dei nostri parti, e la giustificazione che normalmente se ne dà è che l’animale è guidato dall’istinto. Una delle maniere più ovvie per facilitare il proprio parto, è quindi cercare di sollecitare il meno possibile il nostro cervello raziocinante e parlante, per fare emergere la nostra componente istintuale, che è quella direttamente legata alle funzioni primarie in generale e al controllo degli sfinteri in particolare. E adattare a noi quanto l’istinto suggerisce alle nostre cugine mammifere: cercare la solitudine, il buio della notte, la protezione della tana. Ma quanto dura la gestazione negli animali? Di seguito una piccola tabella indica i giorni di gestazione dei alcuni animali.

 

20 GG TOPO

30 GG CONIGLIO

35 GG LEPRE,MARMOTTA

38 GG CANGURO

42 GG CASTORO

51 GG VOLPE

58 GG GATTO

63 GG CANE,LUPO

90 GG LEOPARDO

105 GG LEONE,TIGRE

112 GG MAIALE

150 GG PECORA

210 GG ORSO.SCIMPANZE

230 GG IPPOPOTAMO

240 GG CERVO

275 GG DELFINO

280 GG BOVINI

305 GG BALENA

336 GG CAVALLO

362 GG ASINO

435 GG GIRAFFA

600 GG ELEFANTE

Come Prendersi Cura di un Riccio

riccioPer chi ha pazienza e dedizione, i ricci sono fantastici animali domestici. Sebbene abbiano bisogno di spazio e di molte attenzioni, sono animali intelligenti e curiosi che faranno molta compagnia a chi saprà come prendersi cura di loro. Ecco alcuni suggerimenti di base.

  1. Provenienza – E’ fondamentale fare ricerca per trovare un buon allevatore dal quale acquistare il riccio altrimenti potresti ritrovarti con un animale di cattivo umore che molto probabilmente non vivrà a lungo. Evita gli annunci sui forum online, come pure i negozi che vendono animali. Assicurati che l’allevatore abbia una buona reputazione e non dimenticare di controllare che il riccio sia in buona salute prima di acquistarlo.
  2. Ricordati che i ricci selvatici non si possono detenere legalmente in quanto sono patrimonio dello Stato. Se trovi un riccio, lascialo li dove si trova a meno che non si trovi in imminente pericolo: vicinanza strade, centro abitato, molestato da altri animali o ferito. I questo caso, raccoglilo e chiama il Corpo Forestale dello Stato.
     Riccio
    2
  3. Prima di portarlo a casa – Prima dell’acquisto, assicurati di avere tutto l’occorrente necessario ad accogliere e allevare il tuo riccio. Non cambiare il cibo che mangia all’improvviso. Informati sul tipo di cibo che l’allevatore gli sta dando e continua a seguire la stessa dieta. Quando porti il riccio a casa per la prima volta, lascialo tranquillo durante le prime 24 ore per dargli il tempo e la tranquillità di esplorare la sua nuova casa e di familiarizzarsi con il nuovo ambiente. Occorrerà circa un mese prima che si abitui alla tua presenza e ai nuovi odori. Dovrai avere pazienza.
     riccio domestico
  4. 3

    Un luogo appropriato. I ricci hanno bisogno di una gabbia molto grande in cui stare comodi. Quindi la loro gabbia dovrebbe essere:

     gabbia per ricci
    • Spaziosa: come minimo 45 cm x 60 cm e con una base solida, o meglio ancora se più grande visto che questo gli garantirà abbastanza spazio per sgranchirsi le gambe e per giocare. Le gabbie non devono avere più di un livello dato che i ricci non hanno una buona vista e le loro zampe sono delicate e si possono fratturare facilmente. Altrettanto pericolose sono quelle gabbie a grata sulle quali possono arrampicarsi. Dovrà anche avere abbastanza spazio per la ciotola del cibo, alcuni giochi e la lettiera.
    • Ben ventilata: l’aria dovrebbe circolare liberamente, trane quando la temperatura nella stanza scende rapidamente (per esempio durante un black out elettrico). In quel caso dovrai coprire la gabbia con una coperta.
    • Sicura: i ricci sono particolarmente bravi a scappare e amano arrampicarsi. Assicurati che la gabbia sia ben chiusa e che il tuo riccio non possa arrampicarsi per uscire dalla gabbia.
    • Fornire un posto in cui nascondersi: dato che il riccio è principalmente un animale da preda, avrà bisogno di un’area nascosta e buia dove possa riposare lontano da occhi indiscreti e rumori fastidiosi. Una cuccia a igloo o un mini sacco a pelo sono l’ideale.
  5. 4

    Avere una temperatura adatta: la temperatura ideale per un riccio va dai 21 ai 29 gradi. Se la temperatura nel tuo appartamento è troppo bassa (sotto i 21 gradi) il riccio andrà probabilmente in letargo il che potrebbe rivelarsi LETALE; se è troppo alta potrebbe soffrire di un colpo di caldo. Se sembra assonnato e si sdraia a zampe larghe come se avesse caldo, o se la sua temperatura corporea è piu fredda del solito, dovrai regolare di conseguenza la temperatura del tuo ambiente.

    riccio domestico
  6. 5

    Scegli un materiale da giaciglio di qualità. I ricci amano i trucioli di legno (leggi la sezione Avvertenze per maggiori informazioni) e il tessuto come la felpa. Scegli una marca di trucioli di qualità.

     riccio
  7. 6

    Evita i trucioli che tendono a rimanere incastrati tra gli aculei. Puoi anche usare strisce di giornale ma attenzione al contenuto di polvere che si creerebbe in questo modo nella gabbia.

  8. 7

    Fai attenzione ai bisogni del riccio e al suo comportamento.

    riccio
    • Evita i rumori. Non mettere la gabbia del riccio sotto le casse dello stereo o vicino alla televisione. Come animale da preda allo stato selvaggio, il riccio si affida principalmente al senso dell’udito: troppo rumore o trambusto saranno molto stressanti per lui.
    • La possibilità di muoversi. I ricci tendono ad ingrassare facilmente, quindi la possibilità di fare attivita fisica è fondamentale. Avranno bisogno di molti giochi inclusa una ruota con una base solida. Quelle con grate o barre sono pericolose perchè il riccio potrebbe rimanere incastrato, spezzarsi le unghie e perfino fratturarsi le zampe. Qualunque oggetto che può masticare, spingere e muovere, e perfino rivoltare può diventare un giocattolo dato che questi comportamenti ripetono il loro istinto naturale nel cercare cibo. Ma fai attenzione che non sia troppo piccolo da essere ingoiato.
    • Osserva attentamente il loro comportamento e quanto bevono e mangiano. I ricci sono notoriamente “bravi” a nascondere i loro malanni, percio è estremamente necessario essere attenti.
  9. 8

    Dai cibo appropriato al tuo riccio. I ricci sono principalmente insettivori, ma assaggiano con piacere frutta, vegetali, uova e carne. Dato che tendono a mettere su peso facilmente, fai attenzione a quanto mangiano per evitare che ingrassino troppo. Un riccio sovrappeso non riesce ad arrotolarsi ed eventuali rotoli di grasso possono impedirgli di camminare adeguatamente. I ricci possono mangiare:

     riccio
    • Principalmente cibo di qualità. Le precise necessità alimentari dei ricci sono alquanto misteriose. Generalmente gli si può dare cibo per gatti secco di qualità o cibo specifico per ricci. I croccantini che scegli dovrebbero contenere meno del 12% di grasso e circa il 30% di proteine, essere organici. Evita quelli che indicano sottoprodotti tra gli ingredienti. La giusta dose è 1 o 2 cucchiai ogni sera alla stessa ora, regolando questa quantità a seconda del peso del singolo riccio. Cerca di variare la loro dieta per evitare deficienze alimentari, ad esempio con frutta, vegetali, pollo cotto e scondito, e uova strapazzate. Tra gli alimenti importanti per la dieta del riccio ci sono i vermi della farina, i bachi da seta. Grilli e farfalle notturne possono essere serviti 1 – 4 volte alla settimana.
    • MAI dare ai ricci: noci o semi, frutta secca, carne cruda, verdure crude, cibo duro appiccicoso o filamentoso, avocado, uva o uvetta, Vitakraft per ricci, latte, insetti catturati da te, alcool, pane, finocchio, cipolle crude o in polvere, carote crude, pomodori, snack come patatine, caramelle, qualsiasi piena di zucchero o sale oppure miele.
    • Un riccio ha bisogno di 70 – 100 calorie al giorno ma la maggior parte non dirà di no ad uno snack in più.
    • La ciotola del cibo deve essere abbastanza larga e abbastanza pesante in modo che non possa rovesciarla (e cominciare a giocarci).
    • Utilizza una bottiglia di acqua con un tubo nella gabbia per una qualità migliore. Inoltre in questo modo i trucioli finiscano nella ciotola dell’acqua e che questa venga accidentalmente rovesciata. Soprattutto, sarai in grado di vedere quanta acqua viene consumata.
  10. 9

    Sistema una lettiera delle giuste dimensioni per il tuo riccio. Fai in modo di usare SOLTANTO sabbietta da lettiera per gatti non-agglomerante e puliscila tutti i giorni. Fai attenzione a qualsiasi irregolarità del tuo riccio nell’andare al bagno che potrebbe indicare malattia o stress.

    riccio
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    La gabbia del riccio va pulita regolarmente e completamente ogni 2 -3 settimane. La ciotola e il tubo della bottiglia dell’acqua vanno lavati ogni giorno con acqua calda.

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    Prendi spesso in mano il riccio con delicatezza. L’unico modo per fare in modo che si abitui alla tua presenza è quello di interagire spesso con lui. Sii sempre delicato, fai movimenti lenti e parla a bassa voce. Per avere un riccio ben socializzato la regola generale è di trascorre almeno 30 minuti al giorno con lui. Quando esce per la prima volta dal letargo dagli alcuni minuti per riprendersi dal lungo sonno mentre lo tieni nel palmo della mano. Quando è complementamente sveglio e attivo, allora puoi cominciare ad interagire con lui.

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    Preparati alla perdita degli aculei, un processo simile a quello della perdita dei denti per i bambini che avviene per la prima volta tra le 6 e le 8 settimane di vita e poi ancora attorno ai 4 mesi quando gli aculei immaturi vengono sostituiti da quelli maturi. Questo processo è del tutto normale e non bisogna preoccuparsi a meno che non ci siano altri segni di malattia o fastidi, oppure se gli aculei non crescono bene. Durante questo periodo è possibile che il riccio sia irritabile e non gradisca essere toccato. Non preoccuparti, è una fase passeggera.

  14. 13

    Dedicare tempo al gioco. Non esitare a giocare con il tuo riccio. Accetterà la tua partecipazione al gioco se interagisci con lui regolarmente.

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    I ricci in cattività non devono andare il letargo perchè per loro E’ LETALE. Questo si può evitare mantenendo una temperatura ottimale.

    riccio
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    Pulizia. Almeno una volta al mese dovresti fare il bagno al riccio e tagliargli le unghie (a seconda di quanto crescono in fretta).

  17. Consigli
  • Se vuoi avere più di un riccio, è consigliabile tenerli separati. I ricci sono animali solitari e preferiscono stare soli. Se li tieni nella stessa gabbia, ti terranno sveglio tutta la notte quando combattono. A meno che tu non voglia comprare un maschio e una femmina. I maschi possono combattere fino alla morte.
  • Secondo una strana legge della natura, sebbene non siano veramente in grado di partorire senza problemi fino a che non raggiungono i 6 mesi di vita, le femmine dei ricci possono avere cuccioli fin dalle 8 settimane. E’ soprattutto da evitare che si riproducano all’interno della stessa famiglia. Se la femmina è troppo giovane, non sopravviverà alla gravidanza; se entrambi i genitori sono presenti, i piccoli rischiano di venir mangiati.
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    Un semplice pezzo di legno o un vecchio giocattolo possono bastare a far divertire il tuo riccio

    Come giocattoli per ricci si possono usare quelli per cani come le palline di gomma, le ossa in pelle bovina, giocattoli di gomma, massaggiagengive (come quello per i bambini), etc. Fai in modo che non ci sia niente che possano masticare e ingerire. I ricci NON SONO roditori e incoraggiarli a masticare gli rovinerà i denti causando severi problemi di salute che rimpiangerai più tardi. Fai in modo che non ingoino o si taglino con i giochi che gli fornisci.

  • Se la temperatura della tua casa è troppo fredda, alzala tramite uno scaldino in ceramica o una stufa elettrica, e se questo non funziona una coperta elettrica regolata al minimo. Non usare lampadine perchè disturbano il ciclo notte/giorno per i ricci.
  • Avvertenze

    • Attenzione: NON usare trucioli di legno di cedro perchè mischiato con l’urina dei ricci può formare esalazioni tossiche. Anche i trucioli di legno di pino che non sono stati essiccati in modo inappropriato possono creare esalazioni se mischiati all’urina dei ricci. Se il pacco di trucioli ha un forte odore di pino può darsi che sia non stato essiccato in maniera adatta. Cerca una busta che odora piú di legno che di pino.
    • Non confondere la perdita di aculei normale con quella causata dal danno di parassiti, infezione o dieta povera. Se hai dubbi, consulta un veterinario.
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      Il tuo riccio dorme troppo?

      Non permettere che i ricci vadano in “semi-letargo” – è letale per il riccio pigmeo. Il sintomo piu comune è una profonda letargia e se il riccio è freddo al tocco. Se questo accade, tira fuori il riccio immediatamente dalla gabbia e mettilo sotto i tuoi vestiti o a contatto con il calore del tuo corpo per riscaldarlo. Continua a riscaldarlo usando oggetti caldi ma non bollenti, come asciugamani riscaldati, una coperta elettrica ricoperta regolata al minimo, oppure una borsa dell’acqua calda. Se il riccio non si riprende o non sembra attivo, rivolgiti immediatamente ad un veterinario.

    • Tratta il tuo riccio con delicatezza. Non farlo cadere, non rotolarlo quando si appallottola, non tirarlo, non dargli fastidio fino a farlo diventare irritabile e aggressivo.
    • Se tratti il riccio bruscamente e non fai attenzione potrebbe morderti. E’ un animale, dopo tutto.

    fonte: it.wikihow.com

Cinghiali scatenati Due cacciatori ottantenni aggrediti nel Cuneese

caccia al cinghiale

Domenica di caccia e cinghiali particolarmente irrequieti, se non furiosi. Nel Cuneese due cacciatori, dopo essere stati aggrediti, sono stati operati alle gambe per le lesioni riportate. Nell’Aretino invece a essere colpiti dall’animale in fuga sono stati due bambini.

Cuneo, 13 ottobre 2013 – Due cacciatori sono stati feriti da un cinghiale infuriato. E’ accaduto nel pomeriggio tra San Donato e Mango, nel Cuneese. I due, entrambi ottantenni, hanno riportato profonde lacerazioni alle gambe e hanno dovuto essere sottoposti a un intervento chirurgico in ospedale ad Alba. L’animale ha caricato la coppia e si è servito anche delle zanne. Altri partecipanti alla battuta di caccia hanno chiamato il servizio di soccorso 118.

1 – CHI

Il cinghiale (Sus scrofa Linnaeus, 1758) è un mammifero artiodattilo della famiglia dei Suidi. Per l’Italia sono state descritte le sottospecie Sus scrofa scrofa, Sus scrofa majori (Maremma), Sus scrofa meridionalis (Sardegna). Di fatto però, nell’Italia peninsulare l’identità genetica del cinghiale è compromessa  dalle massicce e ripetute immissioni a scopo venatorio, effettuate, a partire dal secondo dopoguerra, con soggetti centro-europei (di taglia maggiore) o
ibridati con il maiale (più prolifici).

2 – DOVE

Originario dell’Eurasia e del Nordafrica, nel corso dei millenni il cinghiale è stato a più riprese decimato e reintrodotto in ampie porzioni del proprio areale.

3 – QUANDO

La forma autoctona (nativa) delle regioni settentrionali italiane scomparve prima che potesse essere caratterizzata dal punto di vista sistematico.

4 – COSA

Aumento numerico della popolazione di cinghiale sul Carso triestino e fenomeni di inurbamento (cinghiali in città): danni ad attività umane, problemi sociali, sicurezza pubblica.

5 – PERCHE’

E’ stata attuata un’enorme attività di foraggiamento degli animali con lo scopo di fermarli nell’area peri-urbana e di farne crescere a dismisura il numero. L’attività di foraggiamento, finalizzata ad avere un’enorme quantità di selvaggina in aree facilmente accessibili, è stata eseguita dal mondo venatorio, anche con il supporto dell’ allora Comitato Provinciale della Caccia. Un’altra importante causa di inurbamento degli animali è il progressivo abbandono dei campi coltivati (con conseguente rimboschimento delle aree peri-urbane) e l’espandersi delle città a ridosso dell’Altipiano carsico, con frammentazione dell’habitat naturale.

6 – COMPORTAMENTO – SICUREZZA

I cinghiali, se non molestati o feriti, sono animali tranquilli e non aggressivi nei confronti dell’uomo, ciò vale anche per le femmine con i cuccioli. Si avvicinano all’uomo in quanto animali semi-domestici (spesso ibridati coi maiali e molto simili a questi ultimi) ed abituati perciò alla nostra presenza.

Sono animali sociali la cui unità base è costituita dalle femmine con i piccoli dell’anno ed eventualmente i giovani dell’anno precedente, mentre i maschi adulti conducono vita solitaria.

7 – SITUAZIONE LEGISLATIVA

Legge nazionale: 157/92, norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Compete alla Provincia o agli organi gestori di Parchi e Riserve naturali, rilevare le esigenze sul territorio, verificare lo stato di attuazione delle misure preventive dei danni (metodi incruenti ed ecologici) adottate, nonché proporre alla Regione l’adozione di un provvedimento in deroga. Sentito il parere dell’ISPRA la Regione potrà quindi autorizzare le azioni necessarie. L’abbattimento in deroga può venir autorizzato solo in caso di provata inefficacia dei metodi dissuasivi (incruenti) e deve essere giustificato da documentato pericolo per l’incolumità pubblica o in caso si prevedano ingenti danni economici. La L.R. 6/3/ 2008, n. 6 prevede un indennizzo per le opere non cruente di prevenzione dei danni da fauna selvatica (fondo per il miglioramento ambientale e la copertura di rischi, assegnato in parte alle province).

8 – SITUAZIONE ECOLOGICA

Al contrario di ciò che spesso si è portati a credere a causa di una scarsa e scorretta informazione, la presenza mas­siccia dei cinghiali nei boschi non è un problema ecologico (in natura non esiste il concetto di “troppi cinghiali”, il sistema infatti si autoregola) ma un problema sociale, di interazione tra questa specie ed alcuni esponenti della specie umana che lamentano danni a vigneti, orti e coltivazioni e/o sono colti da timori irrazionali ed infondati per gli animali.

9 – GESTIONE E CONTENIMENTO

1 – Recinzioni meccaniche o elettriche

I danni causati dai cinghiali a vigneti, frutteti ed orti potrebbero essere evitati con apposite recinzioni (ad es. rete interrata, recinzioni elettriche).

2 – Foraggiamento dissuasivo

Gli animali potrebbero essere allontanati dalle aree urbane allestendo delle stazioni di foraggio al di fuori dei centri abitati, o utilizzando delle coltivazioni esca, entrambi metodi validi e facilmente attuabili, già sperimentati con ottimi risultati in provincia di Pordenone. Questo metodo si è dimostrato valido anche per proteggere dai danni i campi coltivati.

3 – Repellenti chimici/biologici

Utilizzo di sostanze repellenti specie-specifiche che agiscono sul sistema olfattivo e gustativo. Siano esse di sintesi o di origine naturale, si reperiscono di solito in forma liquida e vanno applicate su stracci, corde, spugne, ecc. distribuite lungo il perimetro della zona interessata, si sono dimostrati particolarmente efficaci. Alcuni prodotti garantiscono la durata di diversi mesi.

4 – Gestione venatoria

Quando in un territorio viene abbattuto un certo numero di esemplari, il che avviene soprattutto in autunno ed in inverno, i sopravvissuti hanno un migliore apporto nutritivo. Gli animali così rinforzati si riproducono in primavera, prima e con un maggior numero di discendenti. Secondo recenti studi la caccia non rappresenta una soluzione valida per il contenimento dei cinghiali, tendendo anche a peggiorare la situazione a medio-lungo termine. Spaventando gli animali inoltre non si ottiene che soltanto un effetto temporaneo di allontanamento, presto compensato da altri individui.

10 – PER ULTERIORI INFORMAZIONI

MI.F.A. – Missione Fauna & Ambiente – onlus, sezione Trieste

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Amici A. Serrani F. 2004 Linee guida per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nella provincia di Viterbo, Università della Tuscia, Dipartimento di produzioni animali – Provincia di Viterbo, Assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca –

Juan Herrero . Alicia García-Serrano , Sergio Couto ,Vicente M. Ortuño , Ricardo García-González 2006, Diet of wild boar Sus scrofa L. and crop damage in an intensive agroecosystem

Il Cinghiale, la specie, la sua gestione e la prevenzione dei danni, 2006. Regione Autonoma F.V.G. direzione centralerisorse agricole, naturali, forestali e montagna. Servizio tutela ambienti naturali e fauna. Ufficio studi faunistici.

Oliver Keuling, Norman Stier, Mechthild Roth, 2008. Commuting, shifting or remaining? Different spatial utilisation patterns of wild boar Sus scrofa L. in forest and field crops during summer

Checchi .A., Montroni C. Repellenti olfattivi e gustativi nella prevenzione dei danni in agricoltura

(Poster). Dipartimento di Economia ed Ingegneria Agrarie (DEIAGra) – Sezione di Ingegneria del territorio, costruzioni e fisica – Università di Bologna