Quale futuro per l’orso bruno (Ursus arctos)? Malgrado sia una specie protetta fin dal 1939, il rapporto tra uomini e orsi non sempre è stato corretto, tanto che alla fine del secolo scorso se ne paventava addirittura l’estinzione. Con l’intervento dell’Unione europea, ha preso avvio nel 1996 un progetto, rifinanziato nel 2000, per la salvaguardia del celebrato planti-grado. Il progetto è stato promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e con-dotto in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il fu-turo degli orsi sembra oggi meno precario, anche se sarà necessario che gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado trovino le opportune sinergie e collaborazioni.
L’orso bruno (Ursus arctos) è una specie particolarmente rilevante a livello europeo, come sancito dalle direttive comunitarie preposte alla salvaguardia della biodiversità. Nella direttiva “Habitat” (92/43 CEE), il plantigrado è indicato come “specie prioritaria” (con asterisco), ovvero come specie «per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare» (Art. 1), «per cui gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione» (Art. 11) e infine elencato tra le specie «di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa» (allegato IV). Inoltre, in Europa l’orso bruno è una specie inclusa nell’appendice II (“Specie di fauna rigorosamente protette”) della Convenzione di Berna del 1979, in cui le nazioni aderenti vengono stimolate a trovare opportune misure di salvaguardia della specie e di conservazione degli habitat.
A dispetto del supporto legale (l’orso bruno è una specie protetta fin dal 1939 in base all’art. 38 del Testo Unico della Caccia, secondo il qua-le veniva considerato raro e meritevole di protezione), il rapporto tra uomini e orsi è sempre stato ambivalente. Se, per un verso, l’orso ha condiviso il suo territorio con l’uomo fin dall’antichità, entrando a pie-no titolo nella cultura delle genti alpine, alcuni fattori conflittuali hanno condannato la specie ad una caccia spietata che, intorno al XIX-XX se-colo, ne ha decretato l’estinzione quasi totale dall’arco alpino. Già dopo la seconda guerra mondiale, il plantigrado è dunque rimasto confinato in una ristretta area del Trentino occidentale che nel 1988, anche per questo scopo, è divenuta area protetta con il nome di Parco Naturale Adamello Brenta. Alla fine del secolo scorso, tuttavia, anche il nucleo di orsi del Brenta, ridotto a non più di 2-3 individui, aveva superato la so-glia dell’estinzione: una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile.
In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti “Life” dell’Unione Europea il Progetto “Ursus – Tutela della popolazione di orso bruno del Brenta”, rifinanziato nel 2000 (sempre dall’Unione Europea) con il titolo “Ursus – Seconda fase di tutela del-l’orso bruno del Brenta”.
Il progetto “Life-Ursus”
L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promos-so dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) – si è basato su una attenta fase preparatoria. In base ad un apposito “Studio di fattibilità”, la reintroduzione è stata individuata come l’unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui. Lo “Studio di fattibilità” ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1.700 km2 le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale.
Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità, numerosi sono stati i partner che han-no collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con quella di Trento, anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora al monitoraggio degli orsi immessi, con il WWF di Trento e con numero-si altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria.
Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto Doxa di Milano): più di 1500 abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70percento dei residenti interpellati si sono dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80per-cento di fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza.
Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e dettagliata-mente pianificati dal Parco nell’ambito delle “Linee Guida” che, oltre a definire l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per favorire una positiva realizzazione della reintroduzione.
La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il 2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina).
Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti. Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo successivo al ri-lascio, confermando le previsioni dello “Studio di fattibilità” e l’ottimo adattamento degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita.
Presente e futuro degli orsi sulle Alpi
Il successo dell’operazione di reintroduzione è stato sancito soprattutto dal rapido accrescimento della popolazione. A seguito degli otto eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e i primi mesi del 2006 (per un totale di 20 cuccioli nati in 5 anni) dopo più di un decennio di inattività riproduttiva, il nucleo di orsi che ha il Parco come sua core area è oggi stimato in più di 20 esemplari.
Parallelamente all’incremento numerico, la popolazione di orsi si sta espandendo anche dal punto di vista territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al Trentino occidentale ma comprende aree distanti qualche decina di chilometri dal Parco. L’esplorazione del territorio, sintomo del raggiungimento della capacità portante dell’area pro-tetta e dell’idoneità ambientale dei territori confinanti, lascia ben spera-re per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato. Desta infatti particolare preoccupazione la consanguineità tra gli individui derivante dal fatto che la maggior parte dei cuccioli nati in Trentino negli ultimi anni sono figli di un unico maschio (Joze, 11 anni di età), con un conseguente elevato rischio di depressione da inbreeding per le prossime generazioni se non si interverrà preventivamente.
Proprio per questo motivo, nonostante la fine dei finanziamenti europei, il Parco prosegue le sue attività di tutela nei confronti del plantigrado, in stretta collaborazione con gli altri enti coinvolti (in primis la Provincia Autonoma di Trento, ente legalmente preposto alla gestione della specie).
Nel dettaglio, per favorire il raggiungimento di una popolazione minima vitale sulle Alpi Centrali, l’impegno del Parco si è concretizzato mediante l’istituzione, al suo interno, di un “Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno” composto da biologi, naturalisti ed un eterinario che coordinano le attività di ricerca scientifica e divulga-zione nei confronti della specie. Conoscere il numero di individui, la distribuzione sul territorio e la ripartizione per sesso ed età, ma anche le abitudini alimentari, le caratteristiche dell’ibernazione e i potenziali fattori di disturbo della popolazione di orsi è infatti indispensabile per controllarne l’evoluzione nel tempo e prendere conseguentemente le decisioni gestionali più idonee. Considerando inoltre che a tutt’oggi l’immagine dell’orso bruno nell’opinione pubblica rimane basata più su miti e leggende che su assunzioni di ordine biologico ed ecologico, il progetto di conservazione del Parco prevede, oltre alle attività di monitoraggio e ricerca scientifica cui si è appena accennato, un’ampia opera di divulgazione e comunicazione rivolta a tutte le categorie sociali. Proprio per ottimizzare la realizzazione di tali interventi di informazione, e per rendere altresì disponibile la propria esperienza anche al di fuori dei propri confini territoriali, il Parco, insieme ad alcuni tra gli enti storicamente impegnati per la salvaguardia del plantigrado sul-l’arco alpino (Servizio Foreste sloveno, WWF Austria e Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Udine), ha delineato alcune azio-ni di comunicazione utili per favorire la convivenza con il plantigrado, con particolare riferimento alle azioni urgenti necessarie nelle zone di nuova colonizzazione. Tali principi sono stati redatti – insieme ad un modello predittivo di dinamica di popolazione tendente ad individua-re le aree di possibile espansione futura degli orsi sulle Alpi – nell’ambito di un apposito progetto ancora una volta promosso dall’Unione Europea (LIFE Co-op Natura “Criteri per la creazione di una metapopolazione alpina di orso bruno”).
Il futuro degli orsi sembra dunque oggi meno incerto, anche se il ri-torno definitivo della specie sulle Alpi è tuttora strettamente dipenden-te dalla possibilità di ricongiungimento tra l’unica popolazione stabile di orsi sull’arco alpino, quella slovena, e i nuclei presenti in Austria e in Italia. Tale possibilità potrà divenire realtà solo se tutti gli enti coinvolti nella tutela del plantigrado sapranno trovare le più opportune sinergie e forme di cooperazione. Purtroppo le collaborazioni in tal senso, attual-mente, rappresentano più un’eccezione che non la regola.
di Filippo Zibordi
Bibliografia
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