Pollo razza Marans

marans“E’ un pollo elegante, robusto, con ossatura assai fine, e assai rustico”. Così la prof.ssa Giavarini definisce la razza Marans nel suo libro “Le razze dei polli” (Edagricole, 1983).
Di categoria medio pesante, ottimo pascolatore, il pollo Marans è molto rustico e non teme gli sbalzi di temperatura e le condizioni meteorologiche più disagevoli.
La gallina depone dalle 160 alle 180 uova annue, grandissime e di un colore rosso ruggine molto carico o rosso fegato, più o meno uniformi o macchiettate.
Basterebbe questo a motivare l’interesse degli allevatori, amatoriali e non, verso la Marans, ma questa antica razza francese ha ancora molte frecce al suo arco.Le origini
Le radici più lontane, dal punto di vista genetico, risalgono addirittura al XII-XIV secolo, periodo di intensi traffici commerciali tra Francia e Inghilterra. I combattimenti tra galli erano allora già diffusi e molto praticati, anche a bordo delle navi mercantili che facevano la spola tra la Cornovaglia ed il porto di La Rochelle, nei pressi della cittadina di Marans. I galli reduci dai combattimenti, sbarcati, ebbero modo di incrociarsi con i polli locali, di origine del tutto ignota, allevati diffusamente nel marais costiero ed abituati a prosperare in un ambiente difficile. Da questo primo rimescolamento di geni nasce una razza locale di polli rurali estremamente rustici, piuttosto variabili nella colorazione, visto che i combattenti erano selezionati per la forza e l’aggressività, non certo per il colore, di corporatura relativamente robusta e deponenti un uovo rossiccio.
Ben poco cambia fino alla seconda metà del 1800, quando vengono importate in Europa le razze giganti cinesi, in particolare la Langshan, che verrà allevata verso il 1880 da L.Rouillè poco lontano da Marans, e di cui si apprezzavano molto la stazza, la carne, l’uovo grande e rosso.
Dall’incrocio dei Langshan acquistati dagli allevatori del marais con i soggetti locali, nascono i primi Marans più propriamente detti, simili alla versione odierna. Animali che hanno colorazione molto variabile, ma presentano per il resto caratteristiche sufficientemente uniformi di rusticità e struttura fisica, deponendo inoltre un uovo piuttosto grande e fortemente colorato.
Bisognerà attendere il 1920 perchè si inizi una selezione rigorosa ad opera di M.me Rousseau ed il 1928-1929 per una presenza un po’ più diffusa alle esposizioni ed i primi riconoscimenti ufficiali. Nel 1929 viene anche fondato il Marans Club de France con lo scopo di tutelare e diffondere la razza, definita inizialmente “Marandaise” e poi semplicemente”Marans”, dal nome del luogo di origine. Lo standard viene approvato nel 1931 e si trasforma successivamente senza troppe modifiche in quello attuale.

L’aspetto
La struttura fisica suggerisce l’idea di un pollo rustico, di altezza media, piuttosto massiccio ma non appesantito, con piumaggio abbondante ma aderente al corpo, come si conviene ad un degno erede di razze combattenti, il che maschera in qualche modo il suo peso reale, che secondo lo standard francese, è di 3,5-4 Kg per il gallo e di 2,6-3,2 Kg per la gallina.
Il corpo risulta piuttosto allungato anziché rotondeggiante, con petto ampio e ben formato, spalle larghe e con ali corte e portate alte e strette al corpo. Dorso anch’esso largo e piatto con sella ben guarnita di lancette.
Il collo è lungo e robusto, fornito di una ricca mantellina che copre anche le spalle. Tende tipicamente a flettersi all’apice, verso il cranio, soprattutto nella femmina.
Faccia, cresta, bargigli ed orecchioni sono rosso vivo, la cresta è semplice e portata dritta nel gallo, mentre nella femmina può anche presentarsi piegata. I dentelli sono bene incisi e separati, il lobo posteriore non tocca la nuca. L’occhio è di colore rosso aranciato, vivo e ardito, ed il becco robusto, un po’ ricurvo, color corno. Nel complesso, la testa trasmette un’impressione di forza e di fierezza, ma non di grande aggressività, come capita nelle razze combattenti.
La coda è piccola e corta sia nel maschio che nella femmina, portata con un angolo non superiore ai 45°. I tarsi e le dita sono impiumati più o meno leggermente, solo sulla parte esterna, chiara eredità lasciata dal progenitore Langshan. Il loro colore è bianco rosato, tranne che nelle femmine di varietà nera e nero ramata, in cui sono grigi. La misura dell’anello di identificazione, rilasciato dalle associazioni avicole nazionali (per l’Italia lo distribuisce la Federazione Italiana Associazioni Avicole FIAV) e indispensabile per presentare i soggetti nelle manifestazioni che prevedono il giudizio, è di 22mm per il gallo e 20mm per la gallina.
L’uovo, grande, rotondeggiante e molto colorato, caratterizza la razza Marans in modo inconfondibile ed esclusivo.

L’uovo
uovo maransL’uovo è forse il motivo principale di interesse verso questa razza. Ha un aspetto assolutamente spettacolare ed un colore rosso unico, tanto che vedendone per la prima volta uno di buona qualità, viene spontaneo esclamare: “Ma è stato colorato!?!”.
In effetti è proprio così, l’uovo è dipinto, ed il maestro pittore che produce tanta meraviglia è la gallina stessa, che è dotata, a circa dieci centimetri dalla fine dell’ovidotto, di un tessuto spugnoso in grado di secernere il pigmento colorante rosso fegato. Inoltre il muco che ricopre l’uovo può conferirgli un certo grado di lucentezza. Una volta che l’uovo è stato deposto e si asciuga, il colore si fissa sul guscio e non si altera più, a meno che venga lavato via intenzionalmente.
La quantità di pigmento che si deposita sul guscio dipende da moltissimi fattori, tra cui il tempo di attraversamento impiegato dall’uovo, la quantità di pigmento secreto dal tessuto spugnoso, la quantità di uova deposte, il periodo dell’anno, le condizioni fisiche dell’ovaiola, la grandezza, e quindi la superficie esterna dell’uovo stesso.
E’ quindi normale che la stessa gallina deponga uova anche molto diverse tra loro, soprattutto se esse vengono deposte in sequenza: le prime saranno più scure e diventeranno via via più chiare fino al giorno fisiologico di riposo, in cui non viene deposto l’uovo, per poi riprendere con il colore base. Nello stesso modo, ad inizio deposizione le uova sono generalmente più scure che verso la fine. In generale, comunque, ogni gallina tende a mantenere una sua tipologia nella disposizione delle chiazze o dei puntini scuri sulla superficie del guscio, così come del grado di lucentezza dell’uovo, quindi in un certo senso ogni gallina ‘firma’ le sue creazioni, per l’occhio attento dell’allevatore.
Esistono uova molto uniformi, in cui il pigmento si spalma su tutta la superficie senza irregolarità, uova puntinate, che hanno un fondo più chiaro ma ricoperto di una fitta rete di puntini più scuri e uova maculate, spruzzate di macchie di una certa grandezza, di cui talvolta si riesce anche a percepire lo spessore.
Il Marans Club de France ha messo a punto una scala colorimetrica per la misurazione del colore dell’uovo. La gradazione parte dal valore 1 per l’uovo bianco, fino a 3 per l’uovo rossiccio di tipo industriale. Il valore 4 è il minimo accettato per la Marans, dal 5 al 7 si progredisce nel grado di colore, avvicinandosi alla tonalità cioccolato, i gradi 8 e 9 sono riservati alle uova eccezionali, in cui il pigmento si presenta praticamente puro, e che di solito vengono prodotti come eccezione anche dalle stesse campionesse di razza. In Francia si tengono normalmente concorsi in cui le uova vengono sottoposte a giudizio come gli esemplari vivi, in base al complesso delle loro qualità.
Nella sua forma più tipica, l’uovo di Marans non è allungato, ma rotondeggiante e globoso, tanto che spesso è difficile distinguere il polo acuto da quello ottuso. La lucentezza è qualità desiderabile.
Il peso dell’uovo si attesta rapidamente tra i 70 e gli 80 grammi (si pensi per confronto che un uovo di Livorno pesa attorno ai 55 grammi), ma nella gallina ormai adulta e a fine deposizione, o al secondo anno, non sono affatto rare medie attorno ai 100 grammi.
Una volta aperto, l’uovo mostra l’interno inaspettatamente bianco candido, per cui rammenta tantissimo le note uova di cioccolata con sorpresa di cui vanno pazzi i bambini, e non solo loro.
Va detto inoltre che per il suo guscio con spessore più alto del normale, e per la particolare resistenza delle membrane testacee interne, l’uovo di Marans risulta più conservabile, meno o per nulla soggetto a contaminazioni esterne (es: salmonella) e meno soggetto a rotture, caratteristiche molto interessanti sul piano industriale.

Le varietà
Come si è detto, la Marans possiede un patrimonio genetico estremamente variegato, che inevitabilmente ha dato origine a molte varietà di colorazione; alcune storiche, ben affermate e fissate e pertanto riconosciute dallo standard, altre in corso di omologazione, altre ad oggi ancora oggetto di selezione da parte di allevatori e amatori avanzati, che non rinunciano al tentativo di estrarre dal grande serbatoio genetico nascosto nella Marans delle livree sempre nuove.
Si deve ribadire a questo proposito (cfr. paragrafo sulla selezione) che la necessità di mantenere le eccezionali caratteristiche dell’uovo rende impossibile la ricerca di nuove colorazioni attraverso incroci extra-razza, per cui in effetti non si tratta di creare nuove varietà, quanto piuttosto di portare alla luce, nel fenotipo, qualche caratteristica già contenuta nel genotipo della razza.
Lo standard italiano riconosce ufficialmente ad oggi soltanto le colorazioni bianca, nera, nera argentata, nera ramata, dorata frumento, fulva a coda nera, sparviero argentata.
Per la corretta interpretazione della descrizione delle varie colorazioni che segue, i termini ‘sparviero’ e ‘cucù’ sono da considerare sinonimi, così come i termini ‘frumento’ e ‘dorata frumento’.
Cucù Dorato, Cucù (o Sparviero) Argentato
La prima è ancora relativamente rara, mentre la seconda è piuttosto diffusa ed è stata la varietà principale per molti anni. Lo splendido piumaggio sparviero si distribuisce secondo una barratura grossolana e irregolare, che non forma striature precise. La mantellina, le lancette e le spalle sono rispettivamente dorate ed argentate e formano uno splendido effetto. Inoltre, come succede nelle colorazioni di questo tipo, i maschi sono molto più chiari delle femmine, fenomeno che si spiega con il fatto che la barratura chiara del maschio ha altezza doppia rispetto a quella scura, mentre nella femmina i due colori si equivalgono. Questa caratteristica, legata al sesso, rende i pulcini autosessanti, in quanto la differenza di piumaggio è evidente molto presto. Alla nascita il piumino è nero con ventre bianco argentato o giallastro ed una macchia dello stesso colore sulla testa.
Nero, Blu, Bianco Splash
La varietà nera pura, dominante rispetto a tutti gli altri colori, è quasi scomparsa ed anche le altre due sono relativamente rare. Specificamente per la livrea nero puro, ma anche più in generale nella Marans, non e’ richiesto né desiderabile che le parti di piumaggio nere presentino abbondanti riflessi verde lucente, indice di alta produzione di melanina, ma piuttosto devono avere riflessi verdi e violacei non particolarmente scintillanti. Di fatto il nero, il bianco ed il blu sono strettamente correlati tra loro. Il blu non è che un nero ‘diluito’, mentre il bianco splash, o chiazzato, è un lavanda molto molto chiaro in cui alcune piume si presentano marcate di blu, un po’ come i piccioni ‘arlecchino’. Si deve notare che l’incrocio di nero e bianco splash genera il blu, mentre l’accoppiamento di soggetti blu genera un 25% di nero, un 50% di blu e un 25% di bianco splash. Questo indica che in pratica il bianco splash è in realtà il colore blu omozigote, che quando si presenta nel genotipo in combinazione con le altre colorazioni, agisce come ‘diluitore’ delle parti di piumaggio nere, le quali diventano appunto blu nel fenotipo.
Nero Ramato, Nero Argentato, Blu Ramato, Blu Argentato
La prima è ad oggi la varietà più diffusa, di cui si conoscono stirpi che producono uova tra le più colorate. Le altre sono numericamente molto meno rappresentate, ma ugualmente affascinanti. Si tratta in definitiva di variazioni sul tema della livrea totalmente nera tranne che per la mantellina e, nel gallo anche il dorso e le spalle ramati, con tonalità che possono andare dal rosso ruggine al rosso mogano sostenuto. Il nero può essere diluito e diventare blu, il ramato può essere sostituito dal carattere argentato, generando appunto le varianti citate. Si tratta in ogni caso di soggetti molto appariscenti ed apprezzati. Bisogna fare attenzione a non confondere esemplari nero ramato che presentano eccesso di nero, e quindi dal piumaggio completamente nero, con esemplari realmente nero unito (rarissimi). Anche se i fenotipi possono essere identici, dal punto di vista genetico le due colorazioni appartengono a gruppi diversi con livelli di dominanza diversi (il nero unito domina), e questo non mancherà di essere evidente appena si tenterà di riprodurre i soggetti, ottenendo risultati inaspettati.
Frumento (o Dorata Frumento)
E’ anch’essa una varietà molto diffusa oggigiorno. La livrea del maschio è molto simile a quella del gallo nero ramato, da cui si distingue per il piumino grigiastro più chiaro nel frumento e dal triangolo dell’ala color cannella anziché nero. Anche i riflessi delle parti nere tendono più al violaceo e meno al verde scarabeo. La femmina è completamente diversa, possiede una livrea colore del chicco di grano, con dorso fulvo chiaro, mantellina più scura, parte inferiore del corpo color crema e coda e remiganti nere. La somiglianza del maschio di questa varietà con quello nero ramato e con quello salmonato ha causato in passato parecchia confusione, in quanto gli abbinamenti per la riproduzione potevano avvenire, inconsapevolmente, tra varietà diverse, è quindi necessario prestare la massima attenzione ai dettagli identificativi. I pulcini della varietà frumento sono gialli, al contrario dei nero ramato, che sono neri, e dei salmone, che hanno delle strisce sul dorso come i polli di colorazione selvatica. A tre settimane, poi, i galletti si distinguono nettamente dalle femmine perché hanno già le copritrici dell’ala nere, mentre le pollastre le hanno color frumento. La colorazione frumento è recessiva rispetto al nero ramato e dominante (tranne eccezioni rarissime che non è il caso di approfondire qui) rispetto al salmonato.
Salmone Dorato, Salmone Argentato. Sono varietà poco diffuse, di cui si conoscono ceppi dall’uovo splendido ma con esemplari di massa ancora troppo leggera. La colorazione è quella che più si avvicina a quella selvatica del gallus Bankiva e ricorda, per intenderci, quella della Livorno collo oro. La pettorina salmone dorata o argentata e la mantellina oro o argento delle femmine hanno valso alle due varietà il loro nome. Il maschio assomiglia molto al nero ramato e soprattutto al fumento, ma ha pettorina leggermente più chiara, un po’ più grigiastra. I pulcini hanno piumino giallo e recano sul dorso le strisce tipiche dei piccoli selvatici. Essendo inoltre anche qui come nel frumento il triangolo dell’ala color cannella, bisogna essere molto accorti se si intende procedere alla selezione in purezza.
Ermellinato
Anche questa varietà è molto rara. Si era quasi estinta, ma qualche appassionato sta cercando con pazienza di recuperarla. Il piumaggio è bianco ermellinato, cioè con fiamme nere sulla mantellina e sulle lancette e coda e punta delle remiganti nere. La testa resta bianca. Esiste anche, ma ancora più rara, una versione fulva dell’emellinato in cui le parti bianche vengono sostituite dal colore fulvo.
Fulvo a Coda Nera
Numericamente poco rappresentata, questa bellissima e capricciosa varietà rammenta come colorazione la New Hampshire, ed è vicina, per certi versi, alla Marans frumento. La femmina è di un colore fulvo sostenuto il più possibile uniforme, non come nella frumento che ha mantellina scura e pettorina chiara, mentre il gallo presenta la parure ramata, ma il ventre resta di un bel colore fulvo, mentre il gallo frumento ha il corpo nero. La coda e parte delle remiganti sono nere.
Bianco
Questa colorazione ha avuto in passato molto seguito, essendo stata utilizzata a scopo industriale. Successivamente semi-abbandonata, è stata invece recuperata ed è ad oggi abbastanza diffusa. Il bianco totale si può presentare nella Marans con diverse modalità: come colore-non-colore, che maschera gli altri colori presenti nel genotipo manifestandosi da solo nel fenotipo, ed in questo caso risulta dominante, oppure come colore bianco recessivo, che scompare dal fenotipo al primo incrocio. Di solito si incontra il bianco del secondo tipo, che si manifesta solo se omozigote e che, sotto l’influenza di altri geni, tende a presentare su dorso, spalle e mantellina, dove sarebbe stata presente la parure, dei riflessi paglierini che infatti sono ammessi dallo standard di colorazione. Un tempo il colore delle uova era più debole, ma oggi si conoscono ceppi con uovo molto ben colorato.
Nana
Esiste anche una varietà nana, o piuttosto semi-nana o miniatura, anche se non è molto diffusa. La taglia dovrebbe essere circa la metà di quella grande, mentre il peso circa il 30%, quindi attorno al Kg. Le colorazioni e tutti gli altri parametri di riferimento sono identici a quelli adottati per la razza di taglia normale. L’uovo è di solito di colore meno scuro di quello della Marans grande e necessita ancora di selezione.
Altre varietà
Nonostante l’enorme numero di varietà già presenti, o forse proprio per il fatto di disporre di così tanto materiale, alcuni allevatori evoluti si cimentano nella creazione di nuove colorazioni. Per esempio, l’allevatore olandese sig. P.Verwimp ha creato il cucù giallo, in cui la barratura si applica non al classico colore grigio, ma piuttosto ad un bel fulvo-limone, con risultati a dire poco spettacolari. L’allevatore francese sig. E.Mèon ha dato di recente notizia dei suoi primi risultati nella creazione di una varietà di argentato che non ha ancora nemmeno un nome ufficiale. La testa ed il collo, come la parte superiore della pettorina restano bianche, mentre il resto del corpo presenta delle barrature a fiocchi molto attraenti. L’insieme rammenta, ad esempio, la Braekel. L’allevatore francese sig. M.Martinod sta lavorando su un gruppo di ermellinate e bianco splash portatrici di ramato e di argentato con risultati vagamente simili al Faverolle.

Varietà in via di creazione (foto Marans Club de France)

Caratteri generali e comportamento
Come abbiamo visto, questo pollo è originario della zona paludosa prossima alla foce della Loira, esposta ai gelidi venti invernali che discendono dall’Artico attraverso l’Atlantico, ma con estati torride e relativamente asciutte. Non stupisce, di conseguenza, la sua estrema rusticità e la sua attitudine di pascolatore, che lo rende capace, in ambiente adatto, di ricavare buona parte del proprio nutrimento giornaliero razzolando qua e là.
Prospera nei grandi spazi, allontanandosi anche parecchio dal pollaio, se ne ha la possibilità. Ciò non toglie che sia capace di adattarsi anche alla vita in ambienti contenuti, purchè vengano rispettate le normali condizioni di densità (circa quattro soggetti per m2 di superficie dei ricoveri).
Entrambi i sessi sono piuttosto confidenti e addomesticabili, personalmente li ho abituati a prendere il mangime dalle mie mani e non posso entrare nel pollaio senza che mi sciolgano le stringhe delle scarpe tirandole con il becco. Probabilmente le scambiano per succulenti lombrichi. Le femmine sono sempre piuttosto tranquille, mentre i galletti si rivelano abbastanza battaglieri, soprattutto quando il gruppo di appartenenza non possiede una gerarchia stabile e ben definita. Non ho mai osservato direttamente, invece, alcun eccesso di aggressività né dei maschi verso le femmine, né viceversa, né verso gli umani, e non ho mai notato alcun accanimento verso animali più giovani. Talvolta anche le femmine sviluppano, con l’età, dei piccoli speroni, spesso su un tarso solo. Probabilmente questa è una eredità proveniente dagli avi combattenti, ma lo standard non la contempla e quindi è da evitare.
La femmina può chiocciare, ma non è detto che lo faccia, dipende soprattutto dal ceppo di appartenenza. Quando cova, comunque, è una buona madre e si prende cura senza problemi della sua prole. Le caratteristiche dell’uovo (grandezza, spessore del guscio) ostacolano in qualche misura la nascita del pulcino, il che si traduce talvolta in percentuali di schiusa leggermente inferiori alla norma. Per questo è importante selezionare per la cova le uova di peso medio, da 70 a 80 grammi, ben formate, senza asimmetrie e difetti visibili.
L’impennamento e la crescita del pulcino sono generalmente rapidi, anche se ogni tanto ne capitano alcuni che tendono a rimanere di corporatura più piccola del normale o ad impennarsi tardivamente, cosa che obbliga ad escluderli dalle linee di riproduzione. In diverse varietà di colorazione, come abbiamo visto, i pulcini sono autosessanti.
Di regola il peso di 2,5-3kg circa viene raggiunto dai maschi poco dopo il quarto mese, il che dimostra la buona attitudine alla produzione di carne dalle ottime qualità organolettiche (il sapore rammenta la faraona). Tutti i tessuti sono particolarmente consistenti e fermi, la pelle, bianca per tutte le colorazioni di piumaggio, è abbastanza resistente alla lacerazione anche nell’animale giovane, come ben sa chi ha provato a spiumarne qualcuno a mano.

La selezione
I principi di selezione sono relativamente semplici, ma la selezione in sé è abbastanza laboriosa, complicata dal fatto che per apprezzare correttamente le qualità di un riproduttore, si dovrebbe attendere la produzione di uova della sua prole e valutarne il colore, il che non è sempre possibile e/o agevole. Inoltre, l’insieme di geni che originano l’uovo extra-rosso è talmente complesso che ogni inquinamento proveniente da incroci fuori razza produce immediatamente uova troppo chiare. Questo fornisce una prima, importantissima regola da seguire: nessun incrocio fuori razza è ammissibile.
Per quanto non si conosca il meccanismo in dettaglio, almeno una parte dei geni “uovo rosso” è legato al sesso, lo testimonia il fatto che viene trasmesso dal gallo in maniera doppiamente forte rispetto alla gallina, come hanno dimostrato incroci sperimentali condotti ad hoc. Un’altra regola di selezione, quindi, sarà la scelta di riproduttori, soprattutto galli, nati da uova molto scure.
A questo proposito è anche opportuno, nel valutare il grado di colore dell’uovo, tenere ben presenti tutti i principi di variabilità della sua colorazione già enunciati, allo scopo di evitare di dare la preferenza, per esempio, a uova di una mediocre ovaiola, che essendo deposte più di rado sono di regola più scure, rispetto a quelle di una buona ovaiola, che magari ne produce di altrettanto scure, ma in maggior numero, o più grandi, per cui al momento risultano un po’ più chiare.
In ogni caso, anche se le prime due regole vengono osservate, è sempre possibile che una pollastra deponga uova brutte o non sufficientemente scure, dunque sarà necessario escludere comunque dalla selezione le femmine che producono uova non nello standard e anche quelle che ne producono troppo poche, visto che non si deve dimenticare l’origine rurale ed utilitaristica di questo pollo. Oltre a questo, dovranno essere preservate la velocità di crescita e di impennamento così come il piumaggio aderente al corpo e ben conformato nelle ali, cosa che garantisce che gli animali siano perfettamente capaci di volare.
Come per tutte le razze, la selezione dovrà poi mirare al mantenimento delle caratteristiche dichiarate come desiderabili nello standard, quindi: mantenimento del peso, della silhouette, della costituzione fisica, del portamento previsti, mantenimento del colore e dell’impiumatura dei tarsi e infine miglioramento della colorazione del piumaggio in termini di rispondenza a quello previsto per la varietà di appartenenza.
Il primo e più importante punto da curare, comunque, resta la deposizione di un uovo extra-rosso, tanto che è preferibile eventualmente ‘allargare’ i parametri di selezione per qualche altro carattere, da migliorare in un secondo tempo, pur di mantenere costantemente alto quanto possibile il livello qualitativo dell’uovo. L’insieme dei geni responsabili delle sue caratteristiche, una volta disperso, potrebbe non essere più riproducibile.

Bibliografia
– S.Deprez-C.Herment – La Marans – Ed. Rupella, 2000 (in lingua francese)
– I.Giavarini – Le Razze dei Polli – Ed. Edagricole, 1983
– F.Focardi – Il colore delle uova nella Marans – Avicoltura/Avicoltura n.11 Lug.-Set.2004
– www.marans.eu – sito ufficiale del Marans Club de France curato da C.Herment (anche pagine in italiano)
– www.marans.be – sito sulla Marans curato da C.Veltenaar (anche pagine in italiano)
– www.fiav.info – sito ufficiale della Federazione Italiana Associazioni Avicole curato da S.Tonetto

Paolo Rasoini abita in provincia di Pisa ed alleva polli a livello amatoriale da molti anni. Fa parte dell’Associazione Toscana Avicoltori e dal 2003 si interessa della Marans collaborando anche con il Marans Club de France di cui è socio. E-mail: prasoin@tin.it

La Brambilla vuole chiudere i delfinari: «Una barbarie contro animali intelligenti e sensibili»

immaginiDelfinarioRimini_Delfinario_3

immaginiDelfinarioRimini_Delfinario_4L’ex ministro presenta una «proposta di legge per vietare in Italia la detenzione e l’addestramento dei cetacei»
L’ex ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, lancia un appello chiedendo di «non visitare i delfinari». «Costringere i mammiferi marini, creature intelligenti e sensibili, a vivere in vasche e ad esibirsi per il divertimento della folla è pura barbarie – spiega l’ex ministro Brambilla – Per questa ragione ho presentato una proposta di legge che vieta nel nostro paese la detenzione e l’addestramento di cetacei e porterebbe, se approvata, alla chiusura dei delfinari esistenti».
«NO AI DELFINARI» – Balene e delfini sono «animali molto intelligenti – ricorda la parlamentare del Pdl – che vivono in gruppi sociali complessi ed hanno bisogno Delfinario-Sonora-03di relazioni» e «separarli ancora piccoli dalle loro famiglie vuol dire infliggere loro un trauma gravissimo, in molti casi insuperabile». Da sempre in prima linea per la difesa dei diritti degli animali, Michela Vittoria Brambilla aggiunge: «Come se non bastasse questi poveri animali devono imparare ed eseguire “numeri da circo” di fronte a spettatori paganti. Non c’è da stupirsi se lo stress mentale, emozionale e fisico indebolisce il delicato sistema immunitario dei cetacei, li porta spesso alla malattia e alla morte. L’elevato indice di mortalità alimenta nuove catture in tutto il mondo, a volte con metodi particolarmente crudeli». Come dire: «La loro casa è l’oceano, non certo una vasca di 400 metri quadri per cinque esemplari e 100 metri quadrati per ogni esemplare aggiuntivo – sottolinea Brambilla – lo standard minimo fissato dalla normativa italiana, considerata “generosa”».

delfinarioINTERVENGA LA POLITICA – Ricorda inoltre l’ex ministro Brambilla che «i delfinari sono a tutti gli effetti imprese commerciali e non dovrebbero ottenere permessi di importare cetacei, neppure vantando presunti “scopi scientifici” che al dunque si rivelano inesistenti». Eppure, continua la deputata animalista, «il regolamento europeo 338/1997 vieta l’importazione di cetacei nell’Unione per scopi prevalentemente commerciali». «Per questo – conclude Michela Vittoria Brambilla – faccio appello a tutte le forze politiche affinché sostengano la mia proposta di legge che vieta nel nostro paese la detenzione e l’addestramento di questi meravigliosi animali».

fonte: corriere.it

Voi, cosa ne pensate?

Caccia alle balene illegale, L’Aja ordina lo stop al Giappone

caccia alle balene

Finora la “finalità scientifica” era usata come un pretesto, ma la Corte internazionale chiude il contenzioso decennale. Il Paese ha sempre difeso la sua “tradizione secolare”, ma lo scorso anno 6000 tonnellate di carne di balena sono andate sprecate: eccessivi i livelli di mercurio

ANSA
Una nave giapponese impegnata nella caccia alla balena

ILARIA MARIA SALA
Non vi sono “fini scientifici” nella pesca alla balena giapponese, ha deciso la Corte internazionale di giustizia (CIG) all’Aja, e dunque il Giappone non potrà più continuare a pescare balene con questa scusante: la CIG infatti ha disposto la sospensione della pesca dei cetacei per fini “scientifici”, portato avanti da Tokyo dal 1988 – ovvero, dopo che la caccia alle balene era stata dichiarata illegale.

Prima del verdetto Tokyo aveva annunciato che avrebbe rispettato il volere della CIG, ma nel corso degli anni la posizione giapponese ha mostrato di essere arroccata sulla questione della pesca dei cetacei per motivi quasi inspiegabili, se non da una testardaggine che sfiora nel nazionalismo, dato che il consumo della carne di balena è spesso descritto come “tradizione” giapponese, su cui, dunque, gli stranieri non dovrebbero pronunciarsi.

Eppure, anche i giapponesi sembrano ormai guardare a questa spuria “tradizione” con un certo sospetto, in particolar modo a causa dell’enorme potenziale tossico della carne di balena. Come tutti i pesci di grossa pezzatura, infatti, anche la balena accumula nel suo corpo, in particolare nelle molecole grasse, tutti i veleni che oggi si trovano nel mare, in particolare i metalli pesanti. Così, secondo uno studio del Journal of Environmental Science and Technology del 2003 mostrava come, già allora, la carne di balena contenesse livelli “allarmanti” di mercurio. Da allora, l’inquinamento marino è solo peggiorato, e la presenza di metalli pesanti nei cetacei – come nelle carni di molti altri pesci – non ha fatto che aumentare.

Ma il Giappone, da tempo, ha ormai perso il piacere di consumare carne di balena, vuoi per l’evolversi della dieta nazionale, vuoi per i pericoli associati al mercurio: e così, lo scorso anno il Giappone aveva in magazzino 6000 tonnellate di carne di balena, di cui, rari esperimenti scientifici a parte, non sapeva davvero cosa farsene. Questo rappresenta un costo considerevole per il Giappone, la cui dimostrazione scientifica nel cacciare balene, voleva provare anche che questa fosse una pratica sia ecologicamente che commercialmente sostenibile: invece, ora che si appronta ai notevoli costi del riparare la Nisshin Maru, la baleniera nazionale, il Giappone deve affrontare anche il crescente numero di genitori arrabbiati per la pratica di rimpinguare i pasti scolastici dei bambini aggiungendo carne di balena nelle mense nazionali, per cercare di liberare un po’ dei depositi debordanti. Operazione commerciale fallimentare, dunque, fonte di tensioni sociali e scacco totale rispetto alle relazioni pubbliche internazionali: e se il Giappone approfittasse del verdetto all’Aja per smettere di cacciare balene e delfini?

fonte: lastampa.it

Il 28 aprile arriva la “Festa del cane”

Come per la donna, il papà, la mamma, gli innamorati ed i nonni, esiste il giorno solenne del cane, notoriamente miglior amico dell’uomo. Anche nel 2014 la Festa del cane  si celebrerà il 28 Aprile. 

festa del cane

Una festa dedicata agli amici a quattro zampe

festa del cane3Dopo la trentaquattresima edizione della festa del cane bastardino e la rassegna di concerti canini, tenutesi nel mese di Febbraio rispettivamente ad Empoli e Catania, si avvicina una data cara agli estimatori di quest’animale, considerato oramai da decenni, il miglior amico dell’uomo. Anche quest’anno infatti, il 28 Aprile è stato scelto come anniversario delle celebrazioni degli amici a quattro zampe. La Festa del Cane è un evento relativamente recente, fortemente rivendicato ed acclamato dagli animalisti di tutto il mondo, desiderosi di vedere finalmente riconosciuti e tutelati i diritti di una specie che è entrata a far parte della nostra quotidianità.

 

L’importanza di questa data

festa del cane2La ricorrenza annuale, che riunisce cinofili provenienti da tutte le regioni d’Italia e non solo, cade nel giorno della liberazione dei Beagle di Green Hill, un successo senza precedenti nel panorama delle battaglie antivivisezione sostenute dagli animalisti di tutto il mondo. Una vittoria importante quella contro l’organizzazione, che allevava animali destinati alla sperimentazione in laboratorio, al fine di testare farmaci, pesticidi ed altri prodotti chimici altamente nocivi. Più di duemila esemplari sono stati letteralmente salvati con l’ultima sentenza della Corte di Cassazione, cifre che val la pena di evidenziare, ma soprattutto ricordare con un’apposita giornata. Così a dispetto delle altre date proposte, tra cui spiccavano il primo Dicembre, per la costellazione del Cane Maggiore, il 30 Aprile, compleanno di Pluto, ed il 3 Novembre, per la missione della cagnetta Laika nello spazio, la data della liberazione dei Beagle, ha raccolto maggiore consenso.

Chi aderisce

Ad aderire all’iniziativa del 28 Aprile, tutti coloro che abbiano deciso d’impegnarsi concretamente a favore dei cani, rispettandoli per ciò che sono, ossia esseri viventi bisognosi di cure e di attenzioni come chiunque altro. Diverse associazioni di volontariato per l’adozione dei cuccioli abbandonati, e rivenditori specializzati che da anni si battono per la tutela dei diritti degli animali, faranno sentire la propria voce su tutto il territorio nazionale, con attività ludiche, workshop e conferenze dedicate. ll ritrovamento di un animale in difficoltà, il modo in cui approcciare al cane e dargli la giusta considerazione, i temi più caldi in programma. Nel frattempo, chi fosse interessato a prendere parte alle iniziative o volesse proporre un evento, potrà trovare molteplici spunti consultando siti specializzati come http://animalmania.it/blog/.

L’idea comune è che la Festa del cane debba essere innanzitutto una giornata di speranza, da vivere serenamente insieme ai propri fidati amici animali.

Valentina Barretta

Anatra

L’anatra è un uccello dell’ordine degli Anseriformi, classe Anatidi.

anatra muta 2Le specie di anatra allevate in cattività sono molte, e alcune di esse sono state addomesticate. Vengono utilizzate soprattutto per scopo alimentare, per produrre uova, per la carne e per il fegato, ma possono anche essere impiegate per la caccia e per scopi ornamentali.

Le anatre allevate discendono da due specie selvatiche, la Chairina moschata, la famosa anatra muta o muschiata, detta anche anatra di Barberia, e il Germano reale o anatra selvatica (Anas platyrhynchos), che ha dato origine a tutte le anatre domestiche, spesso chiamate anatre comuni.

Allevamento dell’anatra

anatra mutaL’anatra presenta alcuni vantaggi rispetto al pollo. Non razzolando, non danneggia i giardini e libera la vegetazione e il terreno da larve, insetti (anche zanzare), molluschi, essendo instancabile nella ricerca del cibo; il piccolo di anatra non ha bisogno né del caldo artificiale, né di quello materno già dopo pochi giorni di vita; la sua alimentazione è molto più semplice, la crescita molto rapida; è meno sensibile alle intemperie, quindi si ammala di meno e necessita di ricoveri meno protettivi.

L’anatra domestica è diventata negli ultimi anni una forte concorrente dei polli nella produzione di uova, che sono più grandi (circa 70 g), e vengono utilizzate soprattutto in pasticceria e nella produzione di pasta.

Le anatre da carne sono solitamente macellate intorno alle 7-8 settimane di vita.

L’anatra muta è utilizzata per la produzione di carne di eccellente qualità e del fegato, che è adatto per produrre foie gras (fegato grasso).

L’anatra in cucina

anatra muta cucinaLa classica ricetta a base di carne di anatra prevede l’uso dell’arancia, che ben si sposa con l’aroma caldo e intenso di questo animale. C’è da dire che le carni degli animali allevati in modo intensivo non hanno aromi e sapori particolarmente spiccati e quindi possono essere gradite a tutti coloro che non amano carni dai sapori forti.

L’anatra è un uccello volatore e quindi il suo petto contiene mioglobina, rendendo la sua carne di colore rosso. Il petto di anatra si presenta come una grossa bistecca con la pelle da un lato, va cotto brevemente, lasciandolo rosato all’interno, e la pelle va utilizzata per liberare il grasso da utilizzare in cottura, che rende questa carne magrissima più tenera e succosa.

La coscia di anatra può essere utilizzata per preparazioni in umido, come quella del pollo, mentre l’anatra intera può essere preparata arrosto alla stregua del pollo.

Il germano reale (anatra selvatica), ha carni scure dall’aroma molto intenso e va in genere preparato in umido con l’aggiunta di spezie (ginepro, chiodo di garofano, cannella), con un soffritto di odori (sedano, carota, cipolla) sfumati nel vino che poi vanno frullati per preparare la salsa di accompagnamento.

La Francia dice sì alla caccia al lupo rischio invasione in Piemonte

Sono circa 200 gli animali che vivono sulle Alpi al confine tra i due paesi e cinque branchi si spostano tra le valli francesi e quelle di Susa e Chisone. L’allarme dei pastori del Torinese

lupoLa Francia ha deciso: il lupo si potrà cacciare, e le operazioni di prelievo partiranno proprio dalle regioni confinanti con il Piemonte: Rhone Alpes e Paca. Lo ha annunciato il ministro dell’Agricoltura Stéphane Le Foll, durante un convegno, pochi giorni fa nella cittadina di Drome. Il ministro ha spiegato di aver scritto una lettera ai prefetti, con il responsabile del dicastero dell’Ecologia, Philippe Martin, in cui si autorizzano le operazioni di prelievo per i cacciatori addestrati, nei boschi francesi che confinano con la montagna torinese. Ad esempio a ridosso della Val Susa e Val Chisone, ma senza dimenticare la zona delle Alpi Marittime. L’elevata concentrazione di branchi (si stima la presenza di circa 200 lupi in tutta la Francia) unita ai continui attacchi agli allevamenti di ovini e bovini, ha convinto i francesi a una scelta drastica, per tutelare l’economia montana. Ovviamente la caccia al predatore delle Alpi dovrà rispettare le prescrizioni della direttiva Habitat, essendo il lupo un animale protetto a livello europeo. “Nel 2013, su 24 abbattimenti autorizzati, ne sono stati effettuati solo tre – ha spiegato il ministro – i nostri mezzi non sono sufficienti e per quello chiederemo il supporto dei cacciatori locali”.
Il provvedimento francese avrà delle ripercussioni anche in Piemonte, proprio perché alcuni dei branchi che saranno colpiti, sono quelli definiti “transfrontalieri”. Ce ne sono cinque di questo genere, di cui due nella provincia di Torino: tra Bardonecchia e Nevache in Val Claree, e tra l’Haute Maurienne e la Val Cenischia, al Moncenisio. Ma occorre citare anche il branco della Valle Ripa, con lupi che si spostano tra Cesana e il Monginevro. Nella provincia di Torino, altri branchi sono presenti in Val Germanasca, Val Chisone, nel Gran Bosco di Salbertrand e nel parco Orsiera, e dall’estate scorsa anche nelle Valli di Lanzo. Un totale di 2530 lupi, mentre in tutto il Piemonte si è stimata la presenza di circa 40 esemplari. Ma in futuro sarà più difficile monitorarne la presenza: la Regione ha infatti deciso dopo 13 anni di tagliare il progetto di ricerca partito nel 1999. 

Intanto sale la protesta tra gli allevatori piemontesi: “Solo quest’anno mi hanno massacrato oltre trenta pecore, non si può più andare avanti – dice sconsolato Silvano Galfione, che ha l’alpeggio in Val Chisone – sono venuti anche in queste ultime due notti”. Secondo gli allevatori non si può permettere ad un predatore simile di riprodursi senza controlli: “La Francia fa bene a permettere la caccia controllata – aggiunge – ma noi pastori non contiamo nulla, i politici sono senza palle, e temono di perdere voti perché il lupo piace ai cittadini, è bello da vedere nelle foto”. Della stessa opinione Silvia Fiore, con alpeggio a Venaus: “Siamo esasperati, coi tempi che corrono, non possiamo più permetterci di pagare un guardiano notturno per sorvegliare gli animali e contro i branchi non basta un cane da guardia”. Iniziando la caccia in Francia, i lupi cercheranno un rifugio sicuro nelle vallate piemontesi? La ricercatrice Elisa Avanzinelli tranquillizza gli animi: “Non c’è rischio di invasioni, ma non è abbattendo i lupi che si risolvono i problemi della pastorizia. Solo la prevenzione può tutelare gli allevatori: installando recinzioni elettrificate, non lasciando incustoditi le greggi, e rinforzando la sorveglianza con guardiani e cani”.

Procione – Procyon lotor

Procyon lotorNome comune: PROCIONE

Nome scientifico: Procyon lotor

Famiglia: Procionidi

Ordine: Carnivori

Classe: Mammiferi

CARATTERISTICHE:

ProcioneLa dimensione del procione ricorda quella della volpe. La lunghezza testa-corpo è di 40-70 cm e l’altezza alla spalla è di 23-35 cm. Il peso varia dai 4 ai 9 kg.

La testa è rotonda e il muso allungato; le orecchie sono tondeggianti e bordate di bianco.

La folta pelliccia del procione è caratterizzata da tonalità del grigio. Distintiva è la mascherina sul muso di colore nero e bordata di bianco.

Le zampe presentano delle “dita” piuttosto lunghe provviste di artigli taglienti.

Un’altra specie è il procione granchiaiolo che ha il corpo più lungo rispetto agli altri, sebbene abbia una coda leggermente più corta; i denti sono, inoltre, più spessi e robusti e la pelliccia è più corta, di colore grigio scuro con macchie gialle.

VITA ED ABITUDINI:

procione (1)I procioni conducono una vita solitaria, anche se nel periodo invernale si possono creare delle aggregazioni più o meno numerose.

Questi animali non difendono un territorio in modo particolarmente marcato, tanto che le aree familiari si possono sovrapporre.

Generalmente il periodo riproduttivo cade tra gennaio e marzo. Durante questa fase i maschi visitano le tane delle femmine e si accoppiano, quindi non si creano dei legami di coppia stabili.

Tra aprile e maggio vengono alla luce 2-8 piccoli completamente ciechi e dal peso di 60-70 gr. Il legame tra la madre e la prole s’interrompe con il successivo periodo riproduttivo. A questo punto i giovani creano dei gruppi, prima di cercare individualmente un proprio territorio.

orsetti-lavatoriIl procione è una specie onnivora, che si adatta a qualsiasi disponibilità alimentare. Si nutre di frutta, ghiande, avena, mais, lombrichi, insetti, micromammiferi, uccelli e uova.

E’ un ottimo scalatore e un eccezionale nuotatore. Spesso utilizza vecchie tane (per trascorre il giorno, per allevare la prole e per ibernare) costruite dalla volpe o dal tasso, oppure delle cavità naturali.

Occupa diversi habitat, anche se preferisce le zone agricole e le foreste miste procioni (3)ricche di aree umide. Lo possiamo incontrare ai margini delle città, nei parchi e nei frutteti. Il suo attuale areale di distribuzione comprende gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa centrale e l’Asia.

La pelliccia dei procioni, pur essendo ruvida, è molto bella; quella della specie nordamericana, in particolare, è apprezzata fin dal XVII secolo e ancora oggi viene utilizzata per confezionare berretti e altri capi di vestiario. La caccia al procione è molto praticata negli Stati Uniti meridionali e avviene di notte utilizzando i cani, che stanano questi mammiferi nei pressi delle paludi e dei corsi d’acqua.

NON TUTTI SANNO CHE:

Il procione, prima di ingerire il cibo lo manipola ripetutamente con le zampe anteriori, dando l’impressione che desideri lavarlo, ciò gli è valso il nome di orsetto “lavatore”.

IL PROCIONE IN ITALIA:

Raccoon_(Procyon_lotor)_2Sono così carini, simpatici, sono tanto amabili gli orsacchiotti dalla maschera bianca e nera, quelli che lavano nell’acqua il cibo prima di mangiarlo! Peccato che l’intero genere dei Procyionidae, cui appartiene il Procione o anche Orsetto lavatore, non può essere allevato in cattività in quanto è inserito nell’elenco degli animali «che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione», come stabilito dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 19 aprile del 1996.
La caratteristica principale del Procione è la mascherina di pelo nero attorno agli occhi, in forte contrasto con il colore bianco che la circonda.

Chi, nelle sue terre d’origine (Stati Uniti, Messico e America centrale), ha a che fare abitualmente con l’Orsetto lavatore ne conosce le caratteristiche di pericolosità dovute non solo alla possibilità di aggressione fisica, ma sopratutto alle malattie che questo animale è in grado di trasmettere agli uomini e agli animali. Rabbia, leptospirosi e altre amenità di questo tipo rendono poco simpatico e tollerato questo animale a chi spesso lo incontra di sera nel proprio giardino.

ProcioneSenza contare la cosiddetta «Conhound raccoon disease», una grave paralisi che colpisce alcune razze di cani che sono entrate in contatto e sono state più volte morsicate dal simpatico orsacchiotto che lava la mela nell’acqua prima di mangiarsela.

Ora, il problema è che alcuni procioni, nel secolo scorso, sono stati deliberatamente introdotti in Francia e Germania e da qui si sono diffusi anche in Lombardia trovando un ambiente ideale lungo le sponde dell’Adda. Ed è proprio in un paese che si chiama Fara Gera d’Adda, in provincia di Bergamo, che i guai sono diventati insostenibili, quando la presenza dell’orsetto dalla mascherina nera ha cominciato a farsi ingombrante a causa del numero di esemplari. Non più un paio che desta la curiosità della gente, ma un centinaio che ormai tiene sotto scacco il paese. Rumori notturni strani, galline che scompaiono o si trovano a terra in un lago di sangue, tubi rosicchiati che perdono acqua… di chi la colpa? Dei procioni.

procione italiaAvvistamenti sono stati segnalati fin dal 2004 e poi nel 2008. Negli ultimi anni si sono moltiplicati e, secondo gli esperti, vi sarebbero addirittura due o tre colonie nella zona di Fara Gera d’Adda nel Parco regionale dell’Adda Nord. Altre segnalazioni sono state fatte alla Forestale e ai vigili del fuoco per la presenza di procioni nei sottotetti di abitazioni, nei container dei rifiuti e anche nelle vicinanze del laghetto della Trucca vicino all’Ospedale di Bergamo. Ciò significa che il procione si sta diffondendo sempre più. «È un problema che ormai ci trasciniamo da qualche anno» commenta il sindaco Valerio Piazzalunga «ogni tanto ci sono cittadini che li segnalano. E gli operatori della piattaforma ecologica raccontano che se li ritrovano nei cassoni della spazzatura a mangiare gli avanzi, e devono metterli in fuga prima di poter scaricare nuovi rifiuti. Noi non possiamo intervenire, perché si tratta di animali classificati come pericolosi, e quindi serve l’intervento di personale specializzato. Ora temiamo che possano anche diffondersi nella zona tra l’Adda, il canale e l’ex Linificio, ormai dismesso».

Gli assedi di paesi e città da parte di animali non sono infrequenti. Poco tempo fa, a Livorno, sembrava di rivivere le scene de Gli Uccelli di Hitchcock, solo che si trattava di gabbiani reali, che proteggevano uova e piccoli attaccando chi capitava. A Cinisello Balsamo, pochi giorni orsono dopo aver subito un’invasione di afidi (piccoli insetti tipo cimici), il centro è andato in allarme per la presenza di un elevato numero di grosse api per nulla rassicuranti. Un’invasione originale e tutto sommato gradita è quella avvenuta a Blagoveshchensk, nella regione di Amur nell’Estremo Oriente russo. Il paese, forse per l’estate piovosa, ha subito l’invasione da parte di centinaia di migliaia di coccinelle. Non male, portano fortuna.

fonte: ilgiornale.it

Aquila reale uccisa da una fucilata

aquila reale morta

SPOLETO – È una specie rara e protetta a livello comunitario e in tutto l’Appennino umbro-marchigiano se ne contano non più di 15 coppie nidificanti, di cui almeno 4 all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Eppure è stata proprio un’aquila reale di due o tre anni ad essere stata uccisa dai pallini di un cacciatore nel giorno di preapertura della stagione venatoria. La sua carcassa è stata trovata a settembre scorso sull’alto versante meridionale di Monte Maggiore, nel territorio comunale di Campello. La conferma che si trattasse della “regina dei cieli appenninici” è arrivata dopo la necroscopia congiunta eseguita all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale e presso la Sezione di Chirurgia e Radiodiagnostica della Facoltà di Veterinaria di Perugia. Secondo gli esami compiuti, l’animale al momento della morte era “in perfette condizione fisiche, nel pieno delle proprie capacità locomotorie e sensoriali”. La causa del decesso dunque sarebbe da attribuirsi ai tre pallini da caccia rinvenuti nel corpo dell’esemplare dagli esperti: “Due in posizione centrale nella cavità basso-addominale, uno nella cavità toracica a tre millimetri del segmento toracico della colonna vertebrale, tutti in posizioni e condizioni letali”. Il colpo di fucile sarebbe stato sparato a non più di venti metri di distanza da un’arma lunga, probabilmente un fucile. E secondo la ricostruzione, avrebbe colpito l’animale in volo “strappandogli il possente becco”.

 

Un precedente a lieto fine

Nel 2001, un’aquila reale era stata trovata nei pressi di Bolognola, dal Corpo forestale dello Stato, su segnalazione di alcuni cercatori di funghi. Le sue condizioni apparivano disperate, a causa delle ferite d’arma da fuoco su un’ala procuratele da un cacciatore. Subito affidata al Centro di recupero animali selvatici dell’Oasi Wwf Bosco Frasassi di Fabriano, l’aquila si era salvata, ma l’ala non aveva recuperato la sua funzionalità. Poi, a 10 anni di distanza dal suo ritrovamento, è tornata tra le sue montagne, nel Centro Faunistico di Castelsantangelo sul Nera, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. anche se costretta a vivere in cattività.

di Antonella Manni

fonte: il messaggero.it

– See more at: http://www.falconeria.org/aquila-reale-uccisa-da-un-cacciatore-si-cerca-il-colpevole/#comment-74

Il Lupo in Italia – Canis lupus italicus

canis lupus italicus2

Il lupo (Canis lupus, Linnaeus 1758) è un mammifero appartenente all’ordine dei Carnivori e alla famiglia dei Canidi.
Il lupo “Garganico”, per cui il lupo dell’ Appennino (Canis lupus italicus), è una sottospecie del lupo. Sulla classificazione esistono tuttora controversie tra gli esperti relative all’attribuzione del rango di sottospecie, ma è indubbiamente caratterizzato da peculiari adattamenti all’ambiente appenninico che lo rendono unico. Il lupo appenninico è più piccolo rispetto al lupo comune, la taglia è quella di un cane di medie dimensioni, infatti, il peso di un maschio si aggira attorno ai 30-35 Kg., mentre una femmina è di circa 20-25 Kg., la lunghezza media è di circa 120 cm, mentre l’altezza al garrese varia dai 60 ai 70 cm.
Il lupo è un carnivoro puro, che oltre a predare animali di grandi dimensioni quali cervi, caprioli, cinghiali e occasionalmente ovini e bovini domestici, può mangiare di tutto, bacche, funghi, insetti, lucertole, rane, uccelli, topi ed altri piccoli mammiferi, nonché, carcasse e rifiuti vari.

 

Distribuzione

Distribution_Canis_Lupus_ItalicusLa popolazione odierna, tenendo conto delle comunità alpine e di quelle presenti nel territorio peninsulare, è composta da un numero di individui che si aggira tra le 600 e le 1.000 unità, con la popolazione alpina composta da circa 100-120 esemplari e quella peninsulare da 500-800 individui, sebbene alcune stime parlino di 1.000-1.200 esemplari presenti in tutto il territorio italiano. Tuttavia, trattandosi di stime, il numero esatto non è al momento conosciuto. La popolazione alpina, pur crescendo con ritmi piuttosto veloci (10% all’anno), risulta ancora in pericolo per l’esiguità del numero di individui e per lo scarso contatto con altre popolazioni di Canis lupus, entrambi fattori che potrebbero indebolire il corredo genetico. Per questo motivo, tale popolazione è considerata in pericolo, mentre la popolazione appenninica, a causa della maggiore consistenza numerica è considerata a minore rischio e categorizzata come vulnerabile. Tuttavia anche per questa popolazione la riduzione del flusso genico e la pressione antropica, esercitata soprattutto attraverso il bracconaggio rappresentano evidentemente dei fattori di rischio elevati. Tuttora, infatti, persistono campagne di persecuzione, attraverso il bracconaggio, che utilizza principalmente armi da fuoco, bocconi avvelenati e lacci. Si tratta in ogni caso di comportamenti illegali, perché tutte le Leggi Regionali sulla caccia tutelano senza eccezioni il lupo e, a livello nazionale, esso è specie integralmente protetta.
Uno dei maggiori pericoli a cui è esposto attualmente il lupo appenninico è l’ibridazione, causata dall’accoppiamento con cani rinselvatichiti, con conseguente corruzione del patrimonio genetico di questo animale.
Come detto, il lupo appenninico è attualmente presente sull’intera catena degli Appennini e sulle Alpi Occidentali. Il maggior numero di branchi ed esemplari è presente in Abruzzo, con i nuclei principali nell’area del Parco Nazionale omonimo e nei settori a cavallo tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco Nazionale della Majella ed il Parco nazionale dei Monti Sibillini e, in Calabria, nel Parco Nazionale della Sila; il territorio abruzzese, inoltre, grazie alla presenza di efficaci corridoi faunistici è l’unico in tutto l’Appennino a permettere spostamenti da parte del lupo sull’asse Ovest-Est e viceversa.
Nel Lazio è presente sulla dorsale appenninica (particolarmente nel Parco dei Monti Simbruini), ma anche sui Monti della Tolfa, sui Monti Lepini e sui Monti Ausoni. Da circa 5 o 6 anni è stato registrato il suo ritorno anche nel Parco naturale dei Monti Aurunci. Ci sono stati avvistamenti anche nella campagna romana con un branco di 4-5 lupi. Negli ultimi anni alcuni esemplari sono stati avvistati all’interno del territorio del Parco Regionale dei Castelli Romani e nel Parco naturale regionale delle Serre. Nel 2010 sono avvenuti sporadici avvistamenti di 3-4 esemplari sui boschi del Subappenino Dauno nella Puglia settentrionale e 5 esemplari sulle Murge. Nel 2011 è stato accertato il ritorno del lupo italico nel Parco nazionale del Gargano dove alcune ricerche hanno confermato la presenza di almeno un nucleo familiare. Da poco tempo poi si è stabilito un branco nel Parco nazionale del Gran Paradiso.
reintroduzione lupo italicusDa qualche anno si registra inoltre la presenza di alcuni esemplari di Canis lupus italicus in Svizzera, Valle d’Aosta e Lombardia. Altri individui erratici sono stati avvistati anche sui Pirenei. È infine probabile il ricongiungimento della popolazione del lupo appenninico con la popolazione del lupo sloveno: alcuni esemplari sono stati infatti segnalati nel Friuli-Venezia Giulia a partire dal 2000. Nel 2009 sulle Dolomiti è stata trovata la carcassa di un lupo, morto per cause naturali. Nella Provincia di Imperia, dopo operazioni atti ad aiutare il ripopolamento, sono stati fotografati a partire dal 2011. Nel 2012 nel Parco naturale regionale della Lessinia è stata verificata la presenza di una coppia di lupi, una femmina della popolazione italiana e un maschio di quella balcanica, diventando il primo caso verificato di ricongiungimento tra le due popolazioni, (ne parleremo più dettagliatamente nel seguito di questo articolo); la coppia si è riprodotta nel 2013. Le uniche regioni d’Italia dalle quali il lupo non è mai scomparso sono Campania, Basilicata, Calabria e Abruzzo, dove, all’interno delle foreste dei Monti Picentini-Alburni, del Pollino, del Vulture, della Sila e Parco nazionale d’Abruzzo, ha potuto proseguire la sua vita in relativa serenità e isolamento.

canis lupus italicusIl lupo, può vivere isolato o in branchi gerarchicamente organizzati, con la presenza di un maschio e una femmina, capo-branco, detti “alfa” che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti del branco; le dimensioni dei branchi variano a seconda delle disponibilità ambientali ed alimentari, possono essere composti da 2 a 15/20 e più individui. Nel branco solo la coppia “alfa” si riproduce, il resto del branco protegge ed assiste nella crescita i loro cuccioli. L’accoppiamento avviene all’incirca nel mese di marzo, la gestazione dura intorno ai 2 mesi ed il numero dei nuovi nati (in genere nel mese di maggio) varia: dai 2 agli 8 cuccioli, i lupi hanno 1 solo periodo riproduttivo all’anno. La vita media di un lupo è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio sostentamento. Il verso più caratteristico ed affascinate del lupo è l’ululato che serve sia a segnalare la propria presenza che come richiamo per gli altri membri del proprio branco.
L’habitat naturale del Lupo è rappresentato da zone boscose in generale ma è capace di adattarsi ad ambienti diversi, purché ampi e selvaggi e non disturbati dall’azione o dalla presenza dell’uomo. E’ prevalentemente notturno, durante il giorno si rifugia nei luoghi più selvaggi ed inaccessibili, dove passa il tempo riposando e giocando, talvolta compie piccoli e rari spostamenti diurni, ed è un animale difficile da avvistare, per cui, l’incontro con un lupo in natura, diventa un evento eccezionale che pochissimi fortunati possono vantarsi di aver vissuto. Il Lupo non ha predatori naturali, se si esclude l’uomo.
Del lupo, a parte illustrare le caratteristiche zoologiche più o meno note, non è facile scrivere, anche perché molto si è gia scritto o detto su di esso. E’ l’animale che più di ogni altro ha ispirato, in tutto il mondo, sia positivamente che negativamente favole, romanzi, racconti, film e leggende, era ed è tuttora, simbolo di forza e astuzia, creatura misteriosa e mitologica, ma anche un animale associato a forze oscure e maligne, simbolo di paura e cattiveria. Chi non conosce la storia della lupa di Roma che allattò Romolo e Remo, chi non conosce la fiaba di Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo, ecc. ecc., gli scritti, i racconti, le fiabe e le leggende sul lupo sono tantissimi.

La Ripresa

canis_lupus_italicus_aA partire dagli anni ’70 vennero attuate le prime politiche di conservazione, che favorirono l’aumento della popolazione. Nel 1971 partì la campagna del Parco Nazionale d’Abruzzo e del WWF significativamente chiamata “Operazione San Francesco” e nel 1976 vennero promulgate le prime leggi di conservazione[8]. Nei primi anni ’80 una nuova indagine stimò il numero degli esemplari in circa 220-240 individui, in espansione. Negli anni ’90 nuove stime portarono il numero a circa 400 lupi, con in più il ripopolamento di zone, come le Alpi Occidentali, dalle quali questi animali erano scomparsi da quasi un secolo.
Contemporaneamente rinascevano comportamenti persecutori da parte dell’uomo: ad esempio, negli anni ’80, a seguito della ricomparsa di un piccolo nucleo di lupi nel comprensorio dei Monti Lepini, si attivarono nella zona squadre di armati che spesso arsero vive nelle tane intere cucciolate. In un episodio emblematico, accaduto nel 1983 a Carpineto Romano, un cucciolo di lupo, dopo essere stato barbaramente ucciso, venne inchiodato al portone del municipio, come monito per gli ambientalisti.

L’addomesticamento del Lupo

addomesticamento lupoNell’antichità, il lupo veniva visto, dai popoli nomadi legati alla caccia, in maniera molto positiva. Essendo anch’esso cacciatore, il lupo era un mito, ne veniva esaltata l’audacia, la potenza, l’astuzia, l’abilità nelle azioni di caccia (la straordinaria coordinazione del branco durante una battuta di caccia) e ne venivano imitate le tecniche, si può affermare, infatti, che le prime tecniche di caccia utilizzate dall’uomo derivano dall’osservazione dello stile predatorio del lupo.
Tutto cambiò quando nacquero le prime civiltà stanziali, fondate sull’agricoltura e sulla pastorizia, dove si è cominciato a vedere il lupo come un competitore, un nemico da combattere e da eliminare. Questa situazione fece sì che nel medioevo l’odio nei confronti del lupo aumentasse notevolmente, fino ad associarlo come un animale vicino alle forze oscure e maligne, cattive e sleali, e addirittura al diavolo.
Niente di più falso, la vera cattiveria e slealtà è stata perpetrata dall’uomo, nei confronti di questa mitica e misteriosa creatura, che ricopriva un ruolo principale nella catena alimentare di predatore insieme all’uomo. Il lupo non era preda dell’uomo come l’uomo non era preda del lupo, ma, un concorrente, due cacciatori antagonisti, una competizione vinta dall’uomo in modo sleale. Dal medioevo fino agli anni 70’, venne cacciato, braccato, ucciso con ogni mezzo; il lupo, insomma, da grande predatore, da grande cacciatore, una volta venerato, veniva cacciato, divenendo preda dell’uomo che da antagonista cacciatore divenne cacciatore di lupi. Tutto ciò, solo perché il lupo era divenuto un concorrente scomodo, perché l’uomo aveva mutato il suo modo di vivere, non più legato solo alla caccia, ma cominciava ad allevare le proprie prede (le greggi).
Per queste azioni repressive il lupo rischiò di scomparire, ma negli anni 70’ per fortuna, divenne specie protetta. Il lupo attualmente è una specie “particolarmente” protetta e non cacciabile. Con il passare degli anni però, per il sempre meno spazio di natura selvaggia e il moltiplicarsi senza controllo del lupo, sarà inevitabile una nuova contrapposizione dei due cacciatori storici, il lupo e l’uomo, predatore contro predatore, il maestro (lupo) contro l’allievo (uomo). Ma l’allievo ha superato il maestro, con l’evidente vantaggio dell’uomo aiutato dalla tecnologia. Questa volta, una battaglia tra titani, già vinta in partenza dall’uomo per ovvi motivi, al solo scopo di ristabilire un equilibrio ecologico.

Nonostante tutto, l’uomo cacciatore (un po’ meno l’uomo allevatore o urbano) continuerà ad onorare il suo maestro (il lupo), perché, sa bene, che, ci fu un tempo in cui il lupo insegnò all’uomo le sue tecniche di caccia. C’è stato un tempo in cui il rispetto reciproco di cacciatori si è trasformato da concorrenza ad alleanza, infatti, nella notte dei tempi e con modalità ancora sconosciute, qualche lupo ammirata l’intelligenza dell’uomo, decideva di avvicinarsi pian piano agli accampamenti dell’uomo, si sottometteva e accettava scarti ed avanzi che l’uomo gli porgeva con stima, ammirazione e stupore. Sempre più attratto dall’amicizia sincera dell’uomo decideva di partorire i suoi cuccioli tra gli uomini, fino al punto di lasciar toccare ed accudire i propri piccoli dal nuovo branco umano, il lupo trovò nell’uomo un alleato sincero, cominciò a fidarsi, da divenire pian piano negli anni un suo fedele ausiliario “IL CANE”, si perché il lupo è il progenitore selvatico del cane domestico, pronto a cacciare al fianco dell’uomo ed a morire, se necessario per lui. Un rapporto Lupo-Uomo che ha arricchito entrambi, con una solo differenza, la fedeltà del lupo per il tramite del cane non è eguagliabile da nessun sentimento umano.

La storia di Slavc e di Giulietta

E’ un evento storico, ma loro non lo sanno.

Slavc e Giulietta sono due Lupi.   Nei giorni scorsi, nel parco naturale regionale della Lessinia (VR, VI), hanno avuto due cuccioli, due piccoli di Lupo ed è già un avvenimento storico, perché si tratta della prima riproduzione lupesca sulle Alpi orientali da almeno un secolo.

Ma non basta.   Slavc è un Lupo balcanico, di provenienza dinarica, appartiene alla specie Canis lupus, mentre Giulietta è un Lupo italiano e appartiene alla sottospecie Canis lupus italicus.  Dopo più di 150 anni, c’è stato un nuovo incontro e una nuova riproduzione fra le due distinte popolazioni.

Un avvenimento storico che fa ben sperare per la sopravvivenza del nostro Lupo, della nostraTerra.

A.N.S.A.16 agosto 2013

Nati due cuccioli lupo nel Parco Lessinia. Evento nel Veronese, i ‘piccoli’ filmati dal Corpo Forestale dello Stato.

Due cuccioli di lupo hanno preso possesso di un’area della Lessinia veronese. Una ‘videotrappola’, nei giorni scorsi, ha documentato l’avvenuta riproduzione con la presenza di due cuccioli di lupo. E’ stata quindi accertata la riproduzione della prima coppia di lupo delle Alpi orientali, formatasi lo scorso anno in Lessinia dall’incontro tra un lupo balcanico di provenienza dinarica, ‘Slavc’, e una femmina di lupo italico, ‘Giulietta’. Nel corso degli accertamenti svolti nei giorni successivi, è stato possibile riprendere ‘dal vivo’ le prime immagini dei due cuccioli. È il risultato del costante monitoraggio svolto dal personale del Parco della Lessinia e del Comando Stazione di Bosco Chiesanuova del Corpo Forestale dello Stato.

L’eccezionale evento riconduce a quanto zoologi e ricercatori avevano previsto e attendevano da tempo: il ricongiungimento di due popolazioni diverse non più in contatto da secoli con la formazione di un nucleo familiare, l’unico noto per le Alpi orientali, fatto di elevatissimo valore biologico e conservazionistico. Le attività di monitoraggio e vigilanza continuano al fine non solo di identificare geneticamente i nuovi nati ma anche di seguire e tenere costantemente sotto controllo le attività del nuovo nucleo familiare. La specie, ‘particolarmente protetta’ dalle normative nazionali e comunitarie, ha un importante ruolo al vertice della piramide alimentare nell’ecosistema alpino.

Si sottolinea che quest’ospite speciale, estremamente schivo ed elusivo con abitudini prettamente notturne e crepuscolari, non rappresenta alcun pericolo per l’uomo, e riuscire ad osservarlo in natura è un evento eccezionale e fortuito. Come testimoniano i dati relativi al restante territorio italiano, Appennino e Alpi occidentali, a fronte di diverse centinaia di animali presenti – rileva una nota del Parco delle Lessinia – non è mai stato documentato alcun caso di aggressione nei confronti dell’uomo nell’ultimo secolo.

La cuccia ideale

cuccia per caneLa scelta della cuccia per il tuo fedele amico è fondamentale, quanto la scelta della casa per te: sarà il luogo sicuro dove andrà a ripararsi da intemperie e dove potrà trovare tranquillità quando necessario.

La cuccia ideale non è solo quella resa confortevole dal nostro affetto, imbottita e arredata, ma soprattutto quella più adatta per dimensioni:

  •  Deve esserci sufficiente spazio da permettere al cane di stare in piedi davanti all’ingresso, sdraiarsi e girare su sé stesso comodamente: la cuccia dovrà essere di circa 30 cm più larga, 45 cm pù lunga e 22 cm più alta rispetto al tuo cane (l’altezza é quella del garrese del cane).
  • L’ingresso dovrà essere di una dimensione consona alla grandezza dell’animale per permettergli di entrare e uscire agevolmente dalla cuccia: circa 5 cm oltre l’altezza del garrese e 5 cm oltre la larghezza del cane:
  • Per dare maggiore protezione al cane, l’entrata andrebbe meglio fatta da un lato anziché nel mezzo.
  • Se invece il vostro è un cane da guardia, la porta di accesso dovrà essere più grande considerato che questi cani istintivamente ispezionano il territorio circostante e necessitano di avere una visuale più ampia.

Posizionamento

L’indicazione generale è di preferiere posizioni intermedie, dove l’escursione termica sia moderata: mai troppo fredda d’inverno nè troppo calda d’estate.

La soluzione ideale potrebbe essere di posizionare la cuccia sotto coperture preesistenti, come porticati, pensiline o pergolati. Se non ce ne fossero, andrà benissimo anche a ridosso delle mura di casa: l’importante è che sia sufficientemente riparata da vento e intemperie, non esposta al calore diretto del sole nei periodi più caldi dell’anno.

Dovrebbe essere posizionata vicino all’ingresso di casa, in modo che sia ben visibile, così che il cane possa sorvegliare facilmente il luogo, altrimenti potrebbe trovarsi una posizione diversa dove riposare!

Manuntenzione

  •  smontare, lavare e disinfestare con regolare frequenza durante l’estate
  •  se possibile ribaltare il fondo per evitare deformazioni
  •  rimuoverla, pulire e disinfestare abbondantemente la parte sottostante e permettere una buona asciugatura
  •  disinfestare le paratie di protezione
  •  se la lettiera è composta da paglia, sostituire e bruciare la vecchia
  •  se la lettiera è composta da vecchi indumenti, sostituire molto spesso in quanto la stoffa può favorire lo sviluppo dei parassiti e il ristagno dell’umidità (sostituire più spesso nella stagione umida)