Ci avete fatto caso? Dove sono finiti i passeri che vedevamo da bambini?

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Passera di Italia

Quelli che fino a pochi decenni fa erano gli uccelli più comuni nei nostri cortili, dove spartivano le granaglie con le galline e gli altri animali domestici, oggi sono diventati rari e ormai quasi a rischio di estinzione, da noi come nel resto d’Europa.

In Inghilterra studi mirati condotti dalla seconda metà degli anni Settanta a oggi hanno messo in luce una riduzione del 65% dei nidi complessivi. In Francia negli ultimi 17 anni i passeri sono calati del 10% e in Germania nel 2002 la Passera europea (Passer domesticus) è stata designata «Specie dell’Anno» per via del calo vertiginoso delle popolazioni (circa il 45% in 10 anni).

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Passeri di Italia

Da noi erano molto comuni due specie: la Passera d’Italia (Passer italiae) e la Passera mattugia (Passer montanus), entrambe prevalentemente non migratrici, se non a breve raggio. Hanno caratteri molto simili e sono distinguibili solo da un occhio molto esperto. La mattugia si distingue per una chiazza nera sulla guancia bianca. Il becco forte, adatto a sminuzzare i duri involucri delle sementi, caratterizza entrambe le due specie, come anche le altre specie di Passeridae presenti in Europa, Medio Oriente e Nord Africa.
“La Passera d’Italia, presente prevalentemente in zone antropizzate, specie urbane, è in progressivo importante declino. La Passera mattugia è più rurale, anche spesso legata alla presenza dell’uomo; fa assembramenti invernali in incolti, è anch’essa in declino” (Maurizio Sighele, VBW).

La passera scopaiola, della quale Mario Rigoni Stern racconta nel suo libro UOMINI BOSCHI E API che dormiva nella cuccia assieme al cane Cimbro, non è un passero, è un prunellide. “Come il sordone si riproduce in quota in arbusti contorti e sverna in pianura. Gli individui che vediamo in inverno potrebbero essere centro-nord europei “ (M. Sighele).

Passera Mattugia
Passera Mattugia

Le cause principali di regressione della presenza dei passeri sono da imputare alla scomparsa dei siti di nidificazione, alla modernizzazione del sistema di allevamento degli animali domestici nei cortili (pollai in primis) e all’avvelenamento delle campagne. Si deve tener conto che la passera d’Italia, come lo storno, costruiva il proprio nido sotto i coppi dei tetti e che negli ultimi decenni i moderni sistemi di posa dei tetti ne hanno interdetto l’accesso agli uccelli. La passera mattugia, più campagnola, preferisce fare i propri nidi nelle cavità naturali e negli anfratti dei muri a secco.

L’eccessiva meccanizzazione delle pratiche agricole, colpevoli di minimizzare la quantità di raccolto abbandonato nei campi, hanno sicuramente influito sulla sopravvivenza dei passeri. Allo stesso tempo i vecchi granai sono stati sostituiti da depositi e magazzini più funzionali, entro i quali è molto più complicato poter accedere alla ricerca dei preziosi semi. Ci sarebbero, in buona sostanza, minori risorse alimentari a disposizione di questi piccoli uccelli, cosa che determina, in inverno, un tasso di mortalità molto più elevato.

Così dai nostri cieli e dalle nostre campagne se ne vanno le rondini e i passeri, mentre vengono sempre più numerosi i neri corvi, le cornacchie e le gazze, segni di un cambiamento profondo nell’ecologia del territorio in cui viviamo e presagio poco propizio per il futuro.

Croccantini per animali, il video di Report di Rai 3

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trasmissione report crocchette per animali

Centoventotto milioni di euro spesi solo per gli snack per cani e gatti. Può sembrare una cifra eccessiva ma non è nulla rispetto al miliardo e ottocento milioni di euro che spendono i 14 milioni di proprietari di animali da compagnia. Un settore che non soffre la crisi dei consumi e che è in costante crescita. Questo grazie a straordinarie operazioni di marketing, e a una normativa a maglie larghe che consente etichettature troppo generiche e l’utilizzo di materie prime che non rispondono agli stessi criteri di quelle certamente più sicure per l’alimentazione umana, i cui avanzi vengono buttati in pattumiera (per un valore di 8 miliardi di euro). L’inchiesta di Sabrina Giannini cerca di fare luce su un settore poco trasparente: tutte le aziende produttrici contattate, in Italia, Europa e Stati Uniti, hanno rifiutato di mostrarci gli stabilimenti, così come i loro fornitori di scarti di macellazione e farine di carne. Infine l’ultima novità del mercato che vede in competizione le multinazionali: le diete a supporto delle patologie che colpiscono cani e gatti. Alimenti molto costosi che suscitano dubbi.

Link per vedere il video: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Report-Troppa-trippa-inchiesta-su-mercato-cibo-per-cani-e-gatti-in-italia-croccantini-video-9b47ed6b-76f0-4435-b0fb-0ae03334e117.html

fonte: http://www.crocchettepercani.com/

Come scegliere la crocchetta giusta per il tuo cane

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scegliere crocchette per cani miglioriQuando arriva un animale in casa per la prima volta, ci si interroga su quale sia l’alimento per cani giusto da scegliere. Gli scaffali dei supermercati e dei negozi specializzati sono pieni di mangimi per cani, da quelli i cui nomi sono noti perché pubblicizzati,a quelli i cui nomi sono del tutto sconosciuti.

Un’ altra alternativa è la cucina casalinga, difficilmente equilibrata ed inoltre teniamo presente che l’intestino degli animali , diverso dal nostro, non è in grado di digerire alcuni alimenti, ed altri risultano addirittura velenosi.

Innanzitutto vediamo di capire le informazioni che troviamo sulle etichette dei mangimi, cominciando dalla TIPOLOGIA: completo o complementare. Un alimento completo, oltre a contenere proteine, grassi, cereali, ecc.., è integrato con vitamine e sali minerali, mentre l’alimento complementare no.

Gli alimenti secchi sono generalmente prodotti completi, mentre gli umidi sono per lo più complementari.Quindi meglio scegliere una crocchetta per cani.

Il trattamento che subiscono le materie prime per essere trasformate in crocchette (calore, macinazione, disidratazione ecc.), portano a grosse carenze vitaminiche, e consumare prodotti non integrati, può portare a delle carenze.

Per ottenere migliori risultati, le integrazioni vanno fatte dopo l’estrusione , quando la temperatura della crocchetta è più bassa e ancora morbida in modo che queste sostanze possano penetrare all’interno.

Esistono prodotti economici, categorie più costose e i super premium, tra cui prodotti biologici e olistici.

I biologici non sono fatti con l’utilizzo di prodotti chimici od organismi geneticamente modificati.

scegliere crocchette per cani miglioriI mangimi per cani olistici sono integrati con essenze fitoterapiche e con probiotici, che sono elementi decisamente salutari.

L’assunzione di essenze vegetali aggiunte ai cibi industriali, i minerali e gli antiossidanti, nel tempo aiutano a prevenire l’insorgenza di alcune malattie e migliorano lo stato di salute dell’intestino e dell’apparato cardiocircolatorio.

I mangimi per cani completi a loro volta possono essere premium o superpremium. La diversità è data dalla qualità ,dalla quantità e dalla lavorazione degli ingredienti usati.

I prodotti economici, in genere hanno come primo ingrediente i cereali, i sottoprodotti di origine animale o vegetale e integrazioni vitaminiche sintetiche, ed inoltre sono conservati con antiossidanti chimici.

I prodotti premium sono qualitativamente migliori dei primi, ma spesso contengono sottoprodotti delle carni e dei vegetali. Gli alimenti super premium sono preparati con carni ad uso umano e cereali di buona qualità, arricchiti con vitamine, sali minerali ecc., al fine di ottenere un alimento equilibrato e sano.

Alcuni mangimi riportano come primo ingrediente le farine di carne che sono prodotte con i derivati della carne, ovvero tutte le parti dell’animale che non sono muscolo (pelle, piume, ossa, interiora, ecc.). I derivati della carne sono fonti di proteine dal basso valore biologico, quindi poco digeribili e la cui digestione comporta un alta produzione di tossine.

La grande produzione di tossine affatica gli organi preposti alla filtrazione (fegato e reni) e all’espulsione (pelle ed intestino).

In soggetti sensibili, questo processo, può comportate la nascita di intolleranze alimentari.

Uno dei motivi per cui la pelle bovina e i derivati della carne sono poco digeribili è perchè in essi è contenuta un’alta percentuale di collagene.

scegliere crocchette per cani miglioriDopo poche settimane di alimentazione di qualità superiore, i benefici sono evidenziati da feci solide, contenute e poco odorose, pelo morbido e alito migliore. Nel tempo i giovamenti si noteranno sulla muscolatura che diventa più tonica, ossatura robusta e denti forti e sani.

L’alimentazione di qualità è apparentemente più costosa, ma essendo più nutriente, il dosaggio sarà inferiore, quindi a conti fatti si risparmia e la parcella del veterinario saranno meno salata!

La lista degli ingredienti dei croccantini, ovvero la COMPOSIZIONE, fornisce informazioni importanti sulla qualità dell’alimento.

L’ingrediente principale deve essere una fonte di proteine di alta qualità(pollo, o agnello ecc.); se vengono elencate diverse forme dello stesso ingrediente(es. frumento, crusca, cruschello, fiocchi ecc.), il contenuto totale dell’ingrediente stesso (il frumento) è dato dalla somma delle varie componenti.

Gli ADDITIVI sono sostanze che possono influenzare positivamente le caratteristiche dei mangimi.

Per conservare gli alimenti , vengono usate vitamina c, vitamina e, oppure olio di rosmarino, garofano o altre spezie. Alcuni mangimi, anche di marche rinomate, vengono conservati con additivi chimici, quali BHT e BHA.

Altro dato da considerare è quello delle dosi consigliate a seconda del peso, dell’età e dell’attività fisica dell’animale.

Per approfondimenti visita www.crocchettepercani.com

L’incidente del Passo Dyatlov, una storia vera. lo Yeti killer

Quello che stiamo per raccontarvi è però un episodio realmente accaduto, e ben documentato. È una storia inquietante, e nonostante le innumerevoli ipotesi che sono state avanzate, gli strani eventi che avvennero più di 50 anni fa su uno sperduto crinale di montagna nel centro della Russia rimangono a tutt’oggi senza spiegazione.

Passo DyatlovIl 25 Gennaio 1959 dieci sciatori partirono dalla cittadina di Sverdlovsk, negli Urali orientali, per un’escursione sulle cime più a nord: in particolare erano diretti alla montagna chiamata Otorten.mysteriousdeathoftheexpedition-18

Per il gruppo, capitanato dall’escursionista ventitreenne Igor Dyatlov, quella “gita” doveva essere un severo allenamento per le future spedizioni nelle regioni artiche, ancora più estreme e difficili: tutti e dieci erano alpinisti e sciatori esperti, e il fatto che in quella stagione il percorso scelto fosse particolarmente insidioso non li spaventava.

 

Passo DyatlovArrivati in treno a Ivdel, si diressero con un furgone a Vizhai, l’ultimo avamposto abitato. Da lì si misero in marcia il 27 gennaio diretti alla montagna. Il giorno dopo, però, uno dei membri si ammalò e fu costretto a tornare indietro: il suo nome era Yuri Yudin… l’unico sopravvissuto.

Gli altri nove proseguirono, e il 31 gennaio arrivarono ad un passo sul versante orientale della montagna chiamata Kholat Syakhl, che nel dialetto degli indigeni mansi significa “montagna dei morti”, una vetta simbolica per quel popolo e centro di molte leggende (cosa che in seguito contribuirà alle più fantasiose speculazioni). Il giorno successivo decisero di tentare la scalata, ma una tempesta di neve ridusse la visibilità e fece loro perdere l’orientamento: invece di proseguire verso il passo e arrivare dall’altra parte del costone, il gruppo deviò e si ritrovò a inerpicarsi proprio verso la cima della montagna. Una volta accortisi dell’errore, i nove alpinisti decisero di piantare le tende lì dov’erano, e attendere il giorno successivo che avrebbe forse portato migliori condizioni meteorologiche.

 

dyatlov-pass-incidentTutto questo lo sappiamo grazie ai diari e alle macchine fotografiche ritrovate al campo, che ci raccontano la spedizione fino questo fatidico giorno e ci mostrano le ultime foto del gruppo allegro e spensierato. Ma cosa successe quella notte è impossibile comprenderlo. Più tardi Yudin, salvatosi paradossalmente grazie alle sue condizioni di salute precarie, dirà: “se avessi la possibilità di chiedere a Dio una sola domanda, sarebbe ‘che cosa è successo davvero ai miei amici quella notte?’”.

I nove, infatti, non fecero più ritorno e dopo un periodo di attesa (questo tipo di spedizione raramente si conclude nella data prevista, per cui un periodo di tolleranza viene di norma rispettato) i familiari allertarono le autorità, e polizia ed esercito incominciarono le ricerche; il 26 febbraio, in seguito all’avvistamento aereo del campo, i soccorsi ritrovarono la tenda, gravemente danneggiata.dyatlov_search_party_helicopter-copy

 

 

Passo Dyatlov

Risultò subito chiaro che qualcosa di insolito doveva essere accaduto: la tenda era stata tagliata dall’interno, e le orme circostanti facevano supporre che i nove fossero fuggiti in fretta e furia dal loro riparo, per salvarsi da qualcosa che stava già nella tenda insieme a loro, qualcosa di talmente pericoloso che non ci fu nemmeno il tempo di sciogliere i nodi e uscire dall’ingresso.

Passo Dyatlov

Passo Dyatlov
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Seguendo le tracce, i ricercatori fanno la seconda strana scoperta: poco distante, a meno di un chilometro di distanza, vengono trovati i primi due corpi, sotto un vecchio pino al limitare di un bosco. I rimasugli di un fuoco indicano che hanno tentato di riscaldarsi, ma non è questo il fatto sconcertante: i due cadaveri sono scalzi, e indossano soltanto la biancheria intima. Cosa li ha spinti ad allontanarsi seminudi nella tormenta, a una temperatura di -30°C?

Non è tutto: i rami del pino sono spezzati fino a un’altezza di quattro metri e mezzo, e brandelli di carne vengono trovati nella corteccia. Da cosa cercavano di scappare i due uomini, arrampicandosi sull’albero? Se scappavano da un animale aggressivo perché i loro corpi sono stati lasciati intatti dalla fiera?

 

Passo DyatlovA diverse distanze, fra il campo e il pino, vengono trovati altri tre corpi: le loro posizioni indicano che stavano tentando di ritornare al campo. Uno in particolare tiene ancora in mano un ramo, e con l’altro braccio sembra proteggersi il capo.

Passo Dyatlov

Passo Dyatlov

 

 

 

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All’inizio i medici che esaminarono i cinque corpi conclusero che la causa della morte fosse il freddo: non c’erano segni di violenza, e il fatto che non fossero vestiti significava che l’ipotermia era sopravvenuta in tempi piuttosto brevi. Uno dei corpi mostrava una fessura nel cranio, che non venne però ritenuta fatale.

Ma due mesi dopo, a maggio, vennero scoperti gli ultimi quattro corpi sepolti nel ghiaccio all’interno del bosco, e di colpo il quadro di insieme cambiò del tutto. Questi nuovi cadaveri, a differenza dei primi cinque, erano completamente vestiti. Uno di essi aveva il cranio sfondato, e altri due mostravano fratture importanti al torace. Secondo il medico che effettuò le autopsie, la forza necessaria per ridurre così i corpi doveva essere eccezionale: aveva visto fratture simili soltanto negli incidenti stradali. Escluse che le ferite potessero essere state causate da un essere umano.

Passo Dyatlov

 

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La cosa bizzarra era che i corpi non presentavano ferite esteriori, né ematomi o segni di alcun genere; impossibile comprendere che cosa avesse sfondato le costole verso l’interno. Una delle ragazze morte aveva la testa rovesciata all’indietro: esaminandola, i medici si accorsero che la sua lingua era stata strappata alla radice (anche se non riuscirono a comprendere se la ferita fosse stata causata post-mortem oppure mentre la povera donna era ancora in vita). Notarono anche che alcuni degli alpinisti avevano addosso vestiti scambiati o rubati ai loro compagni: come se per coprirsi dal freddo avessero spogliato i morti. Alcuni degli indumenti e degli oggetti trovati addosso ai corpi pare emettessero radiazioni sopra la media.

L’unica descrizione possibile degli eventi è la seguente: a notte fonda, qualcosa terrorizza i nove alpinisti che fuggono tagliando la tenda; alcuni di loro si riparano vicino all’albero, cercando di arrampicarvici (per scappare? per controllare il campo che hanno appena abbandonato?). Il fatto che alcuni di loro fossero seminudi nonostante le temperature bassissime potrebbe essere ricollegato al fenomeno dell’undressing paradossale; comunque sia, essendo parzialmente svestiti, comprendono che stanno per morire assiderati. Così alcuni cercano di ritornare al campo, ma muoiono nel tentativo. Il secondo gruppetto, sceso più a valle, riesce a resistere un po’ di più; ma ad un certo punto succede qualcos’altro che causa le gravi ferite che risulteranno fatali.

Cosa hanno incontrato gli alpinisti? Cosa li ha terrorizzati così tanto?

Le ipotesi sono innumerevoli: in un primo tempo si sospettò che una tribù mansi li avesse attaccati per aver invaso il loro territorio – ma nessun’orma fu rinvenuta a parte quelle delle vittime. Inoltre nessuna lacerazione esterna sui corpi faceva propendere per un attacco armato, e come già detto l’entità delle ferite escluderebbe un intervento umano. Altri hanno ipotizzato che una paranoia da valanga avesse colpito il gruppo il quale, intimorito da qualche rumore simile a quello di una imminente slavina, si sarebbe precipitato a cercare riparo; ma questo non spiega le strane ferite. Ovviamente c’è chi giura di aver avvistato quella notte strane luci sorvolare la montagna… e qui la fantasia comincia a correre libera e vengono chiamati in causa gli alieni,  oppure delle fantomatiche operazioni militari russe segretissime su armi sperimentali (missilistiche o ad infrasuoni), e addirittura un “abominevole uomo delle nevi” tipico degli Urali chiamato almas. Eppure l’enigma, nonostante le decadi intercorse, resiste ad ogni tentativo di spiegazione. Come un estremo, beffardo indizio, ecco l’ultima fotografia scattata dalla macchina fotografica del gruppo.

 

dyatlov_pass_incident_03Il luogo dei drammatici eventi è ora chiamato passo Dyatlov, in onore al leader del gruppo di sfortunati sciatori che lì persero tragicamente la vita.

 

dyatlov-pass-accident-memorialEcco la pagina di Wikipedia dedicata all’incidente del passo Dyatlov.

fonte: bizzarrobazar.com/

(Grazie, Frankie Grass!)

 Il Video sull’incidente del passo di Dyatlov

The Cannibal in the Jungle

Cannibal in the jungle, evento televisivo sulla storia Vera dello studioso Timothy Darrow, unico sopravvissuto di una spedizione scientifica in Indonesia del 1977, accusato di cannibalismo, condannato a più di trent’anni e morto in galera 9 mesi prima di raccogliere le prove che lo scagionano da ogni accusa. In questo video, in inglese, si vedono filmati originali girati dal dott Darrow che ritraggono gli ominidi (probabilmente Homo floresiensis) simili ai nostri antenati austrolopitechi che si nutrono di carne cruda, anche umana…

Homo floresiensis (dall’isola indonesiana di Flores sulla quale sono venuti alla luce i suoi resti) è il nome proposto da alcuni antropologi per dei fossili di ominidi vissuti fino a 13.000 anni fa, scoperti da un gruppo di ricercatori australiani e indonesiani nel settembre del 2003.

Alcuni antropologi hanno formulato l’ipotesi che sparuti gruppi di floresiensis possano ancora vivere in regioni forestali isolate dell’isola.

Probabilmente ha convissuto con l’Homo sapiens. I tratti di questo ominide sono a metà tra quelli dei primi ominidi e il moderno Homo sapiens. Era alto poco più di un metro, e con una capacità cranica di soli 380 cm³, molto inferiore non solo rispetto ai suoi contemporanei, ma anche a tutti gli ominidi conosciuti che hanno preceduto l’Homo sapiens, compresi gli scimpanzé e i gorilla. Con riferimento alla scarsa altezza, gli scopritori dei fossili ribattezzarono informalmente hobbit i membri di questa specie estinta. I ricercatori di Flores e dell’Indonesia invece usarono il nomignolo di Ebu, con cui è conosciuto anche l’unico esemplare completo, con riferimento all’Ebu Gogo (trad. lett. “mangio qualunque cosa”), una creatura appartenente al folklore locale che è descritta come un uomo-scimmia di bassa statura che rubava cibo e bambini agli abitanti di Flores fino al principio del Settecento, quando sarebbe stata sterminata. La somiglianza dei reperti con questa creatura mitologica, così come la diffusione nell’arcipelago indonesiano di moltissime leggende di uomini scimmia (fra i più noti e con le maggiori connessioni regionali, l’Orango Pendek e l’Ebu Gogo) ha interessato moltissimo la comunità mondiale dei criptozoologi, e anche di molti zoologi (J. Mac Kimmon, Kaplan,D. Martyr, D. Chivers).[senza fonte]

Cibi pericolosi per cani

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Di seguito troverete diversi alimenti ASSOLUTAMENTE DA EVITARE per il vostro cane.

Cioccolato e Cacao
Il cacao contiene una sostanza chimica, la teobromina, che può risultare tossica per il cane perché in questa specie animale viene metabolizzata molto lentamente.La teobromina è un composto chimico tossico per il cane e può arrecare danni al cuore, ai polmoni, ai reni e al sistema nervoso centrale. Ne bastano 50 grammi per intossicare un cane di taglia piccola. Se un animale mangia del cioccolato in quantità consistente, la teobromina può permanere nel suo sangue fino a 20 ore, provocandogli disturbi che possono andare dalle convulsioni all’attacco cardiaco e all’emoraggia interna fino – nei casi peggiori alla morte Il primo trattamento, da eseguirsi entro due ore dall’ingestione, consiste nel provocare il vomito È quindi necessario interpellare un veterinario.

Caramelle e gomme
I dolcificanti come lo xilitolo fanno male al cane. Questo tipo di dolcificante chiamato anche “zucchero del legno” è estratto dalle fragole, betulle, lamponi, prugne e grano. Il potere dolcificante è molto simile a quello del saccarosio, ma contiene il 40% in meno di calorie. In Europa viene utilizzato come additivo alimentare per esempio nelle gomme da masticare. Questa sostanza innocua per l´uomo è tossica per il cane in quanto, se ingerito in grosse quantità, può causare un abbassamento dei livelli di glucosio nel sangue inducendo una depressione del sistema nervoso centrale, perdita di coordinazione e spasmi dopo 30 minuti dalla sua ingestione.
Mentre le caramelle spesso contengono lattosio, difficile da digerire per il cane.

Macadamia
Spesso si usano come snack quelli degli esseri umani e il loro gusto è sicuramente gradito ai cani. Ma fanno loro del male.
I sintomi da intossicazione sono: debolezza, soprattutto a carico degli arti posteriori, depressione, vomito, tremori, febbre, dolori addominali, e pallore delle mucose, problemi neurologici (come paralisi temporanea e incapacità a stare in piedi). Possono essere tossiche anche a basse dosi (4-5 noci per un cane di 10 kg)

Zucchero
L´apporto di zuccheri è importante sia come fonte d´energia rapidamente disponibile, sia come regolatore dell´attività della flora batterica. Il cane però non assimila tutti gli zuccheri con facilità. Nessun problema per glucosio e saccarosio (lo zucchero comune), mentre ha difficoltà a digerire il lattosio (spesso presente in merendine e biscotti).
L´eccessivo apporto di zuccheri può provocare l´insorgenza di alcune patologie come per esempio il diabete mellito.

Sale
L’eccesso di sale non è buona cosa per gli animali, proprio come per l’uomo. A maggior ragione se il cane soffre di una patologia cardiocircolatoria. In questo caso, il minor consumo di sale contribuisce a diminuire il volume di sangue e quindi il lavoro che il cuore deve compiere. Cibi molto salati possono rappresentare un pericolo per l´animale se non ha acqua a disposizione. L´eccessiva quantità di sale può scatenare attacchi epilettici che portano al coma e alla morte.

Cipolle e cavoli
Le cipolle possono essere ingerite dal cane per il loro aroma, ma il loro effetto sul metabolismo è negativo.Le cipolle infatti contengono un composto, un disolfuro di n-propile, così come i cavoli, che agisce a livello di globuli rossi circolanti distruggendoli. . Negli eritrociti si vengono così a formare i Corpi di Heinz, con conseguente debolezza e rottura della membrana cellulare Il corredo sintomatologico compare dopo 1-4 giorni dall’ingestione delle cipolle; vomito, diarrea e urine di colore scuro sono i principali segni clinici. Attenzione che si sono verificati casi di anemia grave dovuti ad una dieta comprendente dosi minime di cipolla (ad es. pasta condita coi sughi al pomodoro pronti) protratta però per anni.

Aglio
Stessi effetti negativi sul metabolismo come riportato per la cipolla, ma a differenza deve essere ingerito in grande quantità.

Pomodori acerbi, foglie e germogli di patata:
Il livello di tossicità di queste piante dipende soprattutto dalla composizione del terreno, dalla temperatura e dal grado di umidità in cui sono cresciuti. Pomodori e patate contengono inoltre una tossina chiamata solanina che i cani, a differenza degli esseri umani, non metabolizzano. Queste sostanze possono quindi creare problemi a carico dell´apparato digerente, tachicardia, tremori affanno e irrequietezza.
Quanto detto per foglie e germogli non vale invece per la patata che viene utilizzata normalmente nell´alimentazione del cane, soprattutto come componente di alcuni mangimi industriali specifici per soggetti con intolleranze ed allergie alimentari.

Rabarbaro Foglie
Grandi quantità di foglie di rabarbaro cotta o cruda può causare convulsioni, coma e in casi estremi, morte.

Noce moscata
Alti livelli di noce moscata può provocare convulsioni, tremori, problemi al sistema nervoso centrale, e persino la morte.

Semi di senape

Lievito
Può espandersi e produrre gas nell’apparato digerente, causando il dolore e la possibile rottura dello stomaco o dell’intestino. lievitazione può anche rilasciare etanolo, sufficiente a causare avvelenamento da alcool.

Luppolo
Può scatenare difficoltà respiratorie, aumento della frequenza cardiaca, temperatura elevata, convulsioni e morte.

Uva e uva sultanina
A parte il grande contenuto di zuccheri, è stato recentemente confermato che l’uva e l’uvette sono pericolosi per i nostri cani, purtroppo ancora non si riesce a capire qual’è l’elemento che scateni il processo che va a danneggiare in modo irreversibile i reni causando insufficienza renale e nella maggior parte dei casi la morte del cane.
Possono dare gli stessi problemi di cipolla e aglio nonché dolori addominali e perdita dell’appetito.

Avocado
Le foglie, il frutto e i semi di questa pianta contengono un principio tossico chiamato persin. Non si conosce ancora la potenzialità tossica dei prodotti che contengono avocado e per questo motivo si sconsiglia qualsiasi alimento a base di questo frutto.
Attenzione: sembra che la varietà Guatemalteca di avocado – quella presente maggiormente nei supermercati – sia la più tossica per i cani

Noci
Possono causare ostruzioni intestinali e quelle ammuffite possono causare convulsioni.

Semi e noccioli
Sono tossici i semi della mela, i noccioli di ciliegia,pesca, albicocca e prugna: contengono cianuro e possono portare al coma.

Cibi grassi
I grassi sono indispensabili per l´organismo. Tuttavia, nella dieta del cane non devono superare il 10%; gli eccessi portano solo all’obesità (sono infatti le sostanze che sviluppano il maggior numero di calorie: 9 per 1 grammo), e predispongono l´animale a una serie di malattie (es. pancreatite) e a una vecchiaia precoce.
Sono contenuti in una certa percentuale in tutti gli alimenti. La digestione dei grassi è per il cane la più difficile e laboriosa ed è ancora più complessa se i grassi sono cotti.
La funzione dei grassi è quasi esclusivamente energetica. Servono inoltre per l´utilizzazione di certe vitamine (A,D,E) che sono solubili solo nei grassi. Nelle giuste quantità contribuiscono anche a mantenere morbidi pelle e cuscinetti interdigitali, e migliorano lo stato del pelo.
I cani che vivono all´aperto in zone fredde hanno bisogno di una maggiore quantità di grassi che sia sufficiente per mantenere il calore corporeo.

Insaccati
Anche gli insaccati (mortadella, prosciutto crudo, salsicce, prodotti salati ed essiccati) non devono comparire sulla ciotola dei nostri cani. Contengono molto sale e grassi, che sono dannosi per il cane. Inoltre possono essere fonte di infestazione di toxoplasmosi. Si tratta di una zoonosi, ossia di una malattia che colpisce sia l’uomo sia l’animale provocata da un parassita che può localizzarsi nella carne cruda di agnello e di maiale e negli insaccati. Solo con la cottura, il microrganismo viene eliminato.
La pelle stessa dei salumi, inoltre, può essere pericolosa visto che, nella maggior parte dei casi, il vecchio budello è stato ormai sostituito con un involucro di plastica.

Fegato
Grandi quantità di possono causare tossicità della vitamina A, che colpisce i muscoli e le ossa, e deposito di rame nel fegato, che è una malattia fatale.

Omogeneizzati per bambini
La somministrazione di prodotti per l’infanzia a cani non favorisce la risoluzione dei loro problemi di salute, ma li può aggravare, perché spesso negli omogeneizzati è presente la polvere di cipolla come aromatizzante, la cui minima quota può già essere responsabile dei danni a livello eritrocitario.

Cibi avariati o scaduti
Il proprietario ha spesso l´abitudine di somministrare al cane cibi che scarta perché avariati o scaduti. E però necessario fare molta attenzione perché in certi casi questi alimenti possono provocare disturbi all´apparato gastro-intestinale (vomito e diarrea).
La convinzione che il cane debba nutrirsi con gli “scarti” della cucina casalinga è un concetto completamente superato grazie ai numerosi studi condotti sulle esigenze nutrizionali degli animali.

Alcol
L´alcol contenuto in bevande come il vino può intossicare i cani (e i gatti) determinando vomito, diarrea, perdita della capacità motoria, scompensi del sistema nervoso centrale, tremori, difficoltà respiratorie, squilibri metabolici e coma. La causa è che il cane non possiede gli enzimi adatti per metabolizzare questa sostanza. Attenzione: grandi quantità di alcol possono determinare la morte dell´animale per collasso respiratorio.

Caffè
La caffeina può portare gravi problemi nel cane; infatti oltre ai disturbi a livello gastrointestinale, può determinare alterazioni del ritmo cardiaco e, nei casi più gravi, ictus.

Tabacco
Contiene nicotina, che colpisce il sistema digerente e nervoso, e può portare a tachicardia, collasso, coma e morte.

Questa lista non può essere esaustiva, perciò se se il tuo cane sembra non stare bene e sospetti che abbia mangiato qualcosa di particolare avverti immediatamente il veterinario.

Cani Pertiatzu e Cani de lèpuri – Dogo sardo e Levriero sardo

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Per la guerra libica

Sardimastini di gran possa, voci
Nell’ombra formidabili, mastini
Di quel buon sangueantico , che gli atroci
Padri aizzaron contro i legionari:
Alani d’Orzulè, barbaricini
Doghi cogitabondi sanguinari:

Cani di Fonni , vigili sui monti
Deserti> al passo dei rapinatori :
Pugnacerazza implacabile, pronti
Sempre all’assalto…

Sebastiano Satta 1912

Storia

Porto di Cagliari, cani in partenza per la guerra in Libia, 1911
Porto di Cagliari, cani in partenza per la guerra in Libia, 1911

La Sardegna è una terra di misteri e particolarità, il fatto di essere un’isola ha da sempre condizionato la nostra fauna, la nostra flora, il nostro popolo e tutti gli animali domestici che nel corso dei millenni abbiamo selezionato e adattato ai nostri bisogni e alle caratteristiche della nostra terra.
Dalla notte dei tempi abbiamo un cane che ci ha aiutato nelle funzioni più diverse, da guardiano dell’ovile e della proprietà, al recupero dei bovini allevati allo stato brado, alla caccia grossa al cinghiale e agli ungulati e uno estremamente specializzato nella caccia a vista, su cani de lèpuri o cane curridore, il levriero sardo.
Le origini sono misteriose ma è praticamente certo che il molosso sardo, su cani pertiatzu, chiamato anche dogo sardo e su cani de lèpuri, hanno origini molto remote.
Nel corso dei secoli li ritroviamo citati più volte; nel medio evo il dogo sardo veniva chiamato giàgaru, nome che tuttora esiste come derivato nel verbo sardo agiagarai, ovvero aizzare i cani. Ritroviamo il nome giàgaru in sa Carta de Logu, dove il suo furto veniva punito con una multa. In parecchi arazzi e stemmi di famiglia troviamo il levriero sardo.
Il dogo sardo è stato utilizzato contro il tentativo di invasione da parte dei francesi nel 1793, in quella che ancora oggi viene chiamata saBatalla de is Argiolas (ovvero la battaglia delle aie, località di Quartu), dove i molossi vennero aizzati nella notte contro i soldati francesi accampati fra le dune del Poetto, che, presi alla sprovvista, vennero letteralmente dilaniati dai cani sardi, che li fecero fuggire in mare disordinatamente. Nella stessa battaglia furono utilizzati levrieri sardi e i famosi “alani ogliastrini”, ovvero l’incrocio fra doghi sardi e levrieri.
Il dogo sardo lo ritroviamo nella guerra di Libia del 1912, arruolato in gran numero come ausiliario in battaglia; una celeberrima e chiarissima fotografia dell’epoca, dimostra, come gli esemplari fotografati in partenza dal porto di Cagliari alla volta della Libia, abbiano il pelo corto, fulvo o tigrato e caratteristiche molossoidi.
Il declino del molosso inizia con la Seconda Guerra Mondiale, con la depredazione degli esemplari più belli da parte dei soldati tedeschi in fuga. Dal dopoguerra il cambiamento graduale degli stili di vita e l’arrivo delle nuove razze considerate (erroneamente) “migliori” e le nuove malattie per le quali i nostri cani non avevano le adeguate difese, il cani pertiatzu venne messo da parte, relegandolo alla memoria degli anziani, che ancora si ricordano il valore di questa razza. Per il levriero sardo il declino comincia con la proibizione della caccia con i levrieri, riducendo il suo numero a pochi esemplari.

Riscoperta delle razze

In tutta Europa negli ultimi decenni c’è stata la riscoperta delle originalità locali, dalle lingue poco diffuse (lesser used languages), alle tradizioni, alle razze domestiche autoctone, alla storia.
Nemmeno la Sardegna è rimasta indenne e grazie all’impegno di studiosi di cinofilia e storia, mossi da una grande passione e molto coraggio, alla pubblicità data da importanti articoli scritti in riviste locali e alla pubblicazione del libro primo libro interamente dedicato alle razze canine sarde, “Canis Gherradoris” del dott. Roberto Balia, finalmente sia il dogo sardo che il levriero sardo stanno uscendo dall’oblio, dopo che qualcuno aveva frettolosamente dichiarato la loro estinzione.
I nostri cani invece erano li, non si erano estinti, magari trascurati e ridotti a pochi esemplari, ma ancora vivi; il paese dove senza ombra di dubbio c’è il maggior numero di molossi sardi di grande qualità è Gavoi, dove su cani pertiatzu viene chiamato su trìghinu, e viene allevato con molta cura; nuclei sparsi si possono trovare anche in Ogliastra, Barbagia, Nurra. I levrieri si possono ancora facilmente vedere nelle campagne di Ploaghe e Ozieri, ma qualche gruppetto anche nel nuorese.

Scheda cani pertiatzu – dogo sardo

Origine: Sardìngia/Sardegna (Italia)
Classificazione FCI: Razza non riconosciuta

dogo sardo

Aspetto generale

Tipico molossoide leggero, testa quadrata e muso corto che a volte può essere anche a forma di tronco di cono, con presenza di masseteri ben sviluppati. Essendo una razza da lavoro la sua selezione è stata basata sull’utilità del cane, per questo oggi esiste una grande varietà fenotipica, però riconducibile sempre al molosso leggero.

Caratteristiche morfologiche

La taglia può variare molto da esemplare a esemplare e da linea a linea, ma mediamente è alto al garrese (che ricordiamo essere più basso della groppa) dai 55 cm ai 65 cm per 30-45 kg, ha il pelo corto (ma non raso o peggio ancora lucido come il boxer, mentre i cani con pelo arruffato o cinghialesco tradiscono incroci con il cane fonnese) fulvo in varie tonalità, frumentino (colore raro considerato molto tipico e antico), tigrato in varie tonalità, raro il nero e il grigio. I muscoli masseteri devono essere prominenti e la dentuatura a forbice o tenaglia. Brachicefalo, ha l’apofisi occipitale molto pronunciata.

Attitudini e carattere

Ottimo cane da guardia veniva e viene utilizzato nelle battute di caccia grossa come cane da presa. Eccellente come cane per recuperare i bovini semi-selvatici sardi, allevati allo stato brado in montagna.

Standard

Non esiste uno standard.

Progetto di recupero

Agli inizi del 2000 lo studioso esperto cinofilo Roberto Balia ha iniziato a scrivere i risultati di anni e anni di studi nelle nostre campagne alla ricerca del dogo sardo (ma non solo, anche il cane fonnese, il levriero sardo e il volpino sardo). Numerosi articoli di qualità sui maggiori quotidiani sardi hanno fatto rinascere l’interesse su questa razza e tanti esemplari sono stati messi a disposizione per iniziare una selezione seria ed accurata e per scongiurare il pericolo di meticciamento sempre in agguato, vista la presenza di boxer e pit bull. Il punto di svolta nel processo di recupero è stata la pubblicazione nel 2005 del libro “Canis Gherradoris”, sempre di Roberto Balia.
Ad oggi si può dire che la razza, benchè rara, non sia più in rischio di estinzione.

Scheda cani de lèpuri – levriero sardo

Origine: Sardìngia/Sardegna (Italia)
Classificazione FCI: Razza non riconosciuta

levriero sardo

Aspetto generale

È un levriero rustico di media grandezza perfetto per la caccia, la dura selezione ha forgiato un cane eccezionale fisicamente e nella resistenza. Ha un fisico asciutto e muscoloso.

Caratteristiche morfologiche

L’altezza media al garrese va dai 60 cm ai 70 cm per 17-25 kg. Ha una testa piccola con muso lungo quasi il doppio della lunghezza del cranio, ha occhi grandi e naso prominente. Le orecchie possono essere a rosetta o completamente erette. La dentatura è solitamente impressionante con canini molto sviluppati (caratteristica comune anche alle altre razze sarde). Il pelo è raso o corto, morbido al tatto, e può essere color sabbia (molto comune e apprezzato), nero, pezzato, bianco, tigrato in varie tonalità e grigio.

Attitudini e carattere

Perfetto cane da caccia, ha un istinto predatorio sviluppatissimo. Benchè il carattere sia dolcissimo rimane riservato e molto indipendente per certi versi rimane selvatico.

Standard

Non esiste uno standard.

Situazione attuale

Il numero degli esemplari è davvero esiguo, si sta iniziando un disperato tentativo di recupero.

Pietro Perra

Pietro Perra è un appassionato cinofilo, impegnato già dalla metà degli anni novanta nella ricerca e studio delle razze canine sarde autoctone da una decina di anni possiede e alleva doghi sardi e levrieri sardi.

Dogo Sardo o Dogo Sardesco

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Un animale quasi estinto, probabile discendente dei cani portati in Sardegna con la migrazione caucasica, pastore, cacciatore formidabile, spietato guerriero nelle colonie.

dogosardoreducida2-viDa qualche anno va di moda riscoprire razze dimenticate. Anch’io sono sono stato colpito da questa sindrome dopo che, per caso, mi fu donato un cucciolo che in effetti somigliava più ad un bastardino che ad un nobile Cane di Fonni: ho quindi contribuito, assieme ad altre persone (Marco Zedda, Giorgio Zara e Raffaele Maioccu), a costituire un’associazione, con sede in Fonni, che ha come scopo principale la valorizzazione ed il riconoscimento dell’omonima popolazione canina.
Nell’articolo Considerazioni sul cane di Fonni, pubblicato nella rivista “Notiziario Forestale”, n. 19 del mese di Aprile 2002, ho scritto di questo animale e di quello che oggi ritengo sia un suo progenitore, il Dogo Sardo o Dogo Sardesco, un animale sicuramente più raro del primo che sopravvive in Sardegna (perché quasi estinto) in relativa purezza, con pochissimi esemplari grazie alla passione ed alla tenacia di alcuni allevatori.
Identifico il Dogo Sardesco con su Cani Pertiatzu, il cane tigrato per antonomasia – dal petto ampio e dai posteriori stretti – comune in tutta la Sardegna sino alla seconda metà del secolo scorso. Oggi ancora di taglia medio-grande, questo bellissimo cane tigrato veniva un tempo considerato il miglior cacciatore ed il guardiano perfetto, intelligente, intrepido ed affidabile, di buon temperamento anche se reattivo.
dogo sardoLo stesso aggettivo sardo pertiatzu è derivato da questo cane e dalla sua indole, apprezzata unanimamente: il termine è riferibile al mantello tigrato del cane caratterizzato dalle pértias, strisce formate da peli di colore chiaro o scuro che attraversano tutto il corpo dell’animale, con esclusione a volte della testa caratterizzata dalla così detta maschera facciale nera. Un mantello simile a quello dei piccoli bovini, anch’essi oggi rarissimi, sui quali vigilava questo mitico ed antico cane. Il termine pertiatzu viene tuttora usato in Sardegna per indicare una persona autorevole o un balente, uno tosto, oppure chi è testardo o è considerato un poco di buono, a seconda dei frangenti: colui nei confronti del quale bisogna tenere un comportamento adeguato. Non sempre chi utilizza questo aggettivo, riferendosi alle persone, ne conosce il reale significato.
Il cane sardo tigrato era in origine un animale di taglia grande, robusto, rustico e frugale. Le sue doti e la sua preziosità facevano sì che fosse presente in tutti i medaus (stazzi) della Sardegna, impiegato soprattutto come cane da guardia e come conduttore del bestiame bovino (per questo era anche chiamato su cani de is bracaxius antigus, il cane degli antichi mandriani). Le tracce lasciate da questo animale sono ancora presenti in quasi tutta la Sardegna.
canispertiatzus3Nel Sulcis sopravvivono rari esemplari, molto imbastarditi, del peso di circa venti-venticinque chilogrammi, così come in alcune aree della Barbagia lo stesso animale, più robusto e dalle caratteristiche di un cane da presa di tipo levrieroide (graioide) o anche lupo-mastinoide, viene chiamato Trighinu o Tigrinu (Gavoi) oppure Sorgolinu (Orgosolo e Mamoiada).
Nelle Baronie, in Supramonte ed in Ogliastra vivono i migliori esemplari tipici molossi quadrati nel corpo, dal pelo corto o cortissimo (quasi raso) provvisto di abbondante sottopelo e dai masseteri (muscoli della bocca che danno forza alla presa) incredibilmente sviluppati.
Un esemplare monitorato a Dorgali somiglia in modo impressionante ad un Pitbull gigante, del peso di oltre quaranta chili, mentre altri animali (Lula, Orosei) hanno il fenotipo del cane corso rustico, del quale risultano leggermente più leggeri e agili. Anche nel Goceano alcuni animali sono stati descritti come degli enormi Pitbull tigrati. Questa regione della Sardegna è oggi sicuramente una delle aree più interessanti: lì portano tutte le strade della ricerca ed in origine doveva esservi veramente numeroso.
L’animale viene spesso impropriamente chiamato Cane di Fonni. Sono conosciute nascite di Dogo Sardesco da questa popolazione canina, soprattutto da esemplari della linea Cussuggia: un gene recessivo che testimonia l’influsso di questa antichissima razza sull’animale che da poco più di un secolo a questa parte viene accomunato al paese di Fonni.
La descrizione del Cane di Fonni fatta nel 1899 da Giovanni Valtàn nella pubblicazione “In Sardegna” conferma questa ipotesi: “grossi alani robustissimi e d’una ferocia inaudita la loro forza è tale che permette loro di arrestare un bue od un cavallo afferrando coi denti la capezza o addentandoli per l’orecchio ( ) sono ottimi cani da guardia ma troppo pericolosi ( ) devono stare sempre legati ( che se per disgrazia la catena si spezza, saltano alla gola del malcapitato ( ) la loro mole è considerevole, hanno il corpo tozzo, il muso largo, dalle robuste mascelle, le orecchie piccole ed erette, le zampe muscolose, il petto ed il collo larghi e leonini, la coda corta ( ) il manto fulvo dal pelo fitto e corto e lo sguardo fiero e molto intelligente”.
canispertiatzusUna descrizione che onestamente rispecchia poco lo standard attuale del Fonnese (considerato dai più uno strano spinone) e che fa pensare ad interventi di selezione o di imbastardimento successivi all’anno 1899, data della descrizione fattane dal Valtàn. Uipotesi attuale, che affascina non solo il sottoscritto, è quella che ritiene effettivamente molto probabile la discendenza del cane di Fonni dal Dogo Sardo, quest’ultimo identificato nel passato anche nel Cane di Bonorva, oggi dato per estinto, descritto dal Cav. Salvatore Saba (Itinerario-Guida Storico-Statistico dell’Isola di Sardegna) come un mastino abilissimo che aiutava il proprio padrone nella cattura dei bovini allevati allo stato brado inseguendo, affrontando ed arrestando tori indomiti addentandoli alle narici.
Ipotesi avvalorata anche dal fatto che Emanuele Domenech, nella pubblicazione Pastori e Banditi, considera il Fonnese una variante feroce del cane di Bonorva: “( … ) si alleva la miglior razza, o per meglio dire, la più feroce, di cani sardi di cui ho già parlato in un capitolo precedente ( … ) la loro educazione consiste del resto nell’affamarli e di tanto in tanto avventarli contro un fantoccio cui attaccano al collo una vescica piena di sangue qualche volta i montanari di Fonni si liberano, con questi cani, d’un nemico che non vogliono uccidere né col ferro né col fuoco”.
Una parentesi per dire che relativamente al Cane di Fonni oramai si sa abbastanza: gli attuali Fonnesi deriverebbero da due linee di sangue originarie, Cussuggia e Addai, i primi sicuramente con standard molossoide, i secondi lupo-mastinoide ed anche lupo-graioide; è conosciuto infatti un modello più leggero di Fonnese che in passato veniva utilizzato esclusivamente nella caccia.
La loro stessa origine appare sempre più chiara: incroci ripetuti tra molosso e levriero, sino all’attuale eccesso di consanguineità (nel paese di Fonni vengono segnalati sia la scomparsa del mantello tigrato che una preoccupante sterilità degli animali).
E’ discussa invece l’ipotesi mitica della sua derivazione dal molosso romano utilizzato nell’anno 231 a.C. dal console M. Pomponio Mathone per stanare i sardi ribelli, anche perché entrambe le razze erano già presenti in Sardegna prima dell’arrivo romano: un esempio ne sono le terrecotte figurate rinvenute a Santa Gilla negli anni 1891 e 1892 (Moscati) ed i numerosi reperti bronzei del Museo Nazionale di Cagliari (gli animali raffigurati su una navicella sono i cani da combattimento che gli audaci Shardana impiegavano nelle loro imprese guerriere?).
Risulta inoltre che i romani abbiano utilizzato nella frenetica ricerca del ribelle sardo-mastrucato-bardanico nascosto nei rifugi interrati (probabilmente non troppo distanti dagli accampamenti romani), cani segugi e non molossi: la definizione sagaces canes, tramandataci dalla storia, significa appunto questo. Ma ciò che ancor di più risulta interessante è ipotizzare che il Dogo Sardesco sia il diretto discendente del molosso portato al seguito della migrazione di popolazioni caucasiche in Sardegna. Questa migrazione, avvenuta circa novemila anni orsono, è oggi sempre più alla ribalta grazie a recenti pubblicazioni (esempio: Storia e geografia dei geni umani di L. L. Cavalli-Sforza, P. Menozzi e A. Piazza, Edizioni Adelphi, 1997 e Le Colonne d’Ercole di Sergio Frau, Edizioni NUR Neon, 2002). A questo punto necessita fare un’altra parentesi storica per ipotizzare che il molosso antico possa aver dato origine ad una delle varie razze di cane nuragico (potremmo definirlo molosso nuragico), osservabili tra i bronzi del Museo Nazionale di Cagliari, allora tanto prezioso (un animale anche da guerra?) da essere riprodotto in statuetta. C’è infatti da dire che nuove scoperte riportano all’attenzione la Sardegna e la sua storia. Come il recente rinvenimento nuragico di Cadice (Andalusia, Spagna, oltre lo stretto di Gibilterra), la mitica Gadir di Herakles (Ercole), una brocca askoide rituale, che potrebbe rimettere in discussione lo stereotipo di ritenere l’antica civiltà sarda chiusa dal mare. Probabilmente abbiamo a che fare con un popolo di esperti navigatori e le barche bronzee nuragiche, sulle quali sono raffigurati anche dei grossi cani dotati di largo collare (cani da combattimento muniti di gutturada, a protezione delle giugulari) hanno questo significato. Le ricerche sul Dna degli animali monitorati in occasione delle rassegne Enci tenute nel paese di Fonni negli anni 2000, 2001 e 2002 e di quelli (Dogo Sardo) sparsi nel territorio regionale potranno non solo rinforzare l’ipotesi della discendenza delle popolazioni canine sarde dall’antico molosso (termine derivato da Molosia o da Molossi, rispettivamente regione caucasica ed etnia della stessa area, dove era allevato un particolare e grosso cane addestrato al combattimento) ma anche contribuire a far luce sul percorso preistorico dell’antica Sardegna. 1 dati estrapolati dalle mappe geniche potranno essere raffrontati a quelli ottenuti dallo studio di razze simili presenti nei Paesi Baschi (Encartacionak) ed in aree caucasiche (Kurdistan?). In Spagna, uno studio effettuato dall’Università di Cordoba ha dimostrato, grazie ad una ricerca sul Dna del Villano de Las Possier Encartaciones, un cane tigrato originario dei paesi baschi molto simile al Dogo Sardesco per aspetto, carattere e funzione (conduzione e controllo di piccoli bovini), che questa popolazione canina è molto antica ed è incontaminata da altre razze. A questo punto non possiamo non ricordare che nella poesia Cani da battaglia, scritta da Sebastiano Satta nell’anno 1912 in occasione dell’utilizzo di cani sardi in Libia, nel corso del conflitto ItaloTurco, il poeta barbaricino rende onore a varie razze canine proprie dell’lsola, mastini, alani, doghi, cani sardeschi: il Mastino d’Arzana, l’Alano d’Orzulè, il Dogo ed il Cane di Fonni. Lo stesso poeta, nel canto Murrazzànu, racconta di un cane molosso famoso tra i cacciatori perché protagonista di un episodio di caccia realmente accaduto: “l’uomo dev’essere contro all’uom nemico/simile a Murrazzànu. / Murrazzànu, il molosso, all’albeggiare / levò il cignale e fiero l’inseguì / Sotto le quercie, all’ombra, a meriggiare / stavan pastori e branchi a mezzodì, / quando il molosso ansante ritornò, / e l’ansima dal petto gli cacciò / il sanguinante cuore della belva”. Sull’esperimento dell’impiego di cani in Libia, l’Enciclopedia Militare, Edizioni Il popolo d’Italia dell’anno 1927 pag. 625 volume 11, alla voce Cani da guerra, testimonia: si provvide in via di ripiego assegnando alle truppe del corpo d’operazione un certo numero di cani tolti alla R. Guardia di Finanza o raccolti affrettatamente tra quelli da guardia e da caccia della razza sarda ( )”. Bisogna dire che anche Gabriele D’Annunzio, nella tragedia Più che l’amore del 1906, parla degli allora già famosi cani sardi: infatti egli affianca al protagonista Corrado Brando un fedele servo, tale Rudu di Santulussurgiu, più che altro un amico, descritto “( ) di membra snello, asciutto e muscoloso come quei veltri sardeschi addestrati alla piga contro la bestia e l’uomo ( )” (sa piga è la presa, bloccare animali e uomini). Anche nel Notturno, pagine nate dopo la lesione all’occhio che lo costrinse all’immobilità, D’Annunzio ricorda sempre la Sardegna ed i suoi “( ) cani sardeschi, i mastini di Fonni, i veltri del Monte Spada ( )”. Nella campagna di Libia i cani sardi furono i veri protagonisti e da questa esperienza originarono i reparti cinofili. Gli animali venivano addestrati contro l’uomo: un soldato italiano vestito da arabo o da turco, con tanto di barracano o di fez, seviziava l’animale; si presentava quindi un altro militare vestito dell’uniforme italiana, che coccolava e nutriva l’animale al fine di affezionarlo a questa divisa. Gli effetti dell’addestramento erano apprezzati quando l’animale scorgeva un fantoccio, vestito appunto da arabo o da turco, nascosto tra i canneti o tra le tende dell’accampamento: gli si avventava con rabbia ed il conduttore faticava a fermarlo. La tecnica utilizzata per l’addestramento non era dissimile da quella descritta dallo stesso Domenech ma anche da Baldassarre Luciano nel 1841 in Cenni sulla Sardegna e dal gesuita Antonio Bresciani. Quest’ultimo infatti, nell’anno 1861, pagg. 89 e 90 dei Costumi dell’Isola di Sardegna, narra di una particolare razza di cani: “( ) Egli è a dire altresì d’una stirpe di cani, tutta propria dell’Isola, i quali son tanto valenti alla guardia che i Sardi li hanno a ragione in altissimo pregio. Tendono alquanto alla nazion de’ levrieri: hanno il muso aguzzo, gli orecchi ritti, la vita lunga e slanciata, le gambe snelle e sottili, il pelo irto o rado di color lionato o bigio piombo. ( ) Quando l’uomo dice loro: – Piga, e’ si lanciano come leopardi ai cavalli, a’ porci, ai becchi, a’ tori, e si gittan loro d’un salto all’orecchio o l’assannan per guisa, che non se ne spiccano se non al richiamo di colui che li aizzò alla bestia. I banditi ripongono in que’ valorosi mastini la loro salvezza, i viandanti gli hanno sempre al fianco o alla testa de’ cavalli; i cacciatori gli ammettono a’ cinghiali, a’ cervi, a’ daini, alle lepri e alle volpi. I banditi, quando sono catolli, li attizzano, gi’inviperiscono, li affamano, li legano stretti nelle tane al buio, di che riescono ferocissimi. ( ) Quindi non è a stupire quando noi leggiamo che ( ) navigata una flotta della Repubblica francese alla conquista dell’Isola, i Francesi ne furono cacciati dai cani. Conciossiaché volteggiando le navi sopra il capo di Carbonara, come i montanari s’avvidero che i repubblicani disegnavano d’insignorirsi del regno, fattisi motto, convennero da tutt’i monti di quella costa, e stavano alla vedetta dai loro agguati. Perché l’ammiraglio, fatte le volte larghe, si drizzò a filo verso il golfo di Quarta, ed ivi surte le navi e messi gli scalmi in acqua, condusse a terra le truppe. Ma i montanari non prima li videro calar sulla spiaggia, che aizzati lor veltri alla piga, ‘quell’aspra falange di rabbiosi cani si dissertò precipitosa da’ monti e s’avventò addosso a’ soldati. Al primo vederseli correre a fronte, cominciarono a tirar loro contra con gli archibugi: ma quelle tigri, fatte più calde e frementi al fuoco, al fumo, al fragore delle artiglierie, correndo e nabissando colle aperte bocche, investirono l’oste nemica; ed arricciando i peli, e ringhiando e co’ morsi addentandoli fieramente non lascianvali riavere. I miseri Francesi da quelle taglienti morse pertugiati, squarciati, strambellati, gridando mercè ed altamente stridendo, si sbarattarono per salvarsi alle navi. Ma i cani assediandoli e saltando lor sopra da tutt’i lati, e sgretolando stinchi e sbranando polpe li ebbero espugnati per modo che beato chi potea gettarsi in mare per giungere a salvamento.( … )”. Questo episodio si riferisce al tentativo di sbarco messo in atto dai franco-corsi, nell’anno 1793, nel golfo di Cagliari. Questi antichi cani da guerra furono reclutati anche dalla Brigata Sassari nel primo conflitto mondiale ed ulilizzati nelle colonie Africane (Tripolitania, Eritrea, Etiopia) e nella guerra di Spagna. Un articolo dell’Unione Sarda del 4 gennaio 1912, indica anche il prezzo pagato per l’acquisto degli animali: “I’esperimento dell’uso dei cani in guerra ha dato ottima prova. (… ) A proposito di cani da guerra pubblichiamo oggi alcuni particolari sulla squadra formata a Cagliari e partita nei giorni scorsi per Napoli a bordo del piroscafo “Principe Amedeo”. Il piccolo reggimento di cani è stato reclutato tutto in diversi paesi della Sardegna ed è composto dalle più temibili ed intelligenti bestie che si trovano nella nostra isola. All’arrivo essi saranno divisi in cinque plotoni, i quali, con un adeguato numero di soldati, si porteranno rispettivamente a Tripoli, Homs, Derna, Tobruk e Bengasi. Il loro ufficio di guerra sarà quello di proteggere le nostre truppe di avanscoperta dalle insidie e sorprese del nemico, e raggiungeranno molto bene lo scopo anche perché, fin da quando giunsero qui a Cagliari, furono addestrati a riconoscere il costume caratteristico degli arabi e dei turchi e a inferocirsi vedendolo.( … ) Sono pure muniti di museruola e di larghe collane di cuoio su ciascuna delle quali si vede infissa una targhetta di ottone con il loro nome originario. Ve ne so no di tutti i colori e di tutte le dimensioni e notevoli specialmente due: quello del caporale Antonio Brundu di Ploaghe, un bellissimo e grossissimo cane dal pelo chiaro e arruffato a cui, con precisa rispondenza al suo aspetto e alle sue dimensioni, fu imposto il nome di Leone; e quello, anche esso molto grosso e molto bello, del soldato orunese Antonio Coddi, e che se il nome di Fide cum nemos gli fu bene appropriato, va alla guerra con propositi certo non di piacere. A ogni portatore sono state inoltre consegnate due museruole e due collane di ricambio. Per l’acquisto dei cani fu spesa la complessiva somma di 2.700 lire: quindi, essendo i cani cento, in media si spesero lire 27 per ogni cane”. Gli animali, cani da pastore e da presa in prevalenza tigrati, furono acquistati soprattutto in Barbagia, Ogliastra, Logudoro e Gallura, regioni nelle quali erano molto numerosi. Il numero dei cani superò in totale le trecento unità e la maggior parte di essi furono abbandonati in Africa. Un cane è sicuramente rientrato in Sardegna e risulta che il suo proprietario percepì per molto tempo la pensione assegnata all’animale-reduce. Risulterebbe inoltre rientrata una coppia di cani a Laconi, al seguito di un ufficiale. Le poche testimonianze parlano di animali prima addestrati a stanare, fermare e segnalare la presenza di nemici in azioni di avanscoperta. Ben presto la loro azione degenerò ed i cani iniziarono ad attaccare i ribelli che, nottetempo, cercavano di introdursi negli accampamenti nemici e che, da buche scavate nella sabbia del deserto, sparavano sugli italiani. Lantico cane sardo tigrato, animale polivalente anche nei suoi derivati, viene descritto da Arturo Baravelli in Musedda, racconto pubblicato dall’editoriale Olimpia nel libro “Cacce di Sardegna” del 1942. Esperienze, vissute dall’autore a cavallo tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, che meritano di essere lette non solo dall’ appassionato cacciatore: “Ero di residenza a Padru, nei salti di Gioss, ospite di un certo Pasquale Quaglioni, facoltoso proprietario del luogo e rinomato cacciatore di cinghiali ( ) amava la caccia sopra ogni cosa; ma più che la caccia vagante col fucile la sua grande passione era la cattura della grossa selvaggina coi cani da corsa e da presa, che egli stesso addestrava magistralmente ( … ) in una sola stagione, così, senza sparare il fucile, aveva raggiunta la spettacolosa cifra di ottanta cinghiali e qualche cervo ( ) ebbe naturalmente cani di meriti eccezionali, di alcuni dei quali è ancora vivo il ricordo ( ) al tempo del mio soggiorno la prediletta era Musedda, tipico soggetto di quella famosa razza tigrata che diede nel passato e dà tuttora, in quasi tutte le contrade di Sardegna, i migliori cani da caccia grossa alta, muscolosa, vivacissima, il petto ampio, orecchie e coda mozze, Musedda mostrava sull’agile corpo i segni di cruente battaglie e del suo valore velocissima e coraggiosissima, quando accadeva che il cinghiale, incalzato dalla muta, era costretto a uscire dal bosco in campo aperto, in quattro salti gli era addosso e se riusciva a ficcargli il dente dietro l’orecchio o sotto la spalla, i due soli punti dove non giunga l’offesa della zanna micidiale, non lo mollava più (… ) anche quando la fiera cadeva finita dal coltello (… ) essa rimaneva lì, coi denti conficcati nelle carni della sua vittima, tremendamente inferocita, insensibile ad ogni richiamo, tanto che non di rado occorrevano lunghe ore di attesa e ripetute abluzioni di acqua fredda, per allentare la morsa formidabile delle sue mascelle”. Questi nobili e antichi animali, pastori, guerrieri e cacciatori, un tempo erano molto comuni in Sardegna e la diminuzione del loro numero iniziò nell’immediato secondo dopo guerra del secolo appena trascorso. I tedeschi in ritirata non avevano razziato solo Fonnesi ma anche i migliori esemplari di Dogo Sardesco, caricati numerosi sulle navi ancorate nel porto di Cagliari. L’abbandono delle campagne ed il mutare dei sistemi di allevamento contribuirono a ridurre drasticamente il numero degli animali che, non essendo più considerati utili, venivano ora abbandonati a se stessi e non più selezionati ed allevati in modo adeguato. Veniva in tal modo accelerato il degrado della razza. Il culmine fu raggiunto quando arrivarono nell’Isola malattie sconosciute assieme alle prime razze continentali importate intorno agli anni cinquanta. “I forti cani tigrati morivano come mosche”, testimonia un novantenne capocaccia sulcitano. Allo stesso periodo può riferirsi l’iniziò di un massiccio prelievo di esemplari tipici da parte di cinofili continentali, finalizzato all’insanguamento, fuori Sardegna, di popolazioni canine emergenti: alcuni ceppi di Mastino Napoletano e Cane Corso discenderebbero dal Dogo Sardesco. L’isolamento degli animali sardi aveva permesso il mantenimento di caratteristiche non riscontrabili in altre razze simili come ad esempio il cane robusto (oggi chiamato Cane Corso), guardiano delle masserie del centro-sud italiano; i pregi degli antichi cani tigrati contribuirono a decretarne la decimazione. Voglio ultimare dicendo che la parola Dogo deriva dall’inglese dog (cane) ed è un imbarbarimento medioevale. In Spagna con “Dogo” viene indicato un cane di costituzione robusta e dal pelo corto, testa grande, muso potente e dentatura poderosa, in origine utilizzato soprattutto nella caccia grossa. Abbiamo parlato di quell’animale che gli anziani identificano da sempre con Su Cani Sardu Antigu, mitizzato fino all’eccesso. Ritengo che possano riferirsi a tale definizione non solo Su Cani Pertiatzu-Dogo Sardesco ma anche il Cane di Fonni, l’Alano di Urzulei, il Mastino d’Arzana, il Veltro del Monte Spada, il Mastino di Bonorva, il Cane di Gavoi, il Sorgolino e Su Vertreddu o Veltro Sardesco descritto dal cinofilo Giovanni Bonatti Zizzoli nel 1973, presente nella provincia nuorese: un cane da corsa e da presa di taglia medio-grande (alto circa 60-65 centimetri al garrese), muscoloso, vivace, dal petto ampio e dal mantello grigio o fulvo coperto di tigrature, orecchie e coda mozzati, particolarmente resistente al caldo ed alla sete. Animali, questi, per lo più estinti a causa dell’incuria e che di tanto in tanto ritornano dal passato grazie agli incroci a suo tempo effettuati. Popolazioni canine antiche che bisognerebbe cercare di recuperare attraverso un serio lavoro di selezione e allevamento in quanto reali elementi culturali di quella sardità troppo spesso predicata e sempre meno praticata.

Roberto Balia